sabato 27 febbraio 2016

TRACCIA PARERE SULLA CONVIVENZA MORE UXORIO E VENDITA CASA FAMIGLIARE.

CONVIVENZA MORE UXORIO E VENDITA CASA FAMIGLIARE.
Traccia parere.
Tizio e Mevia fidanzati da molti anni decidono di andare a convivere in appartamento di proprietà di Tizio.
Durante la convivenza nascono due bambini. Passato qualche anno, però, il rapporto fra i due si rovina ed inizia una battaglia giudiziaria dinnanzi al Tribunale dei Minorenni per l’assegnazione della casa e per l’affidamento dei figli.
Tizio nel frattempo vendeva l’immobile alla società Gamma e subito dopo si trasferiva presto i suoi genitori.
Gamma, dunque, dopo aver invitato più volte Mevia a lasciare l’immobile la conveniva in giudizio chiedendo il rilascio dell’abitazione ritenuta occupata senza titolo dalla convenuta.
Mevia si costituiva in giudizio opponendo l’inammisibilità della domanda perché lesiva dei diritti dei figli minori che abitavano con lei l’immobile. Nel merito evidenziava che, solamente dopo tre mesi dalla vendita, il Tribunale per i Minorenni aveva accolto la sua domanda di assegnazione della casa familiare in qualità di collocataria delle figlie minori.
Il Tribunale accoglieva la domanda di rilascio ritenendo che il provvedimento di assegnazione della casa familiare non fosse opponibile a terzi perché non trascritto e comunque successivo di tre mesi al trasferimento della proprietà del bene. Né assumeva rilevanza il fatto che nel rogito d’acquisto fosse stato scritto che l’immobile veniva venduto nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava.
Mevia si rivolge al vostro studio legale per ottenere parere motivato sulla vicenda e per valutare la possibilità di appellare la suddetta sentenza.


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martedì 23 febbraio 2016

SOLUZIONE PARERE SUL PRELIMINARE DI VENDITA DI UN IMMOBILE ABUSIVO.

SOLUZIONE PARERE PRELIMINARE DI VENDITA DI UN IMMOBILE ABUSIVO.
Cassazione civile, sez. II, 21 aprile 2015, n. 8102

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto provvisoriamente esecutivo n. 3920/1997 del tribunale di Roma, su ricorso delle confederazioni, della lega e dell'associazione indicate in epigrafe, si ingiungeva alla "I.FIN. 50" s.r.l. il pagamento alle ricorrenti della somma di L. 500.000.000.
Con atto di citazione notificato il 2.12.1997 l'ingiunta proponeva opposizione.
Esponeva che con atto in data 30.9.1992 aveva acquistato dalle ricorrenti per il prezzo di L. 30.500.000.000 il complesso immobiliare sito in (OMISSIS), complesso che successivamente aveva alienato alla "Triton" s.r.l., poi incorporata dalla "Alerion Real Estate" s.p.a.; che contestualmente alla stipula della compravendita si era convenuto, con separato accordo, che essa acquirente "avrebbe trattenuto sul prezzo pattuito (...) la somma di L. 500.000.000 a garanzia dell'ottenimento, da parte delle venditrici, della concessione in sanatoria per cambiamento di destinazione d'uso degli immobili (...) già allora (...) in locazione al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, senza però che la destinazione d'uso fosse ad uffici pubblici" (così ricorso principale, pag. 2).
Esponeva inoltre che, benchè in sede di stipula del preliminare di vendita si fossero obbligate a rimetterle, tra l'altro, i certificati di idoneità statica degli edifici compravenduti, le alienanti nè alla data - 30.9.1992 - di stipulazione del definitivo nè in epoca successiva avevano provveduto a trasmetterle il certificato di idoneità statica dell'edificio di via (OMISSIS), tant'è che il conduttore dell'immobile - il Ministero del Lavoro - aveva inoltrato alla "Triton", con lettere del 2.12.1996 e dell'8.4.1997, formate richiesta - da quest'ultima poi rivolta ad essa opponente - di consegna del verbale di collaudo statico dell'edificio al civico n. (OMISSIS), onde provvedere agli adempimenti di cui alla L. n. 626 del 1994; che, risultata vana la richiesta indirizzata alle alienanti di trasmissione del verbale di collaudo, la "Triton" aveva dato mandato, affinchè vi provvedesse, alla "Tecno In" s.r.l.; che la s.r.l. all'uopo incaricata aveva, dapprima, con lettera del 19.6.1997, dato riscontro della inadeguatezza della qualità e della resistenza dei materiali in rapporto all'utilizzo in corso dell'edificio, indi, in data 18.11.1997, aveva rimesso certificato a firma dell'ing. L.F., datato 10.11.1997, da cui evincevasi la non collaudabilità dello stabile di via (OMISSIS).
