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vi informo che lo "Studio Legale Internazionale" di Roma con sede in Via Cicerone n. 49 cerca un praticante neolaureato da inserire nel settore CIVILE.
I requisiti richiesti sono:
- laurea da meno di un anno;
- voto di laurea non inferiore a 106/110
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Le selezioni verranno svolte durante questa settimana.
martedì 10 settembre 2013
martedì 26 marzo 2013
Le Banche e i clienti: luci ed ombre su un rapporto controverso.
della Dott.ssa Stefania Cosimi
Buon giorno
cari lettori in un contesto socio economico come quello attuale scagli la prima
pietra chi non si è dovuto confrontare quotidianamente con la “sua Banca”. Per molti di noi tecnici o
non il confronto con il titano in questione è spesso gravoso: il personale che
interloquisce con l’utente, infatti, è costretto ad applicare le proprie “normative” spiegando di
volta in volta al cliente che divenendo tale le ha accettate, anche se non
pienamente comprese. Si purtroppo è così tutti noi aderiamo ad un servizio
bancario firmando montagne di documenti e legittimando l’istituto ex post a
variare le condizioni contrattuali a nostro sfavore. Sembra un eresia ma è
cosi.
Ma andiamo con
ordine e partiamo dalla considerazione che normalmente una famiglia è costretta
ad aprire un conto corrente bancario per le normali operazioni di cassa:
accreditare bonifici per stipendi e pensioni, domiciliare utenze e se le è
possibile fare del risparmio.
Il contratto
di conto corrente è regolato nella sua disciplina dal codice civile e dal Testo
Unico sulle Disposizioni Bancarie. L’art. 1834 cc prevede che nei depositi di
somme di denaro presso una banca questa ne acquista la proprietà ed è obbligata
a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto
ovvero a richiesta del depositante. La Banca risponde dell’esecuzione
dell’incarico secondo le norme sul mandato (art.1856 cc) Il T.U. delle
disposizioni bancarie con particolare riferimento all’art.118 comma 1° prevede
che nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola
approvata specificatamente dal cliente la facoltà di modificare unilateralmente
i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussiste
un giustificato motivo oggettivo.
lunedì 4 marzo 2013
La Cassazione sul giustificato motivo di licenziamento.
Corte Suprema di Cassazione – Sezione
Lavoro – 2 gennaio 2013, n. 6 – Pres. Venuti – Est. Dantino (Conferma Corte di Appello di Brescia, 25
ottobre 2007, n. 429).
Licenziamenti individuali – Art.5 L.604/1966 – Giustificato motivo
oggettivo – Onere della prova – Datore di lavoro – Impossibilità di adibire il
lavoratore ad altre mansioni.
L’art.5 L.n.604/1966 pone a carico del datore
di lavoro l’onere della prova della sussistenza del giustificato motivo del
licenziamento e che in giurisprudenza è ormai consolidato il principio secondo
cui in capo al datore di lavoro incombe, altresì, l’onere di provare
l’impossibilità di adibire lo stesso lavoratore da licenziare ad altre mansioni
equivalenti a quelle svolte all’interno dell’azienda nell’ambito
dell’organizzazione aziendale.
Licenziamenti individuali – Giustificato
motivo oggettivo – Valutazione del datore di lavoro –Non sindacabilità –
Giudice – Controllo sussistenza del motivo – Reimpiego – Prova - Onere del
lavoratore.
Il giustificato motivo oggettivo determinato
da ragioni tecniche, organizzative e produttive è rimesso alla valutazione del
datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di
gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica
tutelata dall’art.41 Cost. Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine
all’effettiva sussistenza del motivo adottato dal datore di lavoro, che deve
dare prova anche in ordine all’impossibilità di una differente utilizzazione
del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che
può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva
ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di
allegazione di tale possibilità di reimpiego.
Stefania
Cosimi
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La Cassazione sulla definizione di Costruzione.
Corte di Cassazione Sezione – Sez. II Civile – 3 gennaio 2013 n.
