SOLUZIONE PARERE PRELIMINARE DI VENDITA DI UN IMMOBILE ABUSIVO.
Cassazione civile, sez. II, 21 aprile 2015, n. 8102
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto provvisoriamente esecutivo n. 3920/1997 del tribunale di Roma,
su ricorso delle confederazioni, della lega e dell'associazione indicate in
epigrafe, si ingiungeva alla "I.FIN. 50" s.r.l. il pagamento alle
ricorrenti della somma di L. 500.000.000.
Con atto di citazione notificato il 2.12.1997 l'ingiunta proponeva
opposizione.
Esponeva che con atto in data 30.9.1992 aveva acquistato dalle ricorrenti
per il prezzo di L. 30.500.000.000 il complesso immobiliare sito in (OMISSIS),
complesso che successivamente aveva alienato alla "Triton" s.r.l.,
poi incorporata dalla "Alerion Real Estate" s.p.a.; che
contestualmente alla stipula della compravendita si era convenuto, con separato
accordo, che essa acquirente "avrebbe trattenuto sul prezzo pattuito (...)
la somma di L. 500.000.000 a garanzia dell'ottenimento, da parte delle
venditrici, della concessione in sanatoria per cambiamento di destinazione
d'uso degli immobili (...) già allora (...) in locazione al Ministero del
Lavoro e della Previdenza Sociale, senza però che la destinazione d'uso fosse
ad uffici pubblici" (così ricorso principale, pag. 2).
Esponeva inoltre che, benchè in sede di stipula del preliminare di vendita
si fossero obbligate a rimetterle, tra l'altro, i certificati di idoneità
statica degli edifici compravenduti, le alienanti nè alla data - 30.9.1992 - di
stipulazione del definitivo nè in epoca successiva avevano provveduto a
trasmetterle il certificato di idoneità statica dell'edificio di via (OMISSIS),
tant'è che il conduttore dell'immobile - il Ministero del Lavoro - aveva
inoltrato alla "Triton", con lettere del 2.12.1996 e dell'8.4.1997,
formate richiesta - da quest'ultima poi rivolta ad essa opponente - di consegna
del verbale di collaudo statico dell'edificio al civico n. (OMISSIS), onde
provvedere agli adempimenti di cui alla L. n. 626 del 1994; che, risultata vana
la richiesta indirizzata alle alienanti di trasmissione del verbale di
collaudo, la "Triton" aveva dato mandato, affinchè vi provvedesse,
alla "Tecno In" s.r.l.; che la s.r.l. all'uopo incaricata aveva,
dapprima, con lettera del 19.6.1997, dato riscontro della inadeguatezza della
qualità e della resistenza dei materiali in rapporto all'utilizzo in corso
dell'edificio, indi, in data 18.11.1997, aveva rimesso certificato a firma
dell'ing. L.F., datato 10.11.1997, da cui evincevasi la non collaudabilità
dello stabile di via (OMISSIS).
Esponeva ancora che, edotto il ministero conduttore dell'immobile della
necessità di dar corso a lavori di consolidamento strutturale e predisposto il
computo metrico - estimativo delle opere da realizzare, con lettera del
25.11.1997 "Triton" s.r.l. le aveva richiesto di esser sollevata da
tutti gli oneri che avrebbe sostenuto; che, a sua volta, con lettera del
29.11.1997, aveva chiesto agli organismi alienanti di esser tenuta indenne
dagli esborsi cui avrebbe dovuto far fronte.
Esponeva ulteriormente che in data 4.3.1997 le confederazioni, la lega e
l'associazione alienanti avevano ottenuto il rilascio della concessione in
sanatoria, sicchè le avevano sollecitato il pagamento della somma di L.
500.000.000; che, nondimeno, ricevuta, con missiva del 28.11.1997, dall'ing.
P.I., officiato dalle alienanti, la documentazione tutta depositata a corredo
dell'istanza di concessione in sanatoria per cambiamento di destinazione d'uso,
aveva desunto dal relativo esame che "lo stabile di via (OMISSIS), aveva
strutture che consentivano la sola destinazione ad uffici e non ad uffici
pubblici" (così ricorso principale, pag. 8); che del resto la diversa
situazione statica degli edifici di via (OMISSIS), "il primo adibibile ad
uffici pubblici, il secondo solo ad uffici" (così ricorso principale, pag.
8), si rilevava dal tenore della stessa missiva in data 28.11.1997, giacchè
quivi si dava atto che l'ing. P. "aveva sentito la necessità di depositare
presso il Comune di Roma una appendice al Certificato di idoneità statica
dell'edificio n. (OMISSIS), datata 18.2.97 (...) protocollata (...)
l'1.3.97" (così ricorso principale, pag. 8).
Rappresentava dunque che le sue danti causa - ben consapevoli della
deficienza strutturale dell'edificio di via (OMISSIS), già in epoca antecedente
al rilascio della concessione in sanatoria - non avevano conseguito una
regolare sanatoria, sicchè era da escludere che avessero adempiuto l'obbligo
assunto con il coevo e separato accordo concluso a latere della compravendita
in data 30.9.1992.
Chiedeva quindi revocarsi l'ingiunzione opposta; in via riconvenzionale,
instava per "la condanna delle Confederazioni all'esecuzione delle opere
necessarie a rendere l'immobile idoneo all'uso pattuito e garantito o, in
subordine, al pagamento delle somme necessarie per eseguire detti lavori, oltre
al risarcimento del danno che sarebbe potuto derivare a seguito della necessità
di consolidare l'immobile, quale ad esempio il danno derivante dal rilascio
anticipato degli immobili da parte del conduttore Ministero del Lavoro"
(così ricorso principale, pag. 10).
Costituitesi, le opposte confederazioni, lega ed associazione deducevano
che "all'epoca della costruzione (anni 1955 - 56) la legge non prevedeva
obblighi di collaudo statico delle strutture in c.a. - obbligo introdotto dalla
L. n. 1086 del 1971 - e che (...) avevano assolto tutti gli obblighi legali e
contrattuali dei quali erano onerate" (così controricorso, pag. 3).
Instavano pertanto per il rigetto dell'avversa opposizione e la conferma
dell'ingiunzione.
Nel corso istruttorio veniva disposta ed espletata c.t.u..
Con comparsa depositata il 19.11.1998 spiegava intervento volontario la
"Triton" s.r.l..
Chiedeva "in via principale, accertare e rilevare la esistenza,
rilevanza e gravità dei vizi denunciati alla venditrice I.FIN. 50 (...) in
relazione all'immobile sito in (OMISSIS), compravenduto con atto del 20.11.1992
(...); accertare e dichiarare altresì la natura occulta di tali vizi;
determinare pertanto il conseguente minor valore dell'immobile (...) nonchè
dichiarare tenuta la I.FIN. 50 al risarcimento di tutti i danni subiti e
subendi (...) quantificati (...) in Lire 5.269.313.220;
nonchè di tutti gli ulteriori oneri, spese e danni derivati e derivandi al
fine di rendere agibile l'edificio compravenduto; per l'effetto, condannare la
I.FIN. 50 (...) a corrispondere in favore della (allora) Triton l'importo di L.
5.269.313.220, o quella maggior somma che risulterà anche a seguito della
Consulenza Tecnica d'Ufficio (...); in via gradata (...) la odierna comparente
fa proprie le domande formulate (...) nei confronti delle ricorrenti opposte
quanto ai capi 5 e 6" (così ricorso incidentale, pagg. 4 - 5) dalla
"I.FIN. 50" s.r.l..
All'udienza del 22.2.2002. a seguito del cedimento strutturale dello
stabile di via (OMISSIS), la "Triton" depositava la documentazione
che ne attestava lo sgombero nonchè le fatture indicanti l'ammontare del canone
di locazione percepito all'atto dell'evacuandone.
Con sentenza n. 985 depositata in data 14.1.2003 il tribunale di Roma
rigettava l'opposizione, dichiarava definitivamente esecutivo il decreto
opposto, dichiarava inammissibile la domanda spiegata dalla "Triton"
in danno della "I.FIN. 50", compensava integralmente tra le parti
tutte le spese di lite.
Interponeva appello la "I.FIN. 50" s.r.l..
Resistevano le confederazioni, la lega e l'associazione; esperivano al contempo
appello incidentale in ordine alla disposta compensazione delle spese di lite.
Si costituiva la "Alerion Real Estate" s.p.a. (incorporante la
"Triton" s.r.l); spiegava appello incidentale avverso il capo della
pronuncia di primo grado che aveva dichiarato inammissibile l'intervento della
incorporata "Triton".
Con sentenza n. 2051/2008 la corte d'appello di Roma così statuiva:
"a) in riforma del capo e) della sentenza appellata, respinge le
domande risarcitorie proposte dalla interveniente Alerion Estate s.p.a. contro
I.FIN. 50 s.r.l. e da quest'ultima nei confronti delle Confederazioni opposte;
b) condanna le società appellanti in solido tra loro a rifondere alle appellate
Confederazioni le spese del presente grado. (...)"
(così sentenza d'appello, pag. 24).
Premetteva la corte distrettuale che con l'atto di opposizione la
"I.FIN. 50" aveva proposto due questioni, "entrambe poste a
fondamento sia dell'exceptio inadimplenti non est adimplendum, sia della
domanda riconvenzionale definita di adempimento in forma specifica e dal
Tribunale riqualificata come domanda risarcitoria (...): precisamente la
domanda di declaratoria di nullità della concessione in sanatoria ottenuta
dalle vendutici e quella di connesso risarcimento dei danni, in forma specifica
o per equivalente, derivati dalla necessità di rendere agibile lo stabile
acquistato" (così sentenza d'appello, pagg. 12 -13).
Indi esplicitava che "non è controverso (...) che la concessione in
sanatoria fu rilasciata all'esito del deposito da parte delle Confederazioni
istanti di un certificato di collaudo per il fabbricato n. (OMISSIS) e, per
quello n. (OMISSIS), di una dichiarazione di idoneità statica rilasciata
dall'ing. P. (...), confermata da una successiva dichiarazione di altro tecnico
abilitato (arch.
M. (...))" (così sentenza d'appello, pag. 14); che conseguentemente la
corte di merito, giudice ordinario, non poteva superare la presunzione di
legittimità della concessione in sanatoria, nè disapplicarla, non essendo stati
"dedotti vizi di legittimità di natura tale da autorizzare il ricorso al
potere previsto dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, art. 5 ma,
eventualmente, vizi attinenti all'esercizio della discrezionalità tecnica
dell'amministrazione" (così sentenza d'appello, pag. 15);
che doveva "pertanto ritenersi realizzata la condizione essenziale per
il pagamento del rateo di prezzo trattenuto dall'acquirente a garanzia
dell'adempimento" (così sentenza d'appello, pag. 15).
Esplicitava, altresì, che il tribunale aveva "correttamente ritenuto
che, tra gli strumenti per far valere la garanzia, l'ordinamento non
attribuisce al compratore alcuna azione di esatto adempimento per
l'eliminazione del vizio (mancanza di agibilità) e per dotare il bene delle
qualità promesse" (così sentenza d'appello, pagg. 15- 16); che anzi il
vizio lamentato doveva "essere qualificato come mancanza di qualità
essenziali per l'uso (...), riconducibile allo schema dell'art. 1497 e.e, in
relazione al quale l'unica azione consentita al compratore è quella di
risoluzione del contratto" (così sentenza d'appello, pag. 16); che
"nella specie la I.FIN. esplicitamente concorda sul fatto di non aver
inteso proporre un'azione di garanzia, ma infondatamente pretende di poter
chiedere in forma specifica l'adempimento di una inesistente obbligazione del
venditore di adeguare la cosa venduta alle qualità promesse" (così
sentenza d'appello, pag. 16).