Esponeva ancora che, edotto il ministero conduttore dell'immobile della necessità di dar corso a lavori di consolidamento strutturale e predisposto il computo metrico - estimativo delle opere da realizzare, con lettera del 25.11.1997 "Triton" s.r.l. le aveva richiesto di esser sollevata da tutti gli oneri che avrebbe sostenuto; che, a sua volta, con lettera del 29.11.1997, aveva chiesto agli organismi alienanti di esser tenuta indenne dagli esborsi cui avrebbe dovuto far fronte.
Esponeva ulteriormente che in data 4.3.1997 le confederazioni, la lega e l'associazione alienanti avevano ottenuto il rilascio della concessione in sanatoria, sicchè le avevano sollecitato il pagamento della somma di L. 500.000.000; che, nondimeno, ricevuta, con missiva del 28.11.1997, dall'ing. P.I., officiato dalle alienanti, la documentazione tutta depositata a corredo dell'istanza di concessione in sanatoria per cambiamento di destinazione d'uso, aveva desunto dal relativo esame che "lo stabile di via (OMISSIS), aveva strutture che consentivano la sola destinazione ad uffici e non ad uffici pubblici" (così ricorso principale, pag. 8); che del resto la diversa situazione statica degli edifici di via (OMISSIS), "il primo adibibile ad uffici pubblici, il secondo solo ad uffici" (così ricorso principale, pag. 8), si rilevava dal tenore della stessa missiva in data 28.11.1997, giacchè quivi si dava atto che l'ing. P. "aveva sentito la necessità di depositare presso il Comune di Roma una appendice al Certificato di idoneità statica dell'edificio n. (OMISSIS), datata 18.2.97 (...) protocollata (...) l'1.3.97" (così ricorso principale, pag. 8).
Rappresentava dunque che le sue danti causa - ben consapevoli della deficienza strutturale dell'edificio di via (OMISSIS), già in epoca antecedente al rilascio della concessione in sanatoria - non avevano conseguito una regolare sanatoria, sicchè era da escludere che avessero adempiuto l'obbligo assunto con il coevo e separato accordo concluso a latere della compravendita in data 30.9.1992.
Chiedeva quindi revocarsi l'ingiunzione opposta; in via riconvenzionale, instava per "la condanna delle Confederazioni all'esecuzione delle opere necessarie a rendere l'immobile idoneo all'uso pattuito e garantito o, in subordine, al pagamento delle somme necessarie per eseguire detti lavori, oltre al risarcimento del danno che sarebbe potuto derivare a seguito della necessità di consolidare l'immobile, quale ad esempio il danno derivante dal rilascio anticipato degli immobili da parte del conduttore Ministero del Lavoro" (così ricorso principale, pag. 10).
Costituitesi, le opposte confederazioni, lega ed associazione deducevano che "all'epoca della costruzione (anni 1955 - 56) la legge non prevedeva obblighi di collaudo statico delle strutture in c.a. - obbligo introdotto dalla L. n. 1086 del 1971 - e che (...) avevano assolto tutti gli obblighi legali e contrattuali dei quali erano onerate" (così controricorso, pag. 3).
Instavano pertanto per il rigetto dell'avversa opposizione e la conferma dell'ingiunzione.
Nel corso istruttorio veniva disposta ed espletata c.t.u..
Con comparsa depositata il 19.11.1998 spiegava intervento volontario la "Triton" s.r.l..
Chiedeva "in via principale, accertare e rilevare la esistenza, rilevanza e gravità dei vizi denunciati alla venditrice I.FIN. 50 (...) in relazione all'immobile sito in (OMISSIS), compravenduto con atto del 20.11.1992 (...); accertare e dichiarare altresì la natura occulta di tali vizi; determinare pertanto il conseguente minor valore dell'immobile (...) nonchè dichiarare tenuta la I.FIN. 50 al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi (...) quantificati (...) in Lire 5.269.313.220;
nonchè di tutti gli ulteriori oneri, spese e danni derivati e derivandi al fine di rendere agibile l'edificio compravenduto; per l'effetto, condannare la I.FIN. 50 (...) a corrispondere in favore della (allora) Triton l'importo di L. 5.269.313.220, o quella maggior somma che risulterà anche a seguito della Consulenza Tecnica d'Ufficio (...); in via gradata (...) la odierna comparente fa proprie le domande formulate (...) nei confronti delle ricorrenti opposte quanto ai capi 5 e 6" (così ricorso incidentale, pagg. 4 - 5) dalla "I.FIN. 50" s.r.l..
All'udienza del 22.2.2002. a seguito del cedimento strutturale dello stabile di via (OMISSIS), la "Triton" depositava la documentazione che ne attestava lo sgombero nonchè le fatture indicanti l'ammontare del canone di locazione percepito all'atto dell'evacuandone.