72 - Pres. Oddo – Est. Nuzzo
Presidente (Conferma Corte di Appello di Catania, 26 luglio 2005, n. 795)
Diritti reali – Definizione di costruzione – Accessori e pertinenze –
Incorporate – Distanze legali- Rispetto normativa – Sussiste.
Deve ritenersi “costruzione” ai fini
dell’osservanza delle norme dei regolamenti integrativi della disciplina
codicistica, qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri di
solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante
appoggio ed incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica,
contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal livello
di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua
destinazione.
Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni
consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, così da ampliarne
la superficie e la destinazione economica sono soggette al rispetto della
normativa sulle distanze.
Stefania
Cosimi
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La Cassazione in tema di luci e vedute.
Corte di Cassazione – Sez. II Civile – 10
gennaio 2013 n. 512 – Pres. Oddo – Est. Scalisi – C. c/ F. (Cassa con rinvio Corte d’Appello di Napoli,
18 ottobre 2005 n.2914)
Diritti reali – Luci e vedute – Luce
irregolare – Vicinato – Diritto a conformità – Muro comune.
L’apertura non avente i caratteri di veduta,
in quanto non consenta di affacciarsi sul fondo del vicino, è considerata luce
benché non conforme alle prescrizioni di cui all’art. 901 c.c. ; pertanto,
nell’ipotesi di luce irregolare, il vicino ha diritto che tale apertura sia
resa conforme alle prescrizioni di cui all’articolo testé menzionato ovvero ha
diritto di chiuderla acquistando la comunione del muro ed appoggiandovi la
propria fabbrica o costruendovi in aderenza.
Per il testo integrale della sentenza clicca qui!!!
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Le aperture sul
fondo del vicino si distinguono in due categorie.
-Le luci sono aperture che consentono il passaggio di aria e luce ma non l’affaccio.
-Le vedute (anche dette prospetti) sono le finestre che consentono di affacciarsi e guardare di fronte, di lato e in obliquo[1]. In buona sostanza, il principale elemento discretivo tra le due si concreta nella possibilità di guardare o meno sul fondo del vicino. Le vedute postulano oltre al requisito dell’inspectio quello della prospectio[2], vale a dire la possibilità di sporgersi sul fondo altrui, non solo frontalmente ma anche obliquamente e lateralmente. In ragione di ciò, le vedute si distinguono in dirette, oblique o laterali a seconda di come si realizza l’affaccio.
A propria volta le luci[3] si dividono in regolari e irregolari. Le prime sono tali allorché osservino le prescrizioni contenute nell’art. 901 c.c. In particolare, devono essere dotate di:
1) un’inferriata (di dimensioni tali da impedire il passaggio di una persona) volta a garantire la sicurezza del vicino;
2) una grata[4] diretta ad impedire l’immissione nel fondo del vicino di cose gettate dalla finestra;
3) un’altezza minima, sia interna che esterna, per impedire l’esercizio della veduta sul fondo finitimo; il lato inferiore non deve essere ad un’altezza minore di 2,5 metri dal suolo a cui si desidera dare aria (se si trovano a pian terreno) o di 2 metri (se sono ai piani superiori); il lato inferiore non deve essere ad un’altezza minore di 2,5 metri dal fondo del vicino (art. 901 n. 2 e 3 c.c.). Tutti e i tre requisiti sono essenziali e devono sussistere contemporaneamente. Inoltre nessun elemento componente dell’apertura (rectius: della luce) come, ad esempio, la grata, deve fuoriuscire dal profilo esterno del muro nel quale la luce è realizzata.
-Le luci sono aperture che consentono il passaggio di aria e luce ma non l’affaccio.
-Le vedute (anche dette prospetti) sono le finestre che consentono di affacciarsi e guardare di fronte, di lato e in obliquo[1]. In buona sostanza, il principale elemento discretivo tra le due si concreta nella possibilità di guardare o meno sul fondo del vicino. Le vedute postulano oltre al requisito dell’inspectio quello della prospectio[2], vale a dire la possibilità di sporgersi sul fondo altrui, non solo frontalmente ma anche obliquamente e lateralmente. In ragione di ciò, le vedute si distinguono in dirette, oblique o laterali a seconda di come si realizza l’affaccio.
