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Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito
che i figli affidati ai genitori, a seguito della separazione degli stessi, non
devono subire le influenze in ambito di credo religioso.
Il caso vede protagonisti una coppia di coniugi che
ottenevano, al termine della loro relazione matrimoniale, l'affidamento condiviso
del figlio.
Il bambino, regolarmente battezzato e di religione cattolica,
viveva con la madre la quale nel corso degli anni si era convertita a un altro
credo e, già in costanza di matrimonio, aveva più volte cercato di coinvolgere
il figlio nella sua scelta.
Il Giudice , pur avendo affidato il figlio a entrambi i
genitori, aveva però vietato alla donna di "indottrinare" il bambino
imponendo alla stessa di non coinvolgerlo nella sua nuova scelta religiosa.
L'ex moglie però, ravvisando una violazione dei suoi diritti
fondamentali, proponeva ricorso in appello sostenendo che i limiti imposti dal
Giudice fossero eccessivi e illegittimi.
Le pretese non venivano accolte e la donna proponeva ricorso
dinanzi ai Giudici di Piazza Cavour sostenendo che "il giudice
(d’Appello) non possa [...] imporre precisi limiti ai contenuti del suo
rapporto con il figlio ed alle forme della loro comunicazione ed interazione,
comprimendo le prerogative materne in punto d’istruzione ed educazione della
prole, discriminandola rispetto al padre (cattolico o agnostico), in ragione
della sua diversa confessione religiosa, [...] e limitando il suo diritto di
professare liberamente tale sua fede in presenza del minore che prevalentemente
convive con lei”.
La Corte di Cassazione, con sentenza numero 9546 del 12
Giugno 2012, ha ribadito quanto affermato in secondo grado sostenendo che le
tesi della donna non potevano essere accolte poichè , in virtù dell'art. 155
c.c.[1]
il Giudice deve anteporre sempre l'interesse morale e materiale della prole in
sede di separazione.
Il predetto articolo rappresenta uno
degli elementi cardine del c.d. "affido condivido" introdotto dalla
Legge 8 febbraio 2006, n.54
Nella motivazione gli Ermellini sostengono infatti che “l’art.
155 cod. civ., in tema di provvedimenti riguardo ai figli nella separazione
personale dei coniugi, consente al giudice di fissare le modalità della loro
presenza presso ciascun genitore e di adottare ogni altro provvedimento ad essi
relativo, attenendosi al criterio fondamentale rappresentato dal superiore
interesse della prole, che assume rilievo sistematico centrale nell’ordinamento
dei rapporti di filiazione, fondato sull’art. 30 della Costituzione.
L’esercizio in concreto di tale potere, dunque, deve
costituire espressione di conveniente protezione ( art. 31, comma 2 Cost.) del
preminente diritto dei figli alla salute e ad una crescita serena ed
equilibrata e può assumere anche profili contenitivi dei rubricati diritti e
libertà fondamentali individuali, ove le relative esteriorizzazioni determinino
conseguenze pregiudizievoli per la prole che vi presenzi, compromettendone la
salute psico-fisica e lo sviluppo; tali conseguenze, infatti, oltre a
legittimare le previste limitazioni ai richiamati diritti e libertà
fondamentali contemplati in testi sovranazionali, implicano in ambito nazionale
il non consentito superamento dei limiti di compatibilità con i pari diritti e
libertà altrui e con i concorrenti doveri di genitore fissati nell’art 30,
primo comma della Costituzione e nell’art. 147 del codice civile”.
[1] Art. 155.
Provvedimenti riguardo ai figli.
Anche in caso di separazione personale dei genitori il
figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo
con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e
di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
ciascun ramo genitoriale.
Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il
giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti
relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale
di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino
affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono
affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun
genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve
contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei
figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi
intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla
prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i
genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative
all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo
tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni
dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il
giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle
parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura
proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la
corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di
proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di
convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura
assunti da ciascun genitore.
L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT
in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai
genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un
accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della
contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.