Esplicitava, inoltre, che, quanto alla "domanda di adempimento ...
mediante corresponsione del danno per equivalente, danni indicati negli
oneri che essa I.FIN. 50 s.r.l. dovrà sostenere per rendere agibile l'edificio
(...), è fin troppo ovvio (...) che detta azione è soltanto un'azione di ...
risarcimento dei danni per equivalente, perfettamente inquadrata nello schema
legale dell'art. 1494 c.c." (così sentenza
d'appello, pagg. 16 -17).
Dipoi, nel merito, esplicitava che, "tuttavia, sia la domanda di
risarcimento proposta dalla Alerion Estate contro la I.FIN. che, di riflesso,
quella da quest'ultima avanzata nei confronti delle Confederazioni appellate"
(così sentenza d'appello, pag. 18) dovevano essere respinte.
Puntualizzava, previamente, che non era controverso che la valutazione
dello stato psicologico del venditore dovesse essere effettuata con riferimento
al momento della vendita; altresì, che le vendite intercorse tra le
"confederazioni" e la "I.FIN. 50", prima, e tra tal ultima
società e la "Triton", poi, si erano susseguite a brevissima distanza
temporale, sicchè il riscontro del presupposto della incolpevole ignoranza dei
vizi dell'immobile al civico n. (OMISSIS), poteva, "sia pure con
riferimento a soggetti diversi, (...) essere effettuato alla stregua di
circostanze sintomatiche di fatto coincidenti" (così sentenza d'appello,
pag. 18).
Su tale scorta esplicitava che "il primo dato storico (...) da cui
prendere le mosse è che la Triton (...) sollevò i primi dubbi circa l'esistenza
del vizio di idoneità statica dell'edificio nel giugno del 1997, a circa 5 anni
di distanza dalle vendite, quando il Ministero del Lavoro chiese, ai fini
dell'applicazione dei sopravvenuti obblighi di adeguamento degli edifici ex
Lege n. 626 del 1994, il verbale di collaudo statico di entrambi gli edifici
compravenduti, e la società proprietaria chiese detta documentazione alla
propria dante causa, che girò la richiesta alla Confederazioni" (così
sentenza d'appello, pagg. 18 - 19); che dunque era ben evidente che fino al
giugno del 1997 tutte le parti avevano ignorato l'esistenza del difetto.
Esplicitava, ulteriormente, che "la normativa tecnica dell'epoca di
costruzione (D.L. 16 novembre 1939, n. 2228) non prevedeva il collaudo statico
dell'opera eseguita in c.a., ma esclusivamente caratteristiche di resistenza
delle strutture (...) assolutamente inferiori a quelle introdotte dalla L. 11
maggio 197., n. 1086 (...), in base alla quale sono state invece svolte le
indagini tecniche sia dell'ing. L. che quella del C.T.U. prof. M." (così
sentenza d'appello, pag. 20); che le norme "in tema di specifiche
caratteristiche di resistenza per costruzioni destinate a pubblici uffici sono
state introdotte per la prima volta con il D.M. 12 febbraio 1982, vincolante
soltanto per le costruzioni successive alla sua entrata in vigore" (così
sentenza d'appello, pag. 20); che "tali normative tecniche, non imponendo
alcun obbligo di revisione delle preesistenze immobiliari, implicitamente
riconoscono la permanente possibilità di destinare ad uffici pubblici gli
edifici costruiti alla stregua delle normative previgenti, ai quali tale
destinazione sia stata già impressa, che altrimenti la quasi totalità degli
uffici pubblici non avrebbe potuto continuare a funzionare" (così sentenza
d'appello, pag. 20); che "analoghe considerazioni valgono, a fortiori, per
il D.M. 9 gennaio 1996, n. 29, utilizzato dal C.T.U. prof. M. per calcolare la
compatibilità delle strutture con la destinazione concordemente attribuita
dalle parti contraenti all'edificio in questione" (così sentenza
d'appello, pagg. 20 21).
Esplicitava, ancora, che "l'incolpevolezza dell'ignoranza delle
Confederazioni proprietarie è ulteriormente confermata dalla circostanza che
fin dall'origine, come verificato dal C.T.U. (...) il fabbricato fu destinato
ad uso uffici aperti al pubblico dall'allora proprietario Ministero del Lavoro;
e che fin dal 1981, e poi con contratto del 1987, tale destinazione proseguì in
forza dell'avvenuta concessione in locazione di gran parte degli edifici allo
stesso Ministero, certamente consapevole delle normative vigenti in materia di
agibilità degli edifìci, ed assistito, a tal fine, dagli organi tecnici dell'U.T.E.
di Roma" (così sentenza d'appello, pag. 21); che, al contempo, la prova
della colpevole ignoranza dei vizi sia da parte delle
"confederazioni" sia da parte della subalienante "I.FIN.
50" non poteva desumersi "dalle dichiarazioni di tardiva resipiscenza,
nel marzo del 1995, dell'ing. P., tecnico che aveva emesso nel luglio del 1994
l'attestazione di idoneità statica richiesta dalla L. n. 47 del 1985"
(così sentenza d'appello, pagg. 21 - 22); che "invero l'attestazione di
idoneità statica era stata confermata dall'arch. Ma., con relazione analitica
13.01.1995" (così sentenza d'appello, pag. 22); che "anzi la stessa
correzione da parte dell'ing. P. comprova che (...) era perdurato almeno fino
al momento del rilascio della concessione in sanatoria" (così sentenza
d'appello, pag. 22) lo stato psicologico di incolpevole ignoranza; che, del
resto, il consulente tecnico aveva evidenziato "le pur limitate carenze di
idoneità statica, sempre riferite a normative sopravvenute (...), soltanto
attraverso prove di grado estremamente specialistico, eseguite in laboratori
particolarmente attrezzati e che non costituiscono assolutamente la routine di
accertamenti tecnici e saggi che si compiono nei più generici accertamenti di
idoneità statica richiesti dalla L. n. 47 del 1985" (così sentenza
d'appello, pag. 23).
Esplicitava, infine, che. "dovendosi ritenere raggiunta (...) la prova
dell'incolpevolezza dell'ignoranza, sia da parte delle Confederazioni
venditrici, che, a fortiori, da parte della subalienante I.FIN. 50, dei difetti
della costruzione per cui è causa" (così sentenza d'appello, pag. 23),
erano da respingere sia la domanda di risarcimento danni proposta dalla
"Alerion Real Estate" nel confronti della "I.FIN. 50", sia
quella proposta da quest'ultima società nei confronti delle
"confederazioni".
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la "I.FIN. 50" s.r.l.;
ne ha chiesto sulla scorta di quattordici motivi la cassazione con ogni
conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.
"Alerion Real Estate" s.r.l. ha depositato controricorso
contenente ricorso incidentale fondato su dieci motivi; ha chiesto cassarsi la
sentenza n. 2051/2008 della corte d'appello di Roma con ogni susseguente
statuizione in ordine alle spese di lite.
Le confederazioni, la lega e l'associazione controricorrenti hanno
depositato controricorso avverso il ricorso principale e controricorso avverso
il ricorso incidentale; hanno chiesto dichiararsi inammissibile ovvero
rigettarsi l'uno e l'altro ricorso con il favore delle spese del giudizio di
legittimità.
Le confederazioni, la lega e l'associazione controricorrenti hanno
depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente principale deduce "nullità della
sentenza della Corte d'Appello di Roma n. 2051/08 del 16.5.2008 con riferimento
all'art. 132 c.p.c., n. 5 e art. 161 c.p.c. (art. 360, n. 4)" (così
ricorso principale, pag. 20).
Adduce che "nella parte precettiva della sentenza rappresentata dal
dispositivo (...) la Corte d'Appello di Roma nulla ha statuito nè con
riferimento alla domanda ex art. 1460 c.c. svolta dalla attuale ricorrente in
opposizione a decreto ingiuntivo nè, tantomeno, con riferimento alla prima
domanda svolta in via riconvenzionale (domanda di adempimento) nè, infine, con
riferimento alla domanda di garanzia che sia il Giudice di primo grado che
quello di secondo grado hanno ritenuto essere stata proposta dalla I.FIN.
50" (così ricorso principale, pag. 21); che "detta omissione comporta
l'impossibilità totale di determinale l'effettiva portata precettiva di tutte
le pronunce di cui alla sentenza impugnata e, conseguentemente, la nullità
della stessa" (così ricorso principale, pag. 22).
Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce "violazione e
falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 132 c.p.c., n. 5
(art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag.
24).
Adduce che "nel dispositivo della sentenza il Giudice di secondo grado
ha omesso di statuire su tutte le domande svolte dalle parti, con la sola
eccezione della domanda risarcitoria e con i limiti denunciati
nell'illustrazione del precedente motivo" (così ricorso principale, pag.
24); che, al contempo, "se è vero che la portata precettiva della sentenza
va individuata tenendo conto non solo del dispositivo, ma anche della
motivazione, è anche vero che, quando manchi totalmente il dispositivo su
domande trattate solo in motivazione, non può farsi ricorso al principio
sopracitato non potendo la relativa decisione, con il conseguente giudicato
desumersi da affermazioni contenute nella sola parte motiva" (così ricorso
principale, pagg. 24 - 25).
Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale risultano strettamente
connessi.
Si giustifica, perciò, il loro esame congiunto.
Entrambi i motivi, in ogni caso, non meritano seguito.
Si premette che pur il secondo motivo, con cui del pari si prospetta un
error in procedendo, si specifica e si qualifica ai sensi dell'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 4) (cfr. al riguardo Cass. 18.5.2012, n. 7932).
E si ribadisce, per un verso, che il primo giudice ebbe così a statuire:
"a) rigetta l'opposizione a decreto ingiuntivo; b) dichiara
definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo opposto (...); e) dichiara
inammissibile la domanda della intervenuta Triton s.r.l.
contro la opponente I.FIN. 50 s.r.l.; d) compensa integralmente fra le
parti le spese del giudizio" (così ricorso principale, pag. 12).
E, per altro verso, che la "I.FIN. 50", con l'opposizione
esperita avverso l'ingiunzione di pagamento, da un lato, aveva contestato
"la regolarità della concessione in sanatoria ottenuta dalle sue danti
causa e, perciò, l'adempimento alla obbligandone di cui agli accordi inter
partes avente ad oggetto l'ottenimento, da parte delle venditrici, di valida
concessione" (così ricorso principale, pag.
10); dall'altro, aveva in via riconvenzionale invocato "la condanna
delle Confederazioni all'esecuzione delle opere necessarie a rendere l'immobile
idoneo all'uso pattuito e garantito o, in subordine, al pagamento delle somme
necessarie per eseguire detti lavori, oltre al risarcimento del danno che
sarebbe potuto derivare a seguito della necessità di consolidare
l'immobile" (così ricorso principale, pag.
10).
Su tale scorta - ed al di là della riforma del capo e) del dispositivo
della statuizione di prime cure, riforma mercè la quale si è, sì, dichiarata
ammissibile la domanda dalla "Triton" s.r.l.
spiegata nei confronti della "I.FIN. 50" s.r.l., nondimeno se ne
è sancito il rigetto nel merito - è ben evidente che la corte di Roma ha
indiscutibilmente confermato in ogni altra sua parte il dictum di primo grado
e, dunque, pur il rigetto dell'opposizione, di ogni istanza ed eccezione con
l'opposizione al decreto ingiuntivo dalla "I.FIN. 50" esperite.
