domenica 15 gennaio 2012

La Cassazione sulla costituzione della caparra confirmatoria mediante assegno.

Cassazione civile, sez. II, 9 agosto 2011, n. 17127.

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Potendo la caparra essere costituita anche mediante consegna di assegno bancario, incorre in comportamento contrario a correttezza e buona fede il prenditore che, accettato l’assegno, non lo ponga all’incasso, con la conseguenza che insorgono a suo carico gli obblighi propri della caparra e, dunque, quello della restituzione del doppio nel caso di inadempienza all’obbligazione cui la caparra stessa si riferisce

Nella sentenza presa ad esame, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto valida la costituzione della caparra mediante consegna di assegno bancario.
L’eventuale inadempimento da parte del creditore, lo obbliga a restituire il doppio della caparra anche se questa non era stata ancora incassata effettivamente, dal momento che il debitore, pagando con assegno, ha adempiuto alla propria obbligazione.
Il mancato incasso dell’assegno ricade sul creditore, il quale ha accettato tale mezzo di pagamento liberando il debitore della sua obbligazione.
Nella fattispecie,Tizio acquistava un autoveicolo dalla società Beta e versava un assegno, a titolo di caparra, a Sempronio, collaboratore della venditrice.
Tuttavia, la società venditrice non consegnava la vettura nei tempi stabiliti e Tizio si recava alla concessionaria per chiedere spiegazioni: in tale sede veniva contestato all’acquirente la mancata stipula del contratto nonché il mancato versamento della caparra.
Tizio citava in giudizio la società Beta chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione del doppio della caparra.
La convenuta si costituiva contestando quanto richiesto dall’attore e chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa Sempronio, il quale, tuttavia, confermava la versione fornita da Tizio.
Il Tribunale, ritenendo fondata la posizione dell’attore, dichiarava la risoluzione del contratto e condannava la società venditrice alla restituzione del doppio della caparra, ritenendola responsabile di culpa in vigilando nei confronti del proprio collaboratore Sempronio.
Questa proponeva appello avverso detta sentenza.
La Corte d’Appello territorialmente competente, accoglieva i motivi di gravame, condannando l’appellato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
In particolare il Collegio di secondo grado riteneva che non sussistesse un contratto di caparra tra le parti e che la traditio del denaro non fosse mai avvenuta dall’acquirente al venditore, “posto che detto denaro non era mai uscito dalla disponibilità dell’acquirente per entrare in quella del venditore anche tramite il suo rappresentante…omissis….la caparra ha natura reale, con il corollario dell’improduttività degli effetti giuridici suoi propri ove non si consegni una somma di denaro”.
Pertanto, la Corte d’Appello ritiene che manchi la prova della consegna del denaro e di conseguenza la pretesa dell’attore originario non è fondata.
Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione dall’acquirente, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione.
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte ha accolto il ricorso ritenendo fondato il motivo esposto dal ricorrente.
L’art. 1197 c.c. consente al debitore di liberarsi dell’obbligazione eseguendo una prestazione diversa con il consenso del debitore: il pagamento tramite assegno bancario intestato al creditore  fa presumere l’accordo tra gli obbligati.
La mancata riscossione dell’assegno non impedisce all’acquirente di doversi ritenere adempiente, sicchè si deve considerare validamente data la caparra confirmatoria.
A nulla rileva, inoltre, il deteriorarsi del rapporto tra la società venditrice ed il collaboratore Sempronio.
Infatti, sottolineano i giudici di piazza Cavour, “se si consente che colui il quale riceve la caparra a mezzo assegno bancario, ove non voglia più dare esecuzione al contratto, possa liberarsi dalle proprie obbligazioni semplicemente non ponendo all’incasso l’assegno, risulterebbe evidente il deficit di tutela in favore della parte adempiente”.
Quando il venditore accetta la dazione della caparra con assegno, è suo onere quello di porre all’incasso il titolo.
Infatti, questa caparra si chiama confirmatoria poiché in passato costituiva mezzo di prova della formazione del contratto e dunque “confermava” la sua esistenza.
Ciò che rileva, ai sensi dell’art. 1385 c.c., è che il versamento sia espressamente dato "a titolo di caparra", escludendosi pertanto che possa desumersi o dedursi la natura di caparra da altre circostanze non espresse.
Per maggiore comprensione, si riporta una sintetica distinzione tra i tipi di versamenti anticipatori del pagamento della somma pattuita in un contratto:
La caparra può essere confirmatoria o penitenziale. Se non è specificato il tipo di caparra si ritiene sempre confirmatoria. 
Vediamo la differenza tra i tipi di caparra e acconto:  
La caparra confirmatoria viene persa se l'acquirente si ritira dall'affare. Se è il venditore (cioè chi ha già incassato i soldi) a ritirarsi dall'impegno, dovrà rendere all'acquirente la somma ricevuta oltre a una penale pari a quanto incassato: in pratica, restituirà il doppio della somma ricevuta. 
La parte adempiente (quella che rispetta i patti) può, se lo preferisce, ricorrere al giudice per ottenere che venga eseguito quanto stabilito nel contratto. Inoltre potrà richiedere un risarcimento del danno subito. (Si pensi per esempio al caso di un venditore che si fosse già impegnato all'acquisto di un altro immobile pensando di aver già venduto il suo). 
La caparra penitenziale è invece una somma di denaro prestabilita dalle parti e che sono disponibili a pagare in caso di recesso dal contratto. In questo modo viene escluso il ricorso al giudice o a richieste di risarcimento danni. 
Infine l' acconto è solo una somma che viene imputata al prezzo concordato e che deve essere restituito se per qualsiasi motivo non si arriva alla chiusura della compravendita. 