A propria volta le luci[3] si dividono in regolari e irregolari. Le prime sono tali allorché osservino le prescrizioni contenute nell’art. 901 c.c. In particolare, devono essere dotate di:
1) un’inferriata (di dimensioni tali da impedire il passaggio di una persona) volta a garantire la sicurezza del vicino;
2) una grata[4] diretta ad impedire l’immissione nel fondo del vicino di cose gettate dalla finestra;
3) un’altezza minima, sia interna che esterna, per impedire l’esercizio della veduta sul fondo finitimo; il lato inferiore non deve essere ad un’altezza minore di 2,5 metri dal suolo a cui si desidera dare aria (se si trovano a pian terreno) o di 2 metri (se sono ai piani superiori); il lato inferiore non deve essere ad un’altezza minore di 2,5 metri dal fondo del vicino (art. 901 n. 2 e 3 c.c.). Tutti e i tre requisiti sono essenziali e devono sussistere contemporaneamente. Inoltre nessun elemento componente dell’apertura (rectius: della luce) come, ad esempio, la grata, deve fuoriuscire dal profilo esterno del muro nel quale la luce è realizzata.
Si qualificano
come irregolari le luci che risultino scevre dei citati requisiti.
Allorché le luci non siano regolari il proprietario del fondo finitimo può agire in giudizio per ottenerne la regolarizzazione[5].
La ratio sottesa al meticoloso regime delle distanze indicato sia per le luci (art. 901 c.c.) sia per le vedute (art. 905 c.c.) trova il proprio ubi consistam nell’esigenza di salvaguardare la riservatezza del fondo del vicino[6].
Allorché le luci non siano regolari il proprietario del fondo finitimo può agire in giudizio per ottenerne la regolarizzazione[5].
La ratio sottesa al meticoloso regime delle distanze indicato sia per le luci (art. 901 c.c.) sia per le vedute (art. 905 c.c.) trova il proprio ubi consistam nell’esigenza di salvaguardare la riservatezza del fondo del vicino[6].
Marcella Ferrari
[1] Vedasi
BIANCA, Diritto civile. La proprietà,
6, Milano, Giuffrè, 1999, 278 ss.
[2] In tal
senso vedonsi Cass., Sez. II, 25
ottobre 2006 n. 22844; Cass., S.U.,
28 novembre 1996, n. 10615, Giust. Civ.,
1997, I, 633.
[3]
L’apertura di luci sul fondo vicino può costituire oggetto di un diritto personale ovvero di un diritto di
servitù.
[4] Ai sensi
dell’art. 901 n. 1 c.c. le maglie delle grata non possono essere superiori a
tre centimetri quadrati.
[5] Il
proprietario del fondo su cui è aperta una luce irregolare non ha diritto alla sua chiusura ma solo alla
sua regolarizzazione. In tal senso vedasi: Cass.,
Sez. II, 4 luglio 2000, n. 8930.
[6] In tal
senso Cass., Sez.II, 28 luglio 2005,
n. 15885.
La Cassazione sulla responsabilità precontrattuale.
Corte di Cassazione – Sez. II Civile – 10
gennaio 2013 n. 477 – Pres. Dott. R.M.Triola – Est. S. Petitti; H. c/ R.T.A. ed
altro (Cassa con rinvio Corte
d’Appello di Trento, 23 luglio 2005 n. 320)
Responsabilità precontrattuale – Configurabilità
– Trattative – Clausola generale – Correttezza e lealtà – Stipulazione del
contratto
La regola disposta dall’articolo 1337 c.c
non si riferisce alla sola ipotesi di ingiustificata rottura delle trattative,
ma assume valore di clausola generale il cui contenuto non può essere
predeterminato e implica il dovere per le parti di trattare in modo leale
astenendosi da comportamenti reticenti e fornendo alla controparte ogni dato
rilevante al fine della stipulazione del contratto; pertanto la violazione di
questa regola aggiuntiva è idonea a determinare la configurazione della
responsabilità precontrattuale.