In questi termini è da escludere che omessa pronuncia vi sia stata.
Invero, questo giudice di legittimità non può che reiterare il proprio
insegnamento, alla cui stregua ad integrare gli estremi del vizio di omessa
pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è
necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa
indispensabile alla soluzione del caso concreto; il che non si verifica quando
la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parie
comporti il rigetto di tale pretesa anche se manchi in proposito una specifica
argomentazione (cfr. Cass. 6.4.2000, n. 4317; Cass. 16.5.2012, n. 7653; Cass.
11.4. 1975, n. 1397).
D'altro canto, la conferma - in dispositivo - del dictum di primo grado e
quindi del rigetto dell'opposizione dalla "I.FIN. 50" proposta è
riflesso di un articolato iter motivazionale, il cui passaggio finale è in tal
guisa espresso: "con conseguente conferma dell'integrale rigetto di tutte
le domande proposte nell'opposizione al D.I. da queste" (così sentenza
d'appello, pag. 23), ovvero dalle "confederazioni" appellate,
ottenuto.
Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce "violazione e
falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4 (art. 360 c.p.c., n. 3)"
(così ricorso principale, pag. 25).
Adduce che con il primo motivo di appello aveva "denunciato l'assoluta
mancanza, nella sentenza di primo grado, della motivazione in ordine al rigetto
della domanda ex art. 1460 c.c." (così ricorso principale, pag. 25); che
la corte d'appello ha definito "l'omissione di motivazione apparente, in
quanto ritiene che la motivazione posta a fondamento del rigetto della domanda
ex art. 1490 c.c., possa servire anche a motivare la domanda ex art. 1460 c.c.,
stante l'identità di causae petendi tra le due domande ricorso principale, pag.
26); che "tale motivazione è illegittima poichè è principio incontestato
nel nostro ordinamento che la sentenza deve contenere in motivazione,
l'esposizione dei motivi in fatto ed in diritto sui quali ogni decisione si
fonda" (così ricorso principale, pag. 27);
che "dunque il rigetto della domanda ex art. 1460 c.c. doveva essere
autonomamente motivato" (così ricorso principale, pag. 27).
Con il quarto motivo la ricorrente principale deduce "insufficiente motivazione
su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" (così
ricorso principale, pag. 28).
Adduce che "la motivazione della Corte di Appello di Roma, censurata
con il precedente motivo, è anche assolutamente insufficiente, (...) infatti,
non espone quali sono i motivi (...) che fanno ritenere (...) che le domande
(...) abbiano medesima causa petendi" (così ricorso principale, pag. 28);
che è ben evidente che "la domanda ex art. 1460 c.c." (così ricorso
principale, pag. 28) e "l'azione di cui all'art. 1490 c.c." (così
ricorso principale, pag. 28) hanno differenti ragioni giustificative.
Con il quinto motivo la ricorrente principale deduce "violazione e
falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, artt. 4 e 5 in
relazione alla L. n. 47 del 1985, art. 35 (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così
ricorso principale, pag. 29).
Adduce che la condizione per lo svincolo dell'importo di cui
all'ingiunzione "era l'ottenimento di (...) concessioni in sanatoria da
parte delle Confederazioni, in modo ovviamente conforme a quanto previsto dalla
L. n. 47 del 1985" (così ricorso principale, pag.
29); che, "trattandosi di prestazioni corrispettive, (...) ha
correttamente rifiutato di corrispondere la somma di L. 500.000.000 perchè le
Confederazioni non hanno adempiuto agli impegni assunti" (così ricorso
principale, pag. 30); che pertanto l'eccezione di inesistenza del credito
ingiunto formulata con l'opposizione doveva "qualificarsi come eccezione
di inadempimento ex art. 1460 c.c." (così ricorso principale, pag. 30);
che al cospetto di tale eccezione la corte di merito ha assunto che
"l'atto amministrativo (concessioni in sanatorie) (...) non può essere
disapplicato poichè si è in presenza di vizi (...) che atterrebbero alla
discrezionalità tecnica dell'amministrazione" (così ricorso principale,
pag. 31); che, viceversa., giacchè l'edificio di via (OMISSIS), ha volumetria
certamente superiore ai 450 mc, "la domanda di concessione in sanatoria
doveva essere corredata di certificazione attestante l'idoneità statica
dell'edificio" (così ricorso, pag. 32) ed, acclaratane l'indubbia
inidoneità statica, era da applicare la L. n. 47 del 1985, art. 35, comma 5;
che, nella fattispecie, giacchè non si è al cospetto di "discrezionalità
tecnica" della P.A., era conseguentemente da escludere "la
possibilità di concedere la sanatoria impugnata (...), emessa in violazione di
precise disposizioni di legge" (così ricorso principale, pag 33) ed
"il Giudice di secondo grado avrebbe dovuto superare la presunzione di
legittimila dell'atto amministrativo>e (...) disapplicarlo"
(così ricorso principale, pag. 33).
Con il sesto motivo la ricorrente principale deduce "violazione e
falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., comma 1 (art. 360 c.p.c., n. 3)"
(così ricorso principale, pag. 35).
Adduce che "dall'esame del certificato di idoneità statica
dell'immobile di via (OMISSIS) sottoscritto dall'Arch.
Ma. (...) si evince che (...) la portata dei solai indicata dall'arch. Ma.
è la portata media di immobili con destinazione ad ufficio e non certamente
quella di immobili destinati ad ufficio pubblico" (così ricorso
principale, pag. 36); che, contrariamente a quanto affermato dalla corte di
merito, "risulta documentalmente provato, pertanto, che (...) la
documentazione posta a corredo della concessione in sanatoria si componeva di
un certificato di idoneità statica recante la chiara indicazione che l'edificio
di via (OMISSIS) non poteva essere adibito ad ufficio pubblico" (così
ricorso principale, pag. 36); che, contrariamente a quanto assunto dalla corte
distrettuale, il tenore della lettera in data 18.2.1997 inviata dall'ing. P.
sia al Comune di Roma che alle "confederazioni" era tale da indurre a
ritenere che le medesime "Confederazioni conoscevano perfettamente la
carenza strutturale del bene già prima che venisse formalmente rilasciata la
concessione in sanatoria, con la conseguenza che erano a perfetta conoscenza
del fatto che la concessione in sanatoria era anche illegittima" (così
ricorso principale, pag. 37).
Con il settimo motivo la ricorrente principale deduce "violazione
dell'art. 112 c.p.c. in relazione alla domanda ex ari. 1460 c.c. (art. 360
c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag. 38).
Adduce che "la Corte d'Appello di Roma aveva l'obbligo di statuire
sulla domanda ex art. 1460 c.c. anche nel caso che avesse legittimamente
statuito sull'intangibilità dell'atto amministrativo" (così ricorso
principale, pag. 39); che, infatti, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, all.
E), art. 4 l'a.g.o. deve in ogni caso conoscere degli effetti dell'atto
amministrativo in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, quando la
contestazione cade su un diritto che si pretende leso dall'atto amministrativo;
che indubitabilmente essa ricorrente, proponendo l'eccezione di inadempimento,
aveva lamentato "la lesione di un suo diritto patrimoniale (...) causato -
e perciò effetto - di un atto amministrativo (concessione in sanatoria)"
(così ricorso principale, pag. 40).
Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso
principale; parimenti sono connessi.
Il che ne suggerisce la contestuale disamina.
I motivi de quibus, nei termini che seguono, sono fondati e meritevoli di
accoglimento.
Si rappresenta, previamente, con specifico riferimento al terzo motivo, che
il vizio di omessa motivazione, denunciabile in cassazione a rigore ai sensi
dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ricorre nella duplice manifestazione di
difetto assoluto di motivazione o di motivazione apparente, quando il giudice
di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il
proprio convincimento ovvero li indica ma senza un'approfondita disamina logico
- giuridica (cfr. Cass. 24.2.1995, n. 2114, ove si soggiunge che il vizio di
omessa motivazione non ricorre quando il giudice ha valutato gli esiti
probatori in senso difforme da quello preteso dalla parte).
Nel caso di specie motivazione senz'altro vi è.
La corte difatti ha esplicitato che, sebbene il primo giudice non avesse
"apparentemente (...) motivato sull'eccezione di inadempimento sollevata
per paralizzare la domanda monitoria" (così sentenza d'appello, pag. 13),
nondimeno, attesa l'identità delle causae petendi, il complesso delle ragioni
atte a giustificare - nel corpo delle motivazioni del primo dictum - il diniego
delle istanze riconvenzionali, valeva al contempo a sorreggere il rigetto
dell'eccezione di inadempimento.
Beninteso il riscontro della sussistenza della motivazione prescinde - al
momento - dal riscontro - di cui si dirà - della sua esaustività, della sua
congruenza, della sua coiTettezza e, quindi, dal riscontro della sua
"effettività" ovvero, di contro, della sua mera
"apparenza".
Si rappresenta, del pari previamente, che il sesto motivo si specifica e si
qualifica in relazione alla previsione dell'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 5).
Difatti, occorre tener conto, da un lato, che la "I.FIN. 50"
censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha
atteso ("risulta documentalmente provato (...) che (...) la documentazione
(...)"; "altrettanto contraria alle risultanze istruttorie è
l'affermazione della Corte territoriale relativamente al fatto (...)":
così ricorso principale, pagg. 36 - 37);
dall'altro, che il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso
ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), può concernere esclusivamente
l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione
della controversia, non anche l'interpretazione e l'applicazione delle norme
giuridiche (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).
Or dunque, all'esito dei surriferiti preliminari rilievi si rimarca quanto
segue.
E' fuor di dubbio che collateralmente alla sigla con atto in data 30.9.1992
della compravendita immobiliare le confederazioni, la lega e l'associazione, da
un canto, ed "I.FIN. 50", dall'altro, ebbero a sottoscrivere apposito
accordo con cui "convenivano che sul prezzo di vendita definito in
trentamiliardicinquecentomilioni la parte acquirente avrebbe trattenuto
l'importo di cinquecentomilioni a titolo di garanzia sino a quando non fosse pervenuto
il provvedimento di sanatoria di cui alla domanda di condono (frazionamento con
destinazione d'uso degli immobili) da tempo attivata e coltivata e relativa
agli immobili oggetto di compravendita" (così ricorso, pagg. 9 -10).
E' fuor di dubbio ancora che siffatto accordo fosse funzionalmente
collegato al contratto di compravendita immobiliare stipulato in pari data,
sicchè in dipendenza del nesso di reciproca interdipendenza le vicende dell'uno
erano destinate a ripercuotersi sull'altro.
E' fuor di dubbio inoltre che con l'opposizione all'ingiunzione la
"I.FIN. 50" ebbe a sollevare l'eccezione (non già la domanda) di
inadempimento ex art. 1460 c.c. (articolo del resto rubricato "eccezione
di inadempimento ").