Si riporta di seguito la motivazione della sentenza sopra esposta ed analizzata:

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1197, 1277, 1289 e 1385 cod. civ. e vizio di motivazione.
Premesso che l’art. 1197, primo comma, cod. civ. consente al debitore di liberarsi dell’ obbligazione eseguendo una prestazione diversa con il consenso del debitore e che se il contratto ha per oggetto un’obbligazione pecuniaria e il debitore, in luogo del pagamento del debito, versa un assegno bancario emesso in favore del creditore, il consenso di quest’ultimo è desumibile dall’avere accettato un mezzo e un luogo di pagamento diversi da quelli dovuti per legge, il ricorrente ritiene che la Corte d’appello abbia violato le indicate disposizioni. Nel caso di specie, osserva il ricorrente, era infatti pacifico che con la A. s.r.l., tramite lo Z., era intervenuto un contratto di vendita relativo ad un veicolo oggetto della proposta di acquisto, così come era pacifica l’accettazione, come caparra confirmatoria, di un assegno bancario che, per il deteriorarsi dei rapporti tra la A. e lo Z. non era stato posto all’incasso.
Peraltro, la mancata riscossione dell’assegno da parte del creditore, per ragioni a lui imputabili, non impediva che l’acquirente dovesse considerarsi adempiente alla propria obbligazione, sicché la caparra confirmatoria doveva ritenersi validamente data, con tutte le conseguenze del caso per l’inadempimento del venditore. D’altra parte, se si consente che colui il quale riceve la caparra a mezzo assegno bancario, ove non voglia più dare esecuzione al contratto, possa liberarsi dalle proprie obbligazioni semplicemente non ponendo all’incasso l’assegno, risulterebbe evidente il deficit di tutela in favore della parte adempiente.
In ogni caso, osserva il ricorrente, l’assegno, ancorché non posto all’incasso, era pur sempre rimasto nella disponibilità o della A. s.r.l. o dello Z., non avendo del resto né l’una né l’altro denunciato lo smarrimento del titolo, sicché egli aveva diritto alla restituzione del doppio della caparra
Il ricorso è fondato.
La Corte d’appello ha ritenuto di poter risolvere la controversia argomentando sulla base del rilievo che, a parte ogni dubbio sulla valida conclusione del contratto principale, non vi era in atti la prova della avvenuta conclusione del contratto di caparra, non essendo la somma recata dall’assegno mai entrata nella disponibilità del venditore, uscendo dalla sfera di disponibilità dell’acquirente. La caparra, ha osservato la Corte d’appello, ha natura reale, sicché gli effetti giuridici della stessa non si verificano nel caso in cui la somma di denaro (o l’altra cosa fungibile) non venga consegnata al venditore .
Questa ultima affermazione della sentenza impugnata è senz’altro condivisibile, nel senso che, oltre ad essere conforme alla lettera dell’art. 1385, primo comma, cod. civ., trova il conforto della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 542 4 del 2 002, secondo cui la caparra confirmatoria costituisce un contratto che si perfeziona con la consegna che una parte fa ali ‘ altra di una somma di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d’inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato, c.d. con-tratto principale).
Il problema che si pone è peraltro quello di verificare se l’effetto proprio della conclusione di un contratto di caparra possa avere luogo anche nel caso in cui venga consegnato dall’acquirente al venditore un assegno bancario, allorquando il detto assegno venga ricevuto dall’ acquirente e dallo stesso non posto all’incasso. La risposta da dare al quesito deve, ad avviso del Collegio, essere positiva.