Con sentenza n. 985 depositata in data 14.1.2003 il tribunale di Roma rigettava l'opposizione, dichiarava definitivamente esecutivo il decreto opposto, dichiarava inammissibile la domanda spiegata dalla "Triton" in danno della "I.FIN. 50", compensava integralmente tra le parti tutte le spese di lite.
Interponeva appello la "I.FIN. 50" s.r.l..
Resistevano le confederazioni, la lega e l'associazione; esperivano al contempo appello incidentale in ordine alla disposta compensazione delle spese di lite.
Si costituiva la "Alerion Real Estate" s.p.a. (incorporante la "Triton" s.r.l); spiegava appello incidentale avverso il capo della pronuncia di primo grado che aveva dichiarato inammissibile l'intervento della incorporata "Triton".
Con sentenza n. 2051/2008 la corte d'appello di Roma così statuiva:
"a) in riforma del capo e) della sentenza appellata, respinge le domande risarcitorie proposte dalla interveniente Alerion Estate s.p.a. contro I.FIN. 50 s.r.l. e da quest'ultima nei confronti delle Confederazioni opposte; b) condanna le società appellanti in solido tra loro a rifondere alle appellate Confederazioni le spese del presente grado. (...)" (così sentenza d'appello, pag. 24).
Premetteva la corte distrettuale che con l'atto di opposizione la "I.FIN. 50" aveva proposto due questioni, "entrambe poste a fondamento sia dell'exceptio inadimplenti non est adimplendum, sia della domanda riconvenzionale definita di adempimento in forma specifica e dal Tribunale riqualificata come domanda risarcitoria (...): precisamente la domanda di declaratoria di nullità della concessione in sanatoria ottenuta dalle vendutici e quella di connesso risarcimento dei danni, in forma specifica o per equivalente, derivati dalla necessità di rendere agibile lo stabile acquistato" (così sentenza d'appello, pagg. 12 -13).
Indi esplicitava che "non è controverso (...) che la concessione in sanatoria fu rilasciata all'esito del deposito da parte delle Confederazioni istanti di un certificato di collaudo per il fabbricato n. (OMISSIS) e, per quello n. (OMISSIS), di una dichiarazione di idoneità statica rilasciata dall'ing. P. (...), confermata da una successiva dichiarazione di altro tecnico abilitato (arch.
M. (...))" (così sentenza d'appello, pag. 14); che conseguentemente la corte di merito, giudice ordinario, non poteva superare la presunzione di legittimità della concessione in sanatoria, nè disapplicarla, non essendo stati "dedotti vizi di legittimità di natura tale da autorizzare il ricorso al potere previsto dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, art. 5 ma, eventualmente, vizi attinenti all'esercizio della discrezionalità tecnica dell'amministrazione" (così sentenza d'appello, pag. 15);
che doveva "pertanto ritenersi realizzata la condizione essenziale per il pagamento del rateo di prezzo trattenuto dall'acquirente a garanzia dell'adempimento" (così sentenza d'appello, pag. 15).
Esplicitava, altresì, che il tribunale aveva "correttamente ritenuto che, tra gli strumenti per far valere la garanzia, l'ordinamento non attribuisce al compratore alcuna azione di esatto adempimento per l'eliminazione del vizio (mancanza di agibilità) e per dotare il bene delle qualità promesse" (così sentenza d'appello, pagg. 15- 16); che anzi il vizio lamentato doveva "essere qualificato come mancanza di qualità essenziali per l'uso (...), riconducibile allo schema dell'art. 1497 e.e, in relazione al quale l'unica azione consentita al compratore è quella di risoluzione del contratto" (così sentenza d'appello, pag. 16); che "nella specie la I.FIN. esplicitamente concorda sul fatto di non aver inteso proporre un'azione di garanzia, ma infondatamente pretende di poter chiedere in forma specifica l'adempimento di una inesistente obbligazione del venditore di adeguare la cosa venduta alle qualità promesse" (così sentenza d'appello, pag. 16).
Esplicitava, inoltre, che, quanto alla "domanda di adempimento ...
mediante corresponsione del danno per equivalente, danni indicati negli oneri che essa I.FIN. 50 s.r.l. dovrà sostenere per rendere agibile l'edificio (...), è fin troppo ovvio (...) che detta azione è soltanto un'azione di ... risarcimento dei danni per equivalente, perfettamente inquadrata nello schema legale dell'art. 1494 c.c." (così sentenza d'appello, pagg. 16 -17).
Dipoi, nel merito, esplicitava che, "tuttavia, sia la domanda di risarcimento proposta dalla Alerion Estate contro la I.FIN. che, di riflesso, quella da quest'ultima avanzata nei confronti delle Confederazioni appellate" (così sentenza d'appello, pag. 18) dovevano essere respinte.