E' bene evidente pertanto che gli organismi alienanti fossero espressamente
obbligati ex contractu ad assicurare - qualità promessa ex art. 1497 c.c.,
essenziale ex voluntate partum -alla compratrice - che ovviamente con la
sottoscrizione dell'accordo collaterale aveva palesato un precipuo interesse tal
fine - che lo stato degli immobili compravenduti risultasse conforme alle
prescrizioni urbanistiche ed edilizie (cfr. in tema Cass. 30.5.2013, n. 13612,
secondo cui in caso di compravendita di un'area fabbricabile in funzione di un
determinato progetto edilizio, rivelatosi inattuabile per la minore
potenzialità edificatoria del fondo rispetto a quella sulla quale il compratore
aveva fatto affidamento, la responsabilità del venditore, derivante dalla
situazione di fatto prospettata, non corrisponde ad un 'ipotesi di vendita di
cosa diversa da quella pattuita, essendo il bene immutato sia nella sua
materialità che nella sua idoneità ad essere edificato, mentre la circostanza
che sul suolo acquistato possa essere costruito un edificio di superficie
minore rispetto a quella stimata incide unicamente sulle qualità promesse).
E ciò, ben vero, a prescindere dall'operatività dell'obbligo, postulato dal
dovere di buona fede ex art. 1375 c.c., di salvaguardare appieno l'utilitas su
cui la controparte in dipendenza delle circostanze del caso concreto abbia
fatto ragionevole affidamento. Ed, ulteriormente, dall'operatività degli
obblighi che ai sensi dell'art. 1477 c.c., comma 3, gravano sul venditore,
segnatamente sull'obbligo di consegnare al compratore i documenti relativi
all'uso della cosa venduta.
In questo quadro non si tratta propriamente di disconoscere che si versa,
siccome viceversa ha assunto la corte di merito, in un'ipotesi di
discrezionalità tecnica.
Nè si tratta a rigore di disapplicare l'illegittima concessione in
sanatoria.
Si tratta esattamente di recepire, siccome devesi recepire, in dipendenza
della imprescindibilità del criterio esegetico di cui all'art. 1366 c.c. (cfr.
al riguardo Cass. sez. lav. 6.10.2008, n. 24652), l'efficacia, la portata dell'accordo
aggiuntivo siglato in data 30.9.1992 alla stregua della proiezione obbligatoria
sulla cui scorta l'uomo medio avrebbe ragionevolmente riposto il suo
affidamento (cfr. al riguardo Cass. 15.3.2004, n. 5239), proiezione
obbligatoria includente necessariamente il risultato (l'obbligazione del
venditore di consegnare la cosa con la qualità pattuita è di risultato: cfr.
Cass. 21.5.2013, n. 12458) della conformità ottimale alle prescrizioni
urbanistiche ed edilizie, ovvero il risultato per cui alle medesime
prescrizioni la destinazione d'uso in atto, la destinazione a "pubblici
uffici", quale resa patente dalla locazione - in atto - al Ministero del
Lavoro e della Previdenza Sociale, puntualmente si conformasse.
E, su tale scorta, si tratta conseguentemente di valutare - su di un piano
esclusivamente oggettivo, che non involge, in parte qua agitur, il piano
psicologico - se le concessioni in sanatoria conseguite ex latere venditoris
siano valse ad integrare l'esatto adempimento dell'obbligazione che sulla
stessa parte alienante gravava, a nulla rilevando - in dipendenza, appunto,
della qualità promessa merce il patto aggiuntivo coevamente siglato ed in buona
fede interpretato - la circostanza che la destinazione degli immobili di via
(OMISSIS), a pubblici uffici fosse avvenuta già in epoca antecedente
all'entrata in vigore della L. 6 agosto 1967, n. 765 e fosse del tutto conforme
al p.r.g. del Comune di Roma (a pag. 17 del controricorso le confederazioni, la
lega e l'associazione controricorrenti hanno dedotto: "l'immobile de quo è
stato utilizzato come ufficio pubblico sin dalla sua costituzione (1959), per
cui il mutamento di destinazione era antecedente al settembre 1967 (come
espressamente dichiarato anche nella domanda di sanatoria) "; "è
interessante notare quanto rilevato dal Comune di Roma, Dipartimento 9^,
Ufficio Concessioni Edilizie, nella circolare n. 28337 del 9/9/98: le
destinazioni d'uso in atto prima dell'1 settembre 1967 e non modificate
successivamente sono da considerarsi legittimate anche se in contrasto con le
attuali N. T.A. di P.R.G. ") ovvero la circostanza che il decreto del
Ministro del Lavori Pubblici del 12.2.1982 "riguarda esclusivamente gli
immobili realizzati dopo la sua entrata in vigore" (così controricorso, pag.
18).
Nella prospettiva testè delineata si sottolinea - in linea di principio -
che questa Corte ha esplicitato che il venditore di un bene immobile destinato
ad abitazione, in assenza di patti contrari, è obbligato a dotare tale bene
della licenza di abitabilità (senza della quale esso non acquista la normale
attitudine a realizzare la sua funzione economico - sociale), cosicchè la
mancata consegna della licenza implica un inadempimento che, sebbene non sia
tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque
essere fonte di un danno risarcibile ovvero costituire il fondamento
dell'excceptio prevista dall'art. 1460 c.c., per il solo fatto che si è
consegnato un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo
irrilevante la circostanza che l'immobile sia stato costruito in conformità
delle norme igienico - sanitarie, della disciplina urbanistica e delle
prescrizioni della concessione ad edificale ovvero che sia stato concretamente
abitato (cfr. Cass. 3.7.2000, n. 8880; cfr. Cass. 11.5.2009, n. 10820, secondo
cui il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendila
definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e
di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da
inerzia del Comune - nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il
prominente venditore - è giustificato, ancorchè anteriore all'entrata in vigore
della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perchè l'acquirente ha interesse ad ottenere
la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e
a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, e cioè la fruibilità e la
commerciabilità del bene, per cui ipredetti certificati devono ritenersi
essenziali).
Nella medesima prospettiva si sottolinea - con precipuo riguardo alla
fattispecie de qua agitur - che le circostanze dalla ricorrente principale
specificamente poste in risalto col sesto motivo, circostanze ancorate agli
esiti della consulenza tecnica d'ufficio ("è stato appurato tramite C. T.
U. che le strutture dei solai di un immobile da adibire ad ufficio pubblico
devono avere una portata che va da 350 Kg/cmq a 500 Kg/cmq, e quindi una
portata media di circa 425 Kg/cmq, pari dunque a quasi il doppio di quella
indicata nel certificato di idoneità statica a firma Arch. Ma., allegata alla
richiesta di concessione in sanatoria": così ricorso principale, pag. 36),
alle dichiarazioni rese dall'arch. Mauti, "collaboratore dell'ing. P.
nella redazione della documentazione necessaria per ottenere la concessione in
sanatoria" (così ricorso principale, pag. 36, ove si soggiunge che
"l'Arch.
Ma. dichiara nel suo elaborato che la portata media dei solai dell'immobile
al civico (OMISSIS) oscilla tra 250Kg/cmq e 280Kg/cmq") ed al tenore della
missiva datata 18.2.1997 dall'ing. P., tecnico di fiducia delle alienanti,
inviata sia alle medesime alienanti che al comune di Roma (l'"ing. P.
(...) informava i destinatari della comunicazione che l'edificio di via
(OMISSIS) non poteva essere destinato ad Ufficio Pubblico poichè le strutture
dell'immobile non consentivano": così ricorso principale, pag. 37), non
risultano in alcun modo vagliate dalla corte di merito.
Al riguardo, si badi, specificamente in ordine ai rilievi formulati col
sesto motivo di ricorso, non si è al cospetto di una censura involgente la mera
valutazione che la corte di merito ha degli esiti istruttori operato (siccome,
di contro, pretendono le "confederazioni": cfr. controricorso, pag.
19). sibbene al cospetto di una censura che, in correlazione precipuamente con
la doglianza addotta col terzo motivo, ambisce a dar conto e vale senz'altro a
dar conto della mera apparenza della motivazione su cui si fonda, limitatamente
al rigetto delV exceptio inadimplenti non est adimplendum, il dictum di seconde
cure.
In parte qua agitur, infatti, la sentenza della corte romana si connota
quale esito di una disamina logico - giuridica per nulla approfondita,
agganciata sic et simpliciter, e nonostante il riscontro del riconoscimento da
parte del primo giudice dell'"insussistenza delle condizioni tecniche di
collaudabilità dell'edificio n. 6 per la destinazione convenzionale di pubblici
uffici" (così sentenza d'appello, pag. 13), alla affermazione preliminare
dell'identità della causa petendi ("stesse causae petendi": così
sentenza d'appello, pag. 13) supportante l'exceptio inadimplenti non est
adimplendum e l'azione (l'unica azione) che in concreto si è assunto
legittimamente esperita ovvero l'"azione di...
risarcimento dei danni per equivalente, perfettamente inquadrata nello
schema legale dell'art. 1494 c.c." (così sentenza d'appello, pag. 17) ed
all'affermazione consequenziale dell'inevitabile esito infausto dell'eccezione
di inadempimento in dipendenza dell'esito negativo in prime cure della pretesa
risarcitoria.
Viceversa, sia il rilievo del primo giudice, siccome riferito dalla corte
d'appello ("il tribunale ha respinto la domanda sul rilievo che
l'acquirente non aveva proposto nessuna delle azioni concesse al compratore
dall'art. 1490 c.c. e che, avendo venduto a terzi l'immobile, non aveva subito
alcun pregiudizio dall'esistenza dei predetti vizi, in assenza di una pretesa
del terzo acquirente (nella specie ritenuta inammissibilmente azionata (...)):
così sentenza d'appello, pag. 13) sia il rilievo conclusivo della medesima
corte (alla cui stregua, "dovendosi ritenere raggiunta (...) la prova
dell'incolpevolezza dell'ignoranza (...) dei difetti della costruzione per cui
è causa" (così sentenza d'appello, pag. 23), dovevano essere respinte sia
la domanda di risarcimento danni proposta dalla "Alerion Real Estate
" nel confronti della "I.FIN. 50", sia quella proposta da
quest'ultima società nei confronti delle "Confederazioni") non
valgono a menomare l'autonoma valenza che connotava e connota lexceptio
inadimpleti contractus, sul cui esito, conscguentemente, la sorte dell'azione
risarcitoria non è destinata a riflettersi tout court.
Pur al di là degli insegnamenti di cui si è già fatta menzione (il
riferimento è a Cass. 3.7.2000, n. 8880, ed a Cass. 11.5.2009, n. 10820),
questo Giudice del diritto non solo spiega - da tempo - che nei contratti con
prestazioni corrispettive l'eccezione d'inadempimento mira a conservare
l'equilibrio sostanziale e funzionale tra le contrapposte obbligazioni, sicchè
la parte che oppone l'eccezione, può considerarsi in buona fede, secondo la
previsione di cui all'art. 1460 c.c., solo se il suo rifiuto di esecuzione del
contratto si traduca in un comportamento che risulti oggettivamente ragionevole
e logico, nel senso che trovi concreta giustificazione nel rapporto tra
prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate, in relazione ai legami di
corrispettività e contemporaneità delle medesime (cfr. Cass. 29.4.1982, n.
2708), ma soggiunge che l'esercizio dell'eccezione d'inadempimento ex art. 1460
c.c. prescinde dalla responsabilità della controparte, in quanto è meritevole
di tutela l'interesse della parte a non eseguire la propria prestazione in
assenza della controprestazione e ciò per evitare di trovarsi in una situazione
di diseguaglianza rispetto alla controparte medesima, sicchè detta eccezione
può essere fatta valere anche nel caso in cui il mancato adempimento dipende
dalla sopravvenuta relativa impossibilità della prestazione per causa non
imputabile al debitore (cfr. Cass. 19.10.2007, n. 21973; cfr.
altresì Cass. 4.4.1979, n. 1950, secondo cui ai fini dell'eccezione di
inadempimento è irrilevante che la mancata prestazione della controparte sia o
meno imputabile a colpa, in quanto l'elemento soggettivo opera solo alfine di
escludere la risoluzione per l'inadempimento della parte tenuta alla
prestazione. In dottrina analogamente si è esplicitato che "l'esercizio
del rimedio dell'eccezione d'inadempimento prescinde dalla responsabilità della
controparte in quanto l'interesse della parte a non eseguire la prestazione
senza ricevere la controprestazione è ugualmente meritevole di tutela pur se il
mancato adempimento della controparte dipenda da causa non imputabile ").