In estrema sintesi e senza
pretesa di completezza, la massima su riportata deriva dalla seguente vicenda
concreta. La regione autonoma Trentino Alto Adige inseriva un “avviso di
ricerca” su alcuni giornali al fine di individuare un immobile da destinare a
nuova sede per gli Uffici del Catasto e del Libro Fondiario. A tale annuncio
rispondeva la società Alfa, la cui offerta veniva considerata idonea. Si
avviava così la fase delle trattative. Successivamente, giungeva un’offerta
tardiva da parte della società Beta. L’originaria deliberazione con la quale si
giudicava idonea la prima offerta veniva revocata e, senza fornire informazione
veruna alla società Alfa, la regione proponeva un nuovo avviso di ricerca
all’esito del quale, scelto un nuovo immobile, procedeva all’acquisto. La
società Alfa conveniva in giudizio la regione domandando un risarcimento a titolo
di responsabilità precontrattuale. La domanda veniva rigettata in primo e in
secondo grado.
Sul vizio di motivazione nel ricorso in cassazione.
Corte di Cassazione – Sez. Lavoro – 10
gennaio 2013 n. 533 – Pres. Dott. G. Vidiri – Est. F. Garri; I. c/ L. (Conferma Corte d’Appello di Catania, 13
dicembre 2009 n.835)
Ricorso per cassazione – Vizio di motivazione – Omessa motivazione –
Inammissibile istanza di revisione – Estraneità finalità giudizio.
È inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la
sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell'art.
360 n. 5 c.p.c., qualora esso intenda far valere la rispondenza della
ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo
della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante
coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni
all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e
dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e
non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai
sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di
ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una
richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea
alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.
Cfr. Cass. Sez. Lavoro, 26 marzo 2010 n. 7394; Cass., Sez. Lavoro, 20 aprile 2006 n. 9233, Cass., Sez. Lavoro, 3 agosto
2000, 10206
Il principio testé citato è stato più volte affermato dalla Suprema
Corte, in senso conforme si vedano le pronunce su riportate.
Il vizio di motivazione è il solo motivo di ricorso che non si fonda su di un errore di diritto e, mercé il quale, è possibile avvicinare il giudizio di cassazione a quello di merito[1]. Nondimeno il giudizio di legittimità si articola in una valutazione di carattere logico, non a caso si parla di vizio logico e non può tralignare in una valutazione che sfoci nel merito. Alla Corte di Cassazione, infatti, non è consentito procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie pertanto le censure solevate non possono sostanziarsi nel sollecitare una lettura diversa da quella accolta dal giudice del merito[2].
In conclusione, il vizio di motivazione sollevato nel ricorso non può né deve celare la richiesta di un giudizio nel merito.
Il vizio di motivazione è il solo motivo di ricorso che non si fonda su di un errore di diritto e, mercé il quale, è possibile avvicinare il giudizio di cassazione a quello di merito[1]. Nondimeno il giudizio di legittimità si articola in una valutazione di carattere logico, non a caso si parla di vizio logico e non può tralignare in una valutazione che sfoci nel merito. Alla Corte di Cassazione, infatti, non è consentito procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie pertanto le censure solevate non possono sostanziarsi nel sollecitare una lettura diversa da quella accolta dal giudice del merito[2].
In conclusione, il vizio di motivazione sollevato nel ricorso non può né deve celare la richiesta di un giudizio nel merito.
Marcella Ferrari
La Cassazione sulla natura e disciplina del contratto preliminare.
Corte di Cassazione – Sez. II Civile – 14
Gennaio 2013 n. 707 – Pres. Felicetti – Est. Bianchini – (Conferma Corte di Appello Genova, 06
Ottobre 2005, n.905).
Contratto preliminare di compravendita –
Natura giuridica – Esecuzione anticipata – Disciplina applicabile – Art. 2932
c.c.
Il preliminare, ferma restando la sua natura
di contratto giuridicamente definitivo pur se economicamente inserito in una
fattispecie in itinere, laddove ne
sia prevista la esecuzione anticipata di alcuni degli effetti principali del
contratto c.d. definitivo, non diviene un aliquid novi rispetto allo schema delineato dall’art. 2932 cod. civ., ma la sua
concreta disciplina risente dell’inizio di esecuzione che esso ha avuto.