Invero, tenuto conto della funzione dell’assegno bancario, la caparra ben può essere costituita mediante la consegna di un assegno bancario, perfezionandosi l’effetto proprio della caparra al momento della riscossione della somma recata dall’assegno, e quindi salvo buon fine. Allorquando il venditore accetti la dazione della caparra con assegno bancario, è suo onere quello di porre all’incasso il titolo, nel senso che, ove l’assegno non venga posto in riscossione, il mancato buon fine dell’assegno bancario — che preclude il raggiungimento dello scopo proprio della consegna della caparra - è riferibile unicamente al comportamento del prenditore.
Questa Corte, del resto, ha avuto modo di affermare che «in base alla regola di correttezza posta dall’articolo 1175 cod. civ. , l’obbligazione del debitore si estingue a seguito della mancata tempestiva presentazione all’ incasso del titolo di credito (assegno bancario, nella specie) da parte del creditore, che in tal modo, viene meno al suo dovere di cooperare in modo leale e fattivo all’adempimento del debitore. Deve quindi ritenersi che, se il creditore omette, violando la predetta regola di correttezza, di compiere gli adempimenti necessari affinché il titolo sia pagato, nei termini di legge, dalla banca tratta ria (o da altro istituto bancario), tale comportamento omissivo deve essere equiparato, a tutti gli effetti di legge, all’avvenuta esecuzione della “diversa prestazione”, con conseguente estinzione dell’obbligazione, ex art. 1197 cod. civ.» (Cass. n. 12079 del 2007) .
Ed ancora si è chiarito che «in caso di pagamento effettuato mediante assegni di conto corrente, l’effetto liberatorio si verifica con la riscossione della somma portata dal titolo, in quanto la consegna del titolo deve considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, pro solvendo; tuttavia, poiché l’assegno, in quanto titolo pagabile a vista, si perfeziona, quale mezzo di pagamento, quando passa dalla disponibilità del traente a quella del prenditore, ai fini della prova del pagamento, quale fatto estintivo dell’obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l’avvenuta emissione e la consegna del titolo, incombendo invece al creditore la prova del mancato incasso, la quale, pur costituendo una prova negativa, non si risolve in una probatio diabolica, in quanto, avuto ri-guardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto implica il mancato pagamento» (Cass. n. 17749 del 2009).
Ne consegue che, allorquando la caparra venga costituita mediante consegna di un assegno bancario, il comportamento del prenditore del titolo che, dopo averne accettato la consegna, ometta poi di porlo all’incasso, trattenendo comunque l’assegno e non restituendolo all’acquirente, è contrario a correttezza e buona fede e comporta a carico del prenditore l’insorgenza degli obblighi propri della caparra, nel senso che ove risulti inadempiente all’obbligazione cui si riferisce la caparra, egli sarà tenuto al pagamento di una somma pari al doppio di quella indicata nell’assegno.
La Corte d’appello di Trieste, dunque, nell’accogliere il gravame proposto dalla Autogru s.r.l., è incorsa nella denunciata violazione di legge.
In applicazione dell’indicato principio, la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’ art. 384 cod. proc. civ. , con il rigetto dell’appello.
La novità della questione sottoposta all’esame di questa Corte e l’esito contrastante dei giudizi di merito, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di appello e di quello di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello; compensa le spese del giudizio di appello e di quello di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 18 aprile 2011

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