Essenzialmente, quindi, nel segno del terzo e del quarto motivo del ricorso
principale è necessario che si dia puntualmente conto dell'attitudine ovvero
dell'inettitudine delle circostanze specificamente prefigurate con il
(riqualificato) sesto motivo dello stesso ricorso a paralizzare la pretesa
pecuniaria che le confederazioni, la lega e l'associazione - controricorrenti
in questa sede - ebbero ad azionare con l'originario ricorso per ingiunzione.
Con l'ottavo motivo la ricorrente principale deduce "violazione e
falsa applicazione dell'art. 99 c.p.c. e art. 2907 c.c. (art. 360 c.p.c., n.
3)" (così ricorso principale, pag. 40).
Adduce che "la Corte d'Appello (...) asserisce apoditticamente che
l'azione proposta da I.FIN. 50 s.r.l. è l'azione ex art. 1490 c.c. e cioè
quella derivante dalla garanzia dovuta dal venditore per i vizi della cosa
venduta" (così ricorso principale, pag. 42); che, su tale scorta, ha
opinato altresì nel senso che, "ove si proponga detta domanda, bisogna
richiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo della
compravendita e, verificato che I.FIN. 50 s.r.l. non aveva ovviamente
effettuato nessuna delle due richieste" (così ricorso principale, pagg. 42
- 43), ha respinto la domanda;
che, viceversa, essa ricorrente, cui senz'altro spettava la scelta
dell'azione da esperire, "mai ha proposto l'azione ex art. 1490 c.c.,
avendo invece inteso ottenere, attraverso le domande svolte, l'adempimento
dell'obbligazione delle Confederazioni ad ottenere una valida concessione in
sanatoria (...) ottenibile solo attraverso i lavori di consolidamento
dell'immobile per cui è causa" (così ricorso principale, pag. 44); che, al
contempo, l'apodittica affermazione della corte romana non poteva essere intesa
neppure quale mera riqualificazione della domanda, "stante l'assoluta
diversità degli elementi obiettivi di identificazione delle azioni in
esame" (così ricorso principale, pag. 44).
Con il nono motivo la ricorrente principale deduce "violazione e falsa
applicazione dell'art. 36 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso
principale, pag. 45).
Adduce che "contesta di aver proposto l'azione ex art. 1490 c.c. anche
tenuto conto della normativa di cui all'art. 36 c.p.c." (così ricorso
principale, pag. 45); che, invero, "mentre la domanda di adempimento
dell'obbligazione attraverso l'esecuzione delle opere di consolidamento statico
dell'immobile al civico n. (OMISSIS) indiscutibilmente dipende dal titolo
dedotto in giudizio dalle Confederazioni (...), certamente (...) non può
dipendere dal titolo dedotto in giudizio dalle attrici sostanziali
(Confederazioni) la domanda di garanzia per i vizi della cosa di cui all'ari.
1490 c.c." (così ricorso principale, pag. 46); che "detta azione
trova infatti il suo fondamento in altro titolo - contratto di compravendita -
che nessuna delle parti ha mai dedotto in giudizio" (così ricorso
principale, pag. 46).
Con il decimo motivo la ricorrente principale deduce "omessa
motivazione su un punto decisivo della domanda (art. 360 c.p.c., n. 5)"
(così ricorso principale, pag. 47).
Adduce che con il secondo motivo di gravame aveva prospettato di non aver
proposto l'azione di garanzia ex art. 1490 c.c. e segg. ed "aveva
denunciato (...) il vizio di ultrapetizione nel quale era incorso il Giudice di
primo grado" (così ricorso principale, pag.
47); che, al riguardo, risulta omessa qualsivoglia motivazione con
susseguente nullità dell'impugnata statuizione.
Con l'undicesimo motivo la ricorrente principale deduce "omessa
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n.
5)" (così ricorso principale, pag. 48).
Adduce che con il terzo motivo di gravame aveva lamentato "il vizio di
minuspetizione o omessa pronuncia sulla domanda di adempimento
dell'obbligazione relativa all'ottenimento di regolare concessione in
sanatoria" (così ricorso principale, pag. 48); che, al riguardo, la corte
romana non ha speso "nemmeno una parola per esporre i motivi di fatto e di
diritto che hanno giustificato la mancata pronuncia in ordine alla domanda di
adempimento" (così ricorso principale, pag.
49).
Con il dodicesimo motivo la ricorrente principale deduce "violazione
dell'art. 1453 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale,
pag. 50).
Adduce che la domanda di condanna delle "confederazioni"
all'esecuzione dei lavori necessari onde rendere agibile lo stabile di via
(OMISSIS), ovvero, in alternativa, al pagamento dell'importo dei lavori a tal
fine necessari, domanda basata sull'apposito accordo siglato con le venditrici
contestualmente all'atto di compravendita del 30.9.1992, è domanda di
adempimento ex art. 1453 c.c.; che, dunque, nel solco dell'azione prescelta,
onerata della prova dell'inadempimento della controparte e del fondamento
dell'azione risarcitoria, aveva "provato mediante C.T.U. l'inidoneità
statica dell'immobile, la necessità di effettuare gli importanti lavori di
adeguamento, l'ammontare degli importi che si rendevano necessari per eseguire
le opere (...), nonchè l'obbligo giuridico delle Confederazioni di eseguire le
opere di adeguamento" (così ricorso principale, pag. 51) L. n. 47 del
1985, ex art. 35;
che, inoltre, aveva "dato prova che si era effettivamente verificato
il danno derivante dal recesso anticipato dal contratto di locazione da parte
del Ministero del Lavoro (...) danno (...) poi quantificato mediante
C.T.U." (così ricorso principale, pag. 52); che, pertanto, in applicazione
dell'art. 1453 c.c., la corte territoriale avrebbe dovuto condannare le
"confederazioni" ad eseguire i lavori di consolidamento statico
dell'immobile o, in alternativa, a pagare le somme necessari e per l'esecuzione
dei medesimi lavori, oltre al risarcimento del danno; che, al contempo, in
rapporto all'esperita "azione risarcitoria ex art. 1453 c.c." (così
ricorso principale, pag. 53), azione non postulante alcuna indagine sullo stato
psicologico della parte inadempiente, dovevano considerarsi superflue "le
considerazioni svolte dalla Corte territoriale in ordine all'incolpevole
ignoranza delle Confederazioni circa il vizio della cosa" (così ricorso
principale, pag. 53).
Con il tredicesimo motivo la ricorrente principale deduce "violazione
dell'art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale,
pag. 53).
Adduce che l'affermata incolpevole ignoranza delle
"confederazioni" circa l'inidoneità statica dell'immobile posto al
civico n. (OMISSIS) è smentita dalle prove documentali acquisite nel corso del
giudizio; che, d'altronde, la mancata trasmissione del certificato di idoneità
statica dell'edificio al civico n. (OMISSIS), trasmissione oggetto di reiterate
richieste, avrebbe dovuto senza dubbio indurre a ritenere che le "confederazioni"
erano ben consapevoli dell'inidoneità statica dell'edificio e quindi "che
detto certificato non era ottenibile" (così ricorso principale, pag.
55); che, comunque, a norma dell'art. 1494 c.c. la colpa del venditore è
presunta, sicchè sarebbe stato onere delle "confederazioni"
venditrici, onere per nulla assolto, dimostrare l'assenza di colpa da parte
loro; che, inoltre, il c.t.u. aveva acclarato che l'inidoneità statica
dell'edificio al civico n. (OMISSIS) si era palesata pur alla stregua della
disciplina legislativa vigente alla data - 1955 - di costruzione dell'immobile;
che, inoltre, il Ministero del Lavoro aveva insistentemente richiesto il
certificato di collaudo statico, sicchè la circostanza che occupasse il civico
n. 6 per nulla dimostrava che lo reputasse idoneo alla destinazione a
"pubblici uffici"; che, ancora, l'arch. Ma. e l'ing. P. avevano
affermato la medesima cosa, ossia che l'immobile era adibibile ad ufficio ma
già ad ufficio pubblico; che, in ogni caso, i documenti depositati "dalla
Triton s.r.l. all'udienza del 22.2.2002 (...) provano storicamente che
nell'anno 2001 le strutture dell'immobile di via (OMISSIS) hanno ceduto e che
pertanto l'immobile è stato evacuato, con ordine alla Triton di mettere in
sicurezza il bene" (così ricorso principale, pag. 61).
Si giustifica dapprima la disamina del tredicesimo motivo del ricorso
principale.
Invero, il profilo della motivazione del dictum di seconde cure che la
censura de qua specificamente attinge, ossia il disconoscimento (dalla corte di
merito operato in relazione al presupposto della colpevole ignoranza postulato
dall'art. 1494 c.c. ai fini) del (diritto al) risarcimento del danno - danno
correttamente inteso dalla corte distrettuale come comprensivo anche delle
spese necessarie ai fini del "recupero" della qualità promessa, ossia
della idoneità statica per la destinazione a pubblici uffici (cfr.
al riguardo Cass. 15.5.2003, n. 7529, secondo cui la mancanza del
certificato di abitabilità dell'appartamento venduto, perchè non rispondente
alle prescrizioni edilizie, è causa di un deprezzamento del bene commisurabile,
qualora il compratore agisca per il risarcimento del danno, alle spese
presuntivamente necessarie per il compimento degli adempimenti sufficienti ad
ottenere la licenza di abitabilità; cfr. altresì Cass. 17.8.1990, n. 8336) -
riveste valenza preliminare ai fini della valutazione delle doglianze formulate
con gli ulteriori motivi, in particolare con l'ottavo, il nono, il decimo,
l'undicesimo ed il dodicesimo motivo del medesimo ricorso.
Si reputa, previamente, che pur il motivo in esame si qualifica in
relazione alla previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Invero, patimenti col motivo de quo "I.FIN. 50" censura
sostanzialmente il giudizio di fatto che la corte distrettuale ha operato
("qualora la Corte territoriale avesse correttamente valutato le prove
documentali agli atti e le risultanze della C. T. U., avrebbe dovuto accogliere
la domanda di risarcimento del danno perfino giusta quanto disposto dall'art.
1494 c.c. ": così ricorso principale, pag. 62).
In ogni caso il tredicesimo motivo è immeritevole di seguito.
Si rappresenta, in primo luogo, che la deduzione di un vizio di motivazione
della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal
giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le
prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le
complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente
prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge; sicchè il preteso vizio di motivazione,
sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della
medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento
del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o
insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle
parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della
decisione (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).
Si rappresenta, in secondo luogo, che, ai fini di una corretta decisione,
il giudice del merito non è tenuto a valutare analiticamente tutte le
risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni
prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle
vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il
suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le
proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente
incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).
Si rappresenta, in terzo luogo, che è propriamente inammissibile il motivo
di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata
per vizio di motivazione, m sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), qualora
esso prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati
acquisiti, attese che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito di
discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei
fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi
del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della
disposizione citata; in caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si
risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei
convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta
all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle
finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresì
Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).