Alessia
Ventura
La Cassazione sulla responsabilità da cose in custodia.
Corte di
Cassazione – Sez. III Civile – 15 gennaio 2013 n. 783 – Pres. Battisti Petti –
Est. Lanzillo (Cassa Corte di Appello di Genova, 18
novembre 2009 n. 1142).
Responsabilità civile – Cose in custodia – Caso fortuito –
Impossibilità di intervenire - Onere della prova – Custode.
L’onere della prova sia del caso
fortuito sia dell’adempimento dei doveri di diligente manutenzione, è a carico
del custode: per escludere la responsabilità di quest’ultimo, è necessario
accertare inequivocabilmente o l’insussistenza del fatto storico dedotto in
giudizio oppure l’assoluta impossibilità di intervenire in tempo utile per
eliminarlo.
Elisabetta Patrizi
La Cassazione sull'incapacità lavorativa e il risarcimento del danno.
Corte di Cassazione –
Sez. III Civile – 16 gennaio 2013 n. 908 – Pres. Petti – Est. Carleo – (Cassa Corte d’Appello di Firenze, 21 marzo
2006 n. 595).
Incapacità lavorativa generica – Danno
biologico – Danno patrimoniale - Risarcimento – Lucro cessante – Reddito –
Postumi di piccola entità – Capacità lavorativa – Non pregiudicata.
Fermo restando che la categoria
concettuale della incapacità lavorativa generica, elaborata prima
dell'individuazione di quella del danno alla salute al fine di evitare che il
danneggiato privo di redditi di lavoro non conseguisse alcun risarcimento
(diverso da quello connesso al danno morale), non può essere utilizzata per
riconoscere in modo automatico un danno patrimoniale da lucro cessante come
conseguenza delle lesioni e fermo restando che i postumi permanenti di piccola
entità, non essendo idonei ad incidere sulla capacità di guadagno, non
pregiudicano la capacità lavorativa e "rientrano" invece nel danno
biologico come menomazione della salute psicofisica della persona, deve però
sottolinearsi che ciò non significa che il danno biologico "assorba"
anche la menomazione della generale attitudine al lavoro, giacché al danno alla
salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli
sotto il profilo dell'attitudine a produrre guadagni attraverso l'impiego di
attività lavorativa. Ed invero, gli effetti pregiudizievoli della lesione della
salute del soggetto leso possono dar luogo anche ad un danno patrimoniale di
lucro cessante ove eliminino o riducano la capacità di produrre reddito.
Valentina
Marzorati
La Cassazione in tema di insidia stradale.
Corte di Cassazione – Sez. III Civile –
16 gennaio 2013 n.907 – Pres. Petti – Est. Armano –(Conferma
Corte d’Appello di Brescia, 2 marzo 2006 n. 154).
Sinistro – Insidia stradale – Pericolo occulto – Fatto illecito non
autonomo – Ente Gestore – Colpa – Affidamento utente.
L’insidia stradale, intesa come pericolo
occulto, non visibile e non prevedibile, non integra una regola sostanziale,
cioè un’autonoma figura di illecito, ma è solo una figura sintomatica del
comportamento colposo dell’ente gestore della strada pubblica, che, in virtù
del principio del neminem ledere, è
tenuto a far si che il bene demaniale non presenti per l’utente una situazione
di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, che dia luogo al c.d.
trabocchetto o insidia stradale.
La norma di riferimento rimane pur sempre
l’art. 2043 c.c. e la colpa dell’ente gestore consiste nell’aver creato un
affidamento nell’utente della strada o delle sue pertinenze, sulla non
pericolosità della stessa.
Valentina Marzorati
La strage di Ustica. Le cause, i danni risarcibili, i termini di prescrizione.
di Alessia Ventura
CASSAZIONE CIVILE – Sez. III – 28 Gennaio 2013 n. 1871 – Pres. Uccella – Est. D’Alessandro (Cassa con rinvio la sentenza della Corte d’Appello Palermo n. 788 del 14 Giugno 2010)
La sentenza che si
offre in commento, oltre ad aver ricevuto una notevole attenzione mediatica - trattandosi
di pronuncia inerente il risarcimento del danno a carico del Ministero della
Difesa e di quello delle Infrastrutture e dei Trasporti, a favore dei parenti
delle vittime della c.d. strage di Ustica -, presenta molteplici profili di
interesse civilistico, attinenti la responsabilità civile ex artt. 2043 e ss. c.c., il diritto al risarcimento del danno
parentale jure proprio et jure hereditatis,
ed il decorso del termine prescrizionale dell’azione risarcitoria.
