di Alessandra Scaglione
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Il presente contributo tratta della responsabilità
civile nell’attività medico chirurgica, nella specifica ipotesi in cui il medico esegua prestazioni
chirurgiche, seppure occasionalmente, all’interno di una clinica privata e della tutela risarcitoria conseguente,
alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite n. 26972 del 2008 in tema di danno
esistenziale.
La questione impone duplice trattazione;
in primo luogo, occorre risolvere la
questione relativa al rapporto di lavoro che si instaura tra il paziente e la
clinica privata nella ipotesi in cui, a seguito di pagamento del corrispettivo,
vi sia un inadempimento delle obbligazioni a suo carico nonché l’inadempimento
della prestazione medico professionale svolta dal sanitario quale ausiliario
della clinica; in secondo luogo, occorre interrogarsi sul risarcimento del danno non patrimoniale
ed, in particolare, se sia configurabile e possa formare oggetto di tutela
risarcitoria il cosiddetto danno esistenziale.
Riguardo al primo quesito, rileva la
lettura dell’articolo 1228 cod.civ. a norma del quale il debitore che
nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche
per fatti dolosi o colposi di costoro.
Detta norma postula: l’esistenza di un
danno causato dal fatto dell’ausiliario, la configurazione di un rapporto tra
l’ausiliario e il committente ed, infine, un rapporto di causalità tra il danno
e l’esercizio dell’ausiliario.
La definizione del caso prospettato non
può arrestarsi alla semplice lettura della norma, ma necessita del supporto di
risposte giurisprudenziali sul punto.
Secondo un orientamento dei giudici di
legittimità il rapporto che si instaura tra il paziente e la clinica ha fonte
in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei
confronti del terzo.
A fronte del pagamento del corrispettivo sorgono
a carico della casa di cura obblighi alberghieri di messa a disposizione del personale medico ausiliario, paramedico e
di apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie. La Corte prosegue col ritenere
che la responsabilità della clinica può conseguire, ai sensi dell’articolo 1218
cod.civ. all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico,
nonché, ai sensi dell’art. 1228 cod.civ., all’inadempimento della prestazione
svolta dal sanitario, quale ausiliario necessario, sussistendo, in tal caso, un
collegamento tra la prestazione medico professionale effettuata e
l’organizzazione aziendale, non rilevando la circostanza che il medico risulti
essere “di fiducia” del paziente.
Fondamento logico-giuridico su cui si
basa tale pronuncia si ricava dal principio generale emergente dall’art. 1228
cod.civ. secondo il quale il debitore risponde dall’opera dei terzi della cui
collaborazione si avvale.
Il rapporto tra il paziente e la clinica
si fonda su un atipico contratto, a prestazioni corrispettive, con effetti
protettivi a favore del terzo, in base al quale si esige un dovere di controllo
specifico sulle attività e sulle iniziative intraprese dal personale sanitario,
avuto riguardo a tuttigli eventi, prevedibili e non prevedibili, che possono
sorgere in tutte le fasi di degenza. Sussiste, quindi, in capo alla stessa, ed
ancora laddove si accerti che non vi sia stato l’esatto adempimento della
prestazione svolta dal sanitario, la sua responsabilità sarà configurata ai
sensi delle disposizioni del codice civile di cui agli artt. 1218 e 1228.
In tale fattispecie al paziente spetterà
provare il contratto con la struttura sanitaria e allegare le conseguenze
negative patite. Il debitore dovrà dimostrare l’assenza di colpa medica o la
non rilevanza, sotto il profilo eziologico, del suo inadempimento.
Riguardo al risarcimento per i pregiudizi
concretamente patiti dal paziente, occorre fare riferimento all’art. 2059 cod.
civ. a norma del quale il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei
casi espressamente previsti dalla legge.
Il danno non patrimoniale è risarcibile
quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge o sia stato leso
in modo grave un diritto della persona costituzionalmente garantito, sia quando
derivi da fatto illecito sia quando scaturisca da un inadempimento
contrattuale.
Sebbene il danno non patrimoniale
costituisca categoria unitaria, le diverse categorie di danno, elaborate in
passato da dottrina e giurisprudenza, possono avere funzione solo descrittiva/indicativa.
Intendendosi il danno esistenziale quale pregiudizio del fare reddituale del
soggetto, determinante una modifica peggiorativa della personalità da cui
consegue uno sconvolgimento delle abitudini di vita con alterazione degli
assetti relazionali del soggetto sia all’interno che all’esterno del nucleo
familiare conseguente alla ingiusta violazione dei valori essenziali
costituzionalmente garantiti.
Il danno derivante dalla lesione di
diritti inviolabili della persona è risarcibile a tre condizioni: che
l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale, che la lesione sia grave e che
il danno non sia futile.
Oggetto di tutela, nel caso che ci
occupa, è il diritto alla salute e alla integrità psichica e fisica della
persona, sancito dall’art. 32 Cost., ai
quali va riconosciuta tutela risarcitoria.
Seppure la giurisprudenza di legittimità
si sia espressa in prima battuta ammettendo il danno esistenziale come autonomo
titolo di danno, il cui riconoscimento non può prescindere dalla natura e dalle
caratteristiche del pregiudizio, con sentenza n. 26972 del 2008 la Suprema Corte a
Sezioni Unite ha affermato che nel nostro ordinamento non è ammissibile
l’autonoma categoria di danno esistenziale atteso che i pregiudizi scaturenti
dalla lesione di interessi della persona, di rango costituzionale, sono già
risarcibili ai sensi dell’art. 2059 cod.civ. quale categoria ampia e
onnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i
pregiudizi concretamente patiti dalla vittima senza duplicare il risarcimento
attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici.
Fondamento di tale orientamento
giurisprudenziale si basa sul principio dell’unitarietà del danno non
patrimoniale quale categoria onnicomprensiva posto che l’art. 2059 cod.civ. fa
implicito divieto di una duplicazione risarcitoria per il medesimo pregiudizio.
La giurisprudenza così ammette le varie voci di danno ai soli fini descrittivi
non potendo costituire pregiudizi autonomamente risarcibili.
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