Si rappresenta, ad ogni modo, che la corte distrettuale ha certamente
ancorato il suo dictum, in parte qua agitur, ad ampia, articolata, congrua e
corretta motivazione (motivazione di cui del resto si è in precedenza fornito
ampio riscontro).
L'ottavo, il nono, il decimo, l'undicesimo ed il dodicesimo motivo del
ricorso principale del pari risultano connessi.
Il che ne suggerisce il vaglio contestuaile.
I motivi de quibus, comunque, sono immeritevoli di seguito.
Si rileva, dapprima, con specifico riferimento al decimo ed all'undicesimo
motivo, motivi che la stessa s.r.l. ricorrente qualifica in relazione alla
previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che difetta del tutto
l'assolvimento dell'onere di cui alla seconda parte dell'art. 366 bis c.p.c.,
applicabile ratione temporis al caso di specie (cfr. Cass. sez. un. 1.10.2007,
n. 20603).
In ogni caso si osserva quanto segue.
Si è premesso che l'accordo aggiuntivo era indiscutibilmente collegato alla
compravendita immobiliare siglata in pari data.
E si è premesso che nella fattispecie si versa in tema di qualità
"promessa", essenziale ex vohintate partum; si versa nell'alveo
dell'art. 1497 c.c..
Evidentemente tal ultima precisazione induce a reputare che alla
fattispecie non si attaglia l'insegnamento da questa Corte espresso in epoca
recente a sezioni unite.
Ovvero gl'insegnamento secondo cui in tema di compravendita la disciplina
della garanzia per vizi si esaurisce nell'art. 1490 c.c. e segg., che pongono
il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione,
esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del
contratto o alla sua caducazione mediante l'esperimento, rispettivamente,
dell'actio quanti minoris o dell'actio redibitoria; ne consegue - han soggiunto
le sezioni unite - che il compratore non dispone - neppure a titolo di
risarcimento del danno in forma specifica - di un'azione "di esatto
adempimento" per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa
venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge
(garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il
venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene (cfr. Cass.
sez. un. 13.11.2012, n. 19702).
Del resto negar valenza nel caso de quo al testè menzionato insegnamento
delle sezioni unite è perfettamente in linea non solo con il dato codicistico,
che all'art. 1497 c.c., comma 1 scandisce icasticamente il diritto del
compratore "di ottenere la risoluzione del contratto secondo le
disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento" e, pertanto,
con il postulato - radicato risultato ricostruttivo - che se ne trae, per cui
solo nella garanzia per vizi il venditore risponde anche se non è in colpa
(cfr. Cass. 21.1.2000, n. 639, secondo cui in tema di compravendita il
legittimo esercizio dell'azione di risoluzione per vizi della cosa alienata non
presuppone l'esistenza della colpa dell'alienante, giusta disposto dell'art.
1492 c.c., colpa richiesta, per converso, nella diversa ipotesi di risoluzione
per difetto delle qualità promesse ex art. 1497 c.c. norma che, a differenza
della prima, richiama "le disposizioni generali dell'istituto della
risoluzione per inadempimento", fondato, come noto, sul principio della
colpa dell'inadempiente; cfr. altresì Cass. 24.5.2005, n. 10922, secondo cui, a
differenza della garanzia per vizi - che ha la finalità di assicurare l'equilibrio
contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla
colpa del venditore - l'azione di cui all'art. 1497 c.c., rientrando in quella
disciplinata in via generale dall'art. 1453 c.c., postula che l'inadempimento
posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia
imputabile a colpa dell'alienante ed abbia non scarsa importanza, tenuto conto
dell'interesse della parte non inadempiente).
Ma è perfettamente in linea pur con l'insegnamento dottrinale, che da tempo
puntualizza, sul terreno della "mancanza di qualità" ex art. 1497
c.c., che "dall'essere stata esplicitamente prevista la risoluzione non si
può inferire che sia stata esclusa l'azione per esatto adempimento. Invero, una
volta configurata la reazione alla mancanza di quiìlità come responsabilità per
inadempimento, una volta fondata sulla colpa questa responsabilità, non si
vedono ragioni per cui sarebbero limitati i rimedi offerti in via generale
dall'art. 1453".
Ciò nondimeno, il riscontro - ineccepibilmente operato dalla corte romana -
a fini risarcitori dell'insussistenza (specificamente) del presupposto della
colpevole ignoranza ex art. 1494 c.c. (anzichè, siccome a rigore dovevasi, in
dipendenza del rinvio dell'art. 1497 c.c. alle disposizioni generali in tema di
inadempimento, della colpa tout court) non può che riverberarsi anche sulla
domanda di adempimento ex art. 1453 c.c. che la ricorrente afferma di aver
esperito in prime cure con l'opposizione ex art. 645 c.p.c. (onde conseguire la
condanna delle "confederazioni" ad eseguire i lavori di
consolidamento statico dell'immobile) e vale inesorabilmente a determinarne lo
sfavorevole esito: l'azione di adempimento invero - siccome si ha cura di
puntualizzare in dottrina - "presuppone (...) la responsabilità del
debitore in quanto l'impossibilità a lui non imputabile lo libera
dall'obbligazione".
Propriamente si riverbera, giacchè l'incolpevole ignoranza, recte l'assenza
di colpa, che la corte distrettuale alla stregua delle circostanze
concretamente delibate ha acclarato, si qualifica alla luce dell'insegnamento
per cui, in ipotesi di inadempimento contrattuale - la cui imputabilità è
regolata dall'art. 1218 c.c., norma da coordinarsi con il disposto dell'art.
1176 c.c. sul grado di diligenza richiesta al debitore nell'adempimento - la
prova liberatoria che può fornire quest'ultimo non si sostanzia esclusivamente
in quella positiva del caso fortuito o della forza maggiore, ma può
considerarsi raggiunta ogni qual volta il debitore provi che l'esatto adempimento
è mancato nonostante egli abbia seguito le regole dell'ordinaria diligenza
(cfr. Cass. sez. lav.
30.10.1986, n. 6404).
Non si ignora in verità che l'insegnamento dottrinale, cui in precedenza si
è fatto cenno, ammette per giunta esplicitamente, in relazione alla fattispecie
di cui all'art. 1497 c.c., che, "quali che siano state le intenzioni del
legislatore, la norma non può avere neanche l'altro significato (...) di
escludere ogni reazione quando non vi è colpa". E su tale premessa, poichè
"la liberazione del debitore, se non vi è colpa, ha luogo solo quando
l'esatto adempimento è divenuto impossibile", propende a reputar
compatibile con la natura e la funzione della vendita, quando (nella vendita di
cosa specifica) il difetto è eliminabile, che il compratore chieda che il
venditore lo elimini a sue spese.
Tuttavia l'obiezione che la medesima dottrina pur si prefigura - "in
questo modo si viene ad addossare al venditore un'obbligazione di fare in senso
stretto, mentre invece la vendita è solo un contratto traslativo, ha per
contenuto solo un dare (...) e non un fare in senso stretto" - appare
insuperabile.
Invero, "la legge non prevede il diritto del creditore alla
regolarizzazione giuridica della prestazione mentre la riparazione del bene è
menzionata solo nella disciplina dell'appalto (art. 1668 c.c., comma 1) e del
contratto d'opera (art. 2226 c.c., comma 3)" (soggiunge dal canto suo
altro e condivisibile insegnamento dottrinale).
D'altronde, questa Corte ha chiarito che le obbligazioni principali del venditore,
secondo la previsione dell'art. 1476 c.c., non hanno per oggetto, neppure in
via sussidiaria, un facete relativo alla materiale struttura della cosa venduta
(cfr. Cass. 19.7.1983, n. 4980).
Con il quattordicesimo motivo la ricorrente principale deduce
"violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985" (così
ricorso principale, pag. 63).
Adduce che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale,
"qualunque edificio, in qualunque periodo sia stato cpstituito e sotto
qualunque normativa, qualora non sia conforme alle disposizioni di cui alla L.
n. 47 del 1985, deve essere adeguato secondo le disposizioni emanate con detta
legge" (così ricorso principale, pag. 64); che, del pari contrariamente a
quanto asserito dalla corte distrettuale, "la L. n. 47 del 1985, in
nessuna sua parte, ha stabilito che possano esservi generici accertamenti di
idoneità statica e che pertanto l'affermazione della Corte territoriale viola
le disposizioni della (...) L. n. 47 del 1985" (così ricorso principale,
pag. 65).
Il motivo non merita seguito.
Più esattamente il motivo de quo si risolve in una censura del tutto
generica.
Si è difatti disconosciuto il presupposto della colpevole ignoranza
imprescindibile ai fini del risarcimento del danno pur per equivalente (allo
scopo, cioè, della condanna delle "confederazioni " a pagare, in
alternativa, le somme necessarie per l'esecuzione dei lavori di consolidamento
statico dell'immobile) e si è denegata in ogni caso la possibilità di
condannare le "confederazioni" ad eliminare a proprie spese il
difetto riscontrato.
In tal guisa "riflettere" sulla proiezione temporale di
operatività della L. n. 47 del 1985 ovvero sull'analiticità degli
"accertamenti di idoneità statica" dalla medesima legge pretesi, si
tradurrebbe in un astratto esercizio ricostruttivo del tutto avulso dalle (già
definite) necessità postulate dalla soluzione del caso de quo.
Si rimarca in via del tutto preliminare che il ricorso incidentale esperito
da "Alerion Real Estate" s.r.l. è senz'altro ammissibile (si da atto
che il ricorso incidentale è stato notificato alle altre parti lunedi
21.9.2009, ultimo giorno utile giacchè il 20.9.2009 - evidentemente - era
domenica).
E' sufficiente porre in risalto al riguardo quanto segue.
Ovvero, per un verso, che, poichè l'impugnazione proposta per prima assume
carattere ed effetti di impugnazione principale, e determina la pendenza
dell'unico processo nel quale sono destinate a confluire, per essere decise
simultaneamente, tutte le successive impugnazioni eventualmente proposte contro
la medesima sentenza, il ricorso per cassazione successivo al primo assume
sempre carattere incidentale, ed è pertanto ammissibile se proposto entro il
termine di cui all'art. 371 c.p.c., anche qualora non risulti rispettato il termine
di cui all'art. 327 c.p.c., configurandosi in tal caso come impugnazione
incidentale tardiva(cfr. Cass. 2.7.2007, n. 14969).
Ovvero, per altro verso, che l'impugnazione incidentale tardiva è sempre
ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che
l'impugnazione principale metta in discussione l'assetto giuridico derivante
dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza,
sorgendo l'interesse ad impugnare, anche nelle cause scindibili, come
nell'ipotesi di garanzia impropria, dall'eventualità che l'accoglimento
dell'impugnazione principale modifichi tale assetto giuridico (cfr. Cass. sez.
lav. 29.3.2012, n. 5086; cfr. anche Cass. 24.4.2012, n. 6470, secondo cui
l'art. 334 c.p.c., che consente alle parti, contro le quali sia stata proposta
impugnazione (o chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331
c.p.c.), di proporre impugnazione incidentale, anche quando per esse sia
decorso il termine ordinario o abbiano fatto acquiescenza, è rivolto a rendere
possibile l'accettazione della sentenza, in situazione di reciproca
soccombenza, solo quando anche l'avversario tenga analogo comportamento, e,
pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo
a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorchè autonomo rispetto a quello
investito dall'impugnazione principale).