Ma procediamo con ordine.
La
pronuncia della Suprema Corte si inserisce in una complessa vicenda giudiziaria
inerente il disastro aereo, avvenuto il 27 Giugno 1980, tra le isole di Ponza e
di Ustica, che ha provocato la morte delle 81 persone, 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio, che si trovavano a
bordo del DC9-TIGI della società Itavia, precipitato misteriosamente in mare.
La
c.d. strage di Ustica, ha assunto, sin da subito, rilievo penalistico, portando
allo svolgimento di un processo penale conclusosi, tuttavia, con assoluzioni
nel merito ed estinzione dei reati per intervenuta prescrizione (Cass. Pen. n.
9174/2007). La sentenza di legittimità, inoltre, nulla statuisce circa le cause
del disastro, ritenendo non raggiunta la prova, oltre ogni ragionevole dubbio,
che si sia trattato di un’esplosione interna all’aereo, ovvero di un attacco
missilistico, oppure di un cedimento strutturale del DC9-TIGI.
Un
anno dopo il disastro, nel 1981, la società Itavia, proprietaria del velivolo,
cita in giudizio il Ministero dell’Interno, quello della Difesa e quello delle
Infrastrutture e dei Trasporti, per sentirli condannare al risarcimento dei
danni subiti. Il processo civile ha portato alla pronuncia della Suprema Corte
n. 10285 del 05 Maggio 2009, la quale, non solo ha ribadito che il Giudice
civile non può richiamare sic et
simpliciter le risultanze del processo penale, senza tener conto della
diversità di regole probatorie operanti nei due giudizi - “l’oltre ogni
ragionevole dubbio” in sede penale, in luogo del “più probabile che non” in sede civile -, ma ha individuato, a carico
dei Ministeri della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti convenuti,
una responsabilità omissiva ex art.
2050 c.c., per aver violato l’obbligo giuridico, imposto loro da specifiche
normative, di garantire la sicurezza dei voli e del traffico aereo.
domenica 13 gennaio 2013
Responsabilità civile della struttura sanitaria.
di Fabrizia Gaia Postiglione
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Seppur brevemente, bisognerà delineare i principi vigenti nell'ambito della responsabilità medica soffermandosi sulla distinzione esistente nella sfera civilistica e penalistica, del principio di casualità.
E' pacifico ormai (Cass. 21619/2007) che nell’accertamento del nesso causale civile, è possibile accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale dal momento che la causalità civile obbedisce alla logica del "più probabile che non".
Sia dal punto di vista funzionale che morfologico, gli istituti presentano infatti delle differenze che si palesano anche nell'ambito della tipicità (caratterizzante il diritto penale) e della atipicità.
La casualità elaborata dai civilisti prevede la preponderanza dell'evidenza o del principio del "piu' probabile che non" a differenza del campo penale dove si sostiene che la prova non puo' che essere quella "oltre il ragionevole dubbio".
La giustificazione delle predette diversità concerne i valori in gioco nei due ambiti fermo restando che la casualità civilistica dovrà comunque essere accertata dal Giudice il quale valuterà caso per caso utilizzando perizie orientate nella logica del "più probabile che non".
In ossequio a quanto esposto, in relazione alla casualità, questa dal punto di vista civilistico non potrà che fondarsi su logiche chiaramente probabilistiche.
Ciò premesso, svariati possono essere gli errori dei sanitari i quali,possono arrecare danni non solo alla vittima ma anche ai suoi familiari e, molto spesso, questi danni sono conseguenti o ad imperizia (dovuta alla scarsa preparazione ), o ad un comportamento negligente oppure a una mancanza nelle cautele necessarie (imprudenza).
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