Con il primo motivo la ricorrente incidentale deduce "nullità della
sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 con riferimento all'art. 132 c.p.c., n. 5,
art. 156 c.p.c., comma 2, e art. 161 c.p.c., comma 1" (così ricorso
incidentale, pag. 26).
Adduce che "la sentenza impugnata risulta affetta da insanabile
nullità, attesa la mancanza di statuizioni nel dispositivo della sentenza (...)
in ordine all'appello incidentale di Alerion" (così ricorso incidentale,
pag. 26); che "nella parte precettiva della sentenza, rappresentata dal
dispositivo, la Corte d'Appello di Roma nulla statuisce con riferimento alla
domanda proposta in via preliminare e di rito da Alerion in primo grado ed in
sede di gravame" (così ricorso incidentale, pag. 27); che
"l'incontrovertibile omissione comporta l'impossibilità totale di
determinare l'effettiva portata precettiva di tutte le pronunce di cui alla
sentenza impugnata e, conseguentemente, la nullità della stessà (così ricorso
incidentale, pag. 28); che "la portate precettiva della sentenza nemmeno
risulta individuabile dalle enunciazioni contenute nella motivazione"
(così ricorso incidentale, pag. 28).
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e
falsa applicazione ex art. 360, n. 3 dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art.
132 c.p.c., n. 5" (così ricorso incidentale, pag.
30).
Adduce, alternativamente al vizio di nullità della sentenza impugnata,
"il vizio di omessa pronuncia, per avere la Corte d'Appello, pur premesso
in tesi, ossia in motivazione, l'accoglimento dell'appello incidentale di
Alerion, ed in dispositivo (capo a) la riforma del capo e) della sentenza di
prime cure, non ha statuito in ordine alla domanda svolta, in sede di appello
incidentale" (così ricorso incidentale, pag. 30).
Il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale sono strettamente
connessi.
Se ne giustifica perciò l'esame congiunto.
I medesimi motivi, comunque, sono immeritevoli di seguito.
Si è dato conto testualmente - in precedenza - delle conclusioni formulate
da "Alerion Real Estate" s.r.l. nella comparsa con cui ebbe a
spiegare intervento nel giudizio di opposizione promosso da "I.FIN.
50" s.r.l..
Si è del pari evidenziato che con sentenza n. 985/2003 il tribunale di Roma
ebbe, tra l'altro, al capo e) del dispositivo, a dichiarare inammissibile la
domanda formulata dalla intervenuta "Triton" in danno della opponente
"I.FIN. 50".
Si è analogamente premesso che la corte di Roma con la sentenza impugnata
in questa sede, benchè abbia "accolta la doglianza proposta in via
incidentale dalla s.p.a. Alerion Real Estate (già s.r.l. Triton) per
l'affermazione dell'ammissibilità, negata dal Tribunale, dell'intervento
esercitato nel corso del giudizio di primo grado" (così sentenza
d'appello, pag. 9), ha, in riforma del capo e) della sentenza appellata,
respinto nel merito "le domande risarcitorie proposte dalla interveniente
Alerion Estate s.p.a.
contro I.FIN. 50 s.r.l. e da quest'ultima nei confronti della
Confederazioni opposte" (così sentenza d'appello, pag. 24).
E' indubitabile pertanto che la corte distrettuale ha statuito,
rigettandola, sulla pretesa risarcitoria, correlata pur al presunto minor
valore dell'immobile (l'importo - L. 5.269.313.200 - per il quale la
"Triton" ebbe a domandare la condanna della "I.FIN. 50" è
esattamente uguale all'ammontare di tutti i danni subiti e subendi che la
medesima interveniente aveva lamentato), azionata in via principale dalla
intervenuta "Triton" e reiterate da "Alerion Real Estate"
con l'appello incidentale.
Così come è indubitabile che ha provveduto sulle istanze adesive in via
gradata formulate dalla intervenuta e ribadite con l'appello incidentale: la
corte territoriale ha confermato il dictum di prime cure - che, a sua volta,
aveva rigettato in toto l'opposizione al decreto ingiuntivo - in tal modo
respingendo l'appello principale di "I.FIN. 50".
E' da escludere pertanto che omessa pronuncia vi sia stata.
D'altro canto, il rigetto della pretesa risarcitoria azionata dalla
interveniente "Triton" - similmente al rigetto dell'appello
principale e, dunque, alla conferma del rigetto dell'opposizione ex art. 645
c.p.c. - costituisce il riflesso di un articolato iter motivazionale con cui si
è dato ampiamente conto dell'insussistenza del presupposto della colpevole
ignoranza di cui all'art. 1494 c.c. in capo alle confederazioni, alla lega ed
all'associazione, originarie alienanti, e, quindi, anche in capo ad
"I.FIN. 50", allorchè ebbe a vendere a "Triton" con il
rogito per notar Mazza in data 20.11.1992 ("dovendosi ritenere raggiunta
(...) la prova dell'incolpevolezza dell'ignoranza, sia da parte delle
Confederazioni venditrici, che, a fortiori, da parte della sub-alienante I.FIN.
50, dei difetti (...)": così sentenza d'appello, pag. 23).
Non si nega, in verità, che il capo a) della sentenza d'appello in questa
sede censurata contiene espresso riferimento unicamente alle "domande
ricarcitorie proposte dalla interveniente Alerion Estate s.p.a. contro I.FIN.
50 s.r.l." e nulla dice in ordine alle domande di accertamento patimenti
spiegate in via principale dall'allora "Triton".
Tuttavia, devesi ragionevolmente opinar nel senso che la reiezione
esplicita della domanda risarcitoria, così come l'articolato reticolo motivazionale
che la supporta, si dilatino sino ad inglobare pur il rigetto e a dar ragione
pur del rigetto delle domande dichiarative spiegate dalla intervenuta.
Del resto, è davvero difficile scorgere in capo ad "Alerion Real
Estate", in forma avulsa dalla pretesa risarcitoria simultaneamente fatta
valere con la comparsa di intervento (e, si ribadisce, correlata anche al
presunto minor valore dell'immobile), un precipuo interesse ex art. 100 c.p.c.
a conseguire nei confronti di "I.FIN. 50" la mera declaratoria dei
vizi occulti che l'allora "Triton" aveva denunciato alla propria
dante causa, rectius la mera declaratoria, limitatamente all'edificio posto al
n. (OMISSIS), del difetto di qualità ("promessa", nel rapporto tra le
originarie alienanti, da un canto, e la "I.FIN. 50", dall'altro)
"essenziale" (nel rapporto tra la "I.FIN. 50", da un canto,
e la "Triton", dall'altro).
Con il terzo motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e
falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 91 c.p.c., comma 1, in
relazione all'art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4) e art. 118 disp. att.
c.p.c., comma 1" (così ricorso incidentale, pagg. 31 - 32).
Adduce che "il salto logico e giuridico operato dalla Corte
territoriale si riflette anche sulla successiva pronuncia, al capo b), circa le
spese processuali" (così ricorso incidentale, pag. 32);
che essa ricorrente incidentale "non risulta, anche diversamente dalla
ricorrente principale, pienamente soccombente rispetto alla sentenza di prime
cure" (così ricorso incidentale, pag. 32); che "anzi. (...) a fronte
della motivazione della sentenza di secondo grado, se ne potrebbe inferire
(...) una sostanziale vittoria processuale" (così ricorso incidentale,
pag. 32); che dunque è ingiustificata l'addebitabilità delle spese, quali
individuate, in vincolo obbligatorio solidale rispetto ad I.FIN. 50" (così
ricorso incidentale, pag. 33).
Con il quarto motivo la ricorrente incidentale deduce "omessa e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360
c.p.c., n. 5 in tema di condanna alle spese processuali" (così ricorso
incidentale, pag. 33).
Adduce che "se per un verso la Corte d'Appello accoglie pienamente il
principale motivo di impugnazione di Alerion avverso la sentenza del Tribunale
di Roma, per altro verso ed inspiegabilmente non ne trae le dovute conclusioni
in ordine alla pronuncia di condanna alle spese processuali" (così ricorso
incidentale, pag. 34).
Il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale sono
significativamente correlati.
Se ne impone la simultanea disamina.
I medesimi motivi, in ogni caso, non meritano seguito.
Si è già ribadito che la corte romana non solo ha respinto nel merito
"le domande risarcitorie proposte dalla interveniente Alerion Estate
s.p.a. contro I.FIN. 50 s.r.l." (così sentenza d'appello, pag. 24). Ma,
ulteriormente, ha provveduto - rigettandole - sulle istanze adesive in via
gradata formulate dalla intervenuta e reiterate con l'appello incidentale.
Su tale scorta è sufficiente evidenziare quanto segue.
In primo luogo, che la condanna al pagamento delle spese processuali è una
conseguenza legale della soccombenza, che a sua volta va individuata tenendo
presente la statuizione espressa nella sentenza (cfr. Cass. 18.10.2001, n.
12758).
In secondo luogo, che è soccombente rispetto alla parte vincitrice e può
perciò essere condannata al rimborso delle spese del processo, non solo la
parte che propone domande, ma anche quella che interviene nel processo per
sostenere le ragioni di una parte o che, chiamala nel processo da una delle
parti, ne sostiene le ragioni contro l'altra (cfr. Cass. 23.2.2007, n. 4213).
In terzo luogo, che, in tema di spese processuali, solo la compensazione
deve essere sorretta da motivazione, e non già l'applicazione della regola
della soccombenza cui il giudice si sia uniformato, atteso che il vizio
motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ove ipotizzato, sarebbe
relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò, non costituenti
punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta
(cfr. Cass. 23.2.2012, n. 2730).
Con il quinto motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e
falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 112 c.p.c., in relazione
all'art. 1490 c.c. e art. 329 c.p.c." (così ricorso incidentale, pag. 35).
Adduce che "la Corte territoriale qualifica l'azione risarcitoria
(...) quale proposta ai sensi dell'art. 1494 c.c., rilevando che nessuna delle
parti appellanti ha censurato tale qualificazione" (così ricorso
incidentale, pag. 35); che "quanto ad Alerion (...) la sentenza incorre in
un error in procedendo, poichè non sussiste acquiescenza alcuna alla pronuncia
del Giudice di seconde cure in ordine alla qualificazione giuridica del
rapporto" (così ricorso incidentale, pag. 36).
Il motivo è destituito di fondamento.
Con la comparsa depositata in data 19.11.1998, con cui ebbe a spiegare
intervento volontario, "Triton" ebbe in via principale a domandare la
condanna di "I.FIN. 50" al risarcimento dei danni tutti - pur
correlati al minor valore dell'immobile - che essa interveniente aveva assunto
di aver subito.
La corte di merito, dal canto, ha espressamente ricondotto al paradigma
dell'art. 1494 c.c. l'azione risarcitoria esperita e dalla "I.FIN.
50" e dall'allora "Triton".
Orbene, non si nega l'incongruenza, a rigore, del riferimento, a fini
qualificatori, all'art. 1494 c.c..
Invero, si versa sul terreno della mancanza di qualità "promessa"
ed "essenziale", sicchè, in virtù del rinvio di cui all'art. 1497
c.c. alle disposizioni generali in tema di inadempimento, il diritto al
risarcimento del danno - siccome anticipato - si esplica propriamente nel segno
e nell'alveo della previsione dell'ultima parte dell'art. 1453 c.c., comma 1
("salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno ").
Nondimeno, l'allora "Triton" s.r.l. aveva indiscutibilmente
domandato il ristoro dei danni asseritamente sofferti (cfr. ricorso
incidentale, pagg. 4 - 5).
Il che è quanto basta onde disconoscere la prospettata violazione dell'art.
112 c.p.c..
Con il sesto motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e
falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 112 c.p.c., in relazione
agli artt. 1490, 1492 e 1494 c.c. e art. 324 c.p.c." (così ricorso
incidentale, pag. 36).
Adduce che, contrariamente a quanto assunto della Corte territoriale,
"Alerion (...) ha agito ai sensi dell'art. 1490 c.c., introducendo
tuttavia non il solo rimedio di cui all'art. 1494 c.c., bensì e
prioritariamente la richiesta di riduzione prezzo di cui all'art. 1492 c.c. (actio
quanti minoris)" (così ricorso incidentale, pag.
38); che la corte territoriale ha del tutto omesso di riferirsi, senza
alcuna motivazione, all'azione esperita dall'allora "Triton";
che "in buona sostanza, la censurata violazione non ha permesso ad
Alerion (...) di vedersi riconosciuto il buon diritto alla restituzione del
quantum minoris da parte dell'alienante" (così ricorso incidentale, pag.
41).
Con il settimo motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e
falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 132 c.p.c., nn. 4 e 5, ,
in relazione all'art. 1492 c.c." (così ricorso incidentale, pag. 42).
Adduce che "la Corte territoriale non ha punto motivato, se non per
relationem all'azione ex art. 1494 c.c., perchè non possa ritenersi accoglibile
la diversa actio quanti minoris (...) promossa sin dal primo grado di giudizio
e riproposta in grado d'appello" (così ricorso incidentale, pag. 42); che
la corte territoriale "si è limitata a soffermarsi sull'esistenza o meno
di ignoranza incolpevole in I.FIN. 50 e nelle Confederazioni, senza considerare
che il bene della vita richiesto dall'odierna ricorrente incidentale, in via
prioritaria rispetto all'azione risarcitoria era costituito dalla richiesta di
riduzione del prezzo del bene" (così ricorso incidentale, pagg. 42 - 43).
Con l'ottavo motivo la ricorrente incidentale deduce "omessa e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360
c.p.c., n. 5 in tema di qualificazione della domanda e dei suoi effetti"
(così ricorso incidentale, pag. 43).
Adduce che "la Corte territoriale (...) nemmeno prende in
considerazione il vero ed unico oggetto dell'intervento autonomo, ossia l'actio
quanti minoris" (così ricorso incidentale, pag. 44);
che "nemmeno il dispositivo, ovviamente, si pronuncia sulla domanda,
limitandosi (...) al richiamo ad azione risarcitoria" (così ricorso
incidentale, pag. 44).
Il sesto, il settimo e l'ottavo motivo del ricorso incidentale sono
strettamente connessi.
Il che ne suggerisce l'esame congiunto.
I medesimi motivi, comunque, sono immeritevoli di seguito.
Si ribadisce che, siccome la corte distrettuale ha correttamente opinato,
si versa in tema di difetto di qualità "promessa" ex art. 1497 c.c.,
nel rapporto tra le originarie alienanti ed "I.FIN 50" s.r.l., ed in
tema di difetto di qualità "essenziale" ex art. 1497 c.c., nel
rapporto tra "LFIN 50" s.r.l. e (ora) "Alerion Real Estate"
s.r.l..
Si ribadisce che la disciplina di cui all'art. 1497 c.c. rimanda alle
disposizioni generali in tema di inadempimento (cfr. altresì Cass. 24.5.2005,
n. 10922).
In questi termini, giusta le disposizioni di cui all'art. 1453 c.c. e segg,
non vi è margine per L'actio quanti minoris, ovvero per l'azione tendente alla
manutenzione del contratto, sia pure condizionatamente ad una riduzione del
prezzo rapportato alla minore utilità od al minor valore della res acquistata.
In ogni caso, alla luce delle conclusioni formulate nella comparsa con cui
ebbe ad intervenire nel giudizio di opposizione promosso da "I.FIN.
50" (e quali riprodotte alle pagg. 4 e 5 del ricorso incidentale), è da
escludere che "Triton" abbia invocato la riduzione del prezzo
pattuito con "I.FIN. 50" in rapporto al minor valore, alla minore
utilità dello stabile posto al civico n. (OMISSIS).
"Triton" piuttosto ebbe ad invocare l'accertamento del minor
valore dell'immobile nel quadro e nel solco del risarcimento dei complessivi
danni che ha assunto di aver sofferto (si è già rimarcato che l'importo - L.
5.269.313.200 - per il quale la "Triton" aveva domandato la condanna
della "I.FIN. 50" è esattamente pari all'ammontare dei danni subiti e
subendi che la medesima interveniente aveva lamentato).
Con il nono motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e
falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 112 c.p.c., in relazione
agli artt. 1490, 1494, 1495, 2909 c.c. e 324 c.p.c." (così ricorso
incidentale, pag. 45).
Adduce che, "allorquando esclude il diritto al risarcimento danni di
Alerion nei confronti di I.FIN. 50 e, correlativamente, di quest'ultima nei confronti
delle Confederazioni, perchè l'alienante avrebbe senza colpa ignorato, almeno
sino al giugno del 1997 (...), il vizio di idoneità statica dell'edificio di
via (OMISSIS) (...) dimentica la Corte che mai I.FIN. 50 ha fornito detta
prova, mai ha eccepito l'ignoranza incolpevole del vizio prevista all'art. 1494
c.c., comma 1" (così ricorso incidentale, pag. 45);
che "anzi, lungo l'arco del giudizio ha riconosciuto, con
dichiarazione confessoria a norma dell'art. 1495 cpv., c.c., l'esistenza e
l'entità del vizio, mai disconoscendo la propria responsabilità" (così
ricorso incidentale, pag. 45); che "in ogni caso, il Giudice d'appello si
è indebitamente ed illegittimamente sostituito alla parte, facendo valere ex
officio un'eccezione personale mai sollevata dall'appellante (...) di tal che,
sotto questo profilo, la sentenza risulta viziata da ultrapetizione" (così
ricorso incidentale, pag. 46).
Con il decimo motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e
falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 115 c.p.c. in relazione
all'art. 1494 c.c., comma 1" (così ricorso incidentale, pag. 47).
Adduce che "risultano censurabili (...) - in ragione delle prove
dedotte dalla ricorrente incidentale - le motivazioni addotte dalla Corte
d'Appello per asserire l'incolpevole ignoranza dell'alienante e (...) delle
Confederazioni in ordine alla inidoneità statica dell'immobile di via
(OMISSIS)" (così ricorso incidentale, pag. 47); che "tanto la
produzione documentale quanto la semplice ricostruzione ed interpretazione
lasciano presumere, con indizi gravi precisi e concordanti ex art. 2729 c.c.,
comma 1, l'anteatta conoscenza, oltre che naturalmente conoscibilità, (...) del
vizio dedotto dalla ricorrente incidentale" (così ricorso incidentale,
pag. 49): che "i documenti in atti di giudizio e l'avere assunto
Confederazioni verso I.FIN. 50 e questa verso Alerion, l'obbligazione di
ottenere il mutamento di destinazione d'uso dell'immobile per cui è causa,
comprovano la presunzione assoluta e de iure di conoscenza pregressa dello
stato di idoneità statica dell'immobile" (così ricorso incidentale, pag.
49).
Senz'altro il decimo motivo ed, in parte, il nono si risolvono in censure
del giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso.
Il che non solo giustifica la riqualificazione in foto del decimo motivo ed
in parte del nono in rapporto alla previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n.
5 ma, evidentemente, ne consiglia la disamina simultanea.
In ogni caso ambedue i motivi sono destituiti di fondamento.
Per i profili involgenti il giudizio di fatto operato dalla corte di merito
non possono che rilevare - ovviamente - le medesime argomentazioni formulate ai
fini del rigetto del tredicesimo motivo del ricorso principale.
Per i profili del nono motivo che si risolvono nella denuncia di un error
in procedendo (sicchè in parte qua il nono motivo è da riqualificare ai sensi
dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) è sufficiente evidenziare quanto segue.
Ovvero che l'eccezione di incolpevole ignoranza da parte della "I.FIN.
50". allorchè ebbe a sigiare con la s.r.l. "Triton" l'atto di
alienazione a rogito notar Mazza del 20.11.1992, del difetto di idoneità
statica - ai fini della destinazione a pubblici uffici - dell'immobile di cui
al n. (OMISSIS) era certamente desumibile dal complesso delle argomentazioni
che la medesima "I.FIN. 50" aveva svolto nell'atto di opposizione a
sostegno sia del rigetto della pretesa monitoria azionata dalle confederazioni,
dalla lega e dell'associazione, sia della domanda riconvenzionale esperita nei
confronti delle medesime originarie alienanti.
Si tenga conto che per la proposizione di un'eccezione sostanziale non si
richiede che la parte impieghi formule sacramentali, ma è sufficiente qualsiasi
deduzione, anche; implicita, che la riveli (cfi: Cass. 29.4.2004, n. 8225).
Il ricorso principale, in conclusione, va accolto per quanto di ragione,
segnatamente in relazione al terzo, al quarto ed al sesto motivo; gli ulteriori
motivi evidentemente vanno respinti;
conseguentemente la sentenza n. 2501 del 6.11.2007/16.5.2008 della corte
d'appello di Roma va cassata in relazione alle censure accolte con rinvio,
limitatamente al rapporto processuale tra "I.FIN. 50" s.r.l., da un
lato, e le controricorrenti "Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana",
"Confederazione Nazionale Coldiretti", "Confederazione Italiana
Agricoltori CI.A.", "Confederazione Cooperative Italiane",
"Lega Nazionale Cooperative e Mutue", "Associazione Generale
Cooperative Italiane", dall'altro, ad altra sezione della medesima corte
distrettuale, che provvederà altresì alla regolamentazione delle spese presente
grado di legittimità tra le stesse parti.
Il ricorso incidentale, in conclusione, va integralmente respinto.
Giusti motivi, correlati alla sovrapponibilità in misura significativa della
posizione di "I.FIN. 50" s.r.l., da un lato, e di "Alerion Real
Estate" s.r.l., dall'altro, suggeriscono l'integrale compensazione delle
spese del presente grado di legittimità tra le medesime parti.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
accoglie, per quanto di ragione, segnatamente in relazione al terzo, al
quarto ed al sesto motivo il ricorso principale; respinge gli ulteriori motivi
del medesimo ricorso; cassa la sentenza n. 3561 del 6.11.2007/16.5.2008 della
corte d'appello di Roma in relazione alle censure accolte e rinvia,
limitatamente al rapporto processuale tra "I.FIN. 50" s.r.l., da un
lato, e le controricorrenti "Confederazione Generale dell'Agricoltura
Italiana", "Confederazione Nazionale Coldiretti", "Confederazione
Italiana Agricoltori CI.A.", "Confederazione Cooperative
Italiane", "Lega Nazionale Cooperative e Mutue",
"Associazione: Generale Cooperative Italiane", dall'altro, ad altra
sezione della medesima corte distrettuale che provvederà altresì alla
regolamentazione delle spese presente grado di legittimità tra le stesse parti;
rigetta il ricorso incidentale proposto da "Alerion Real Estate"
s.r.l.;
compensa integralmente tra "I.FIN. 50" s.r.l., da un lato, ed
"Alerion Real Estate" s.r.l., dall'altro, le spese del presente grado
di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. seconda civ.
della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2015