Puntualizzava, previamente, che non era controverso che la valutazione dello stato psicologico del venditore dovesse essere effettuata con riferimento al momento della vendita; altresì, che le vendite intercorse tra le "confederazioni" e la "I.FIN. 50", prima, e tra tal ultima società e la "Triton", poi, si erano susseguite a brevissima distanza temporale, sicchè il riscontro del presupposto della incolpevole ignoranza dei vizi dell'immobile al civico n. (OMISSIS), poteva, "sia pure con riferimento a soggetti diversi, (...) essere effettuato alla stregua di circostanze sintomatiche di fatto coincidenti" (così sentenza d'appello, pag. 18).
Su tale scorta esplicitava che "il primo dato storico (...) da cui prendere le mosse è che la Triton (...) sollevò i primi dubbi circa l'esistenza del vizio di idoneità statica dell'edificio nel giugno del 1997, a circa 5 anni di distanza dalle vendite, quando il Ministero del Lavoro chiese, ai fini dell'applicazione dei sopravvenuti obblighi di adeguamento degli edifici ex Lege n. 626 del 1994, il verbale di collaudo statico di entrambi gli edifici compravenduti, e la società proprietaria chiese detta documentazione alla propria dante causa, che girò la richiesta alla Confederazioni" (così sentenza d'appello, pagg. 18 - 19); che dunque era ben evidente che fino al giugno del 1997 tutte le parti avevano ignorato l'esistenza del difetto.
Esplicitava, ulteriormente, che "la normativa tecnica dell'epoca di costruzione (D.L. 16 novembre 1939, n. 2228) non prevedeva il collaudo statico dell'opera eseguita in c.a., ma esclusivamente caratteristiche di resistenza delle strutture (...) assolutamente inferiori a quelle introdotte dalla L. 11 maggio 197., n. 1086 (...), in base alla quale sono state invece svolte le indagini tecniche sia dell'ing. L. che quella del C.T.U. prof. M." (così sentenza d'appello, pag. 20); che le norme "in tema di specifiche caratteristiche di resistenza per costruzioni destinate a pubblici uffici sono state introdotte per la prima volta con il D.M. 12 febbraio 1982, vincolante soltanto per le costruzioni successive alla sua entrata in vigore" (così sentenza d'appello, pag. 20); che "tali normative tecniche, non imponendo alcun obbligo di revisione delle preesistenze immobiliari, implicitamente riconoscono la permanente possibilità di destinare ad uffici pubblici gli edifici costruiti alla stregua delle normative previgenti, ai quali tale destinazione sia stata già impressa, che altrimenti la quasi totalità degli uffici pubblici non avrebbe potuto continuare a funzionare" (così sentenza d'appello, pag. 20); che "analoghe considerazioni valgono, a fortiori, per il D.M. 9 gennaio 1996, n. 29, utilizzato dal C.T.U. prof. M. per calcolare la compatibilità delle strutture con la destinazione concordemente attribuita dalle parti contraenti all'edificio in questione" (così sentenza d'appello, pagg. 20 21).
Esplicitava, ancora, che "l'incolpevolezza dell'ignoranza delle Confederazioni proprietarie è ulteriormente confermata dalla circostanza che fin dall'origine, come verificato dal C.T.U. (...) il fabbricato fu destinato ad uso uffici aperti al pubblico dall'allora proprietario Ministero del Lavoro; e che fin dal 1981, e poi con contratto del 1987, tale destinazione proseguì in forza dell'avvenuta concessione in locazione di gran parte degli edifici allo stesso Ministero, certamente consapevole delle normative vigenti in materia di agibilità degli edifìci, ed assistito, a tal fine, dagli organi tecnici dell'U.T.E. di Roma" (così sentenza d'appello, pag. 21); che, al contempo, la prova della colpevole ignoranza dei vizi sia da parte delle "confederazioni" sia da parte della subalienante "I.FIN. 50" non poteva desumersi "dalle dichiarazioni di tardiva resipiscenza, nel marzo del 1995, dell'ing. P., tecnico che aveva emesso nel luglio del 1994 l'attestazione di idoneità statica richiesta dalla L. n. 47 del 1985" (così sentenza d'appello, pagg. 21 - 22); che "invero l'attestazione di idoneità statica era stata confermata dall'arch. Ma., con relazione analitica 13.01.1995" (così sentenza d'appello, pag. 22); che "anzi la stessa correzione da parte dell'ing. P. comprova che (...) era perdurato almeno fino al momento del rilascio della concessione in sanatoria" (così sentenza d'appello, pag. 22) lo stato psicologico di incolpevole ignoranza; che, del resto, il consulente tecnico aveva evidenziato "le pur limitate carenze di idoneità statica, sempre riferite a normative sopravvenute (...), soltanto attraverso prove di grado estremamente specialistico, eseguite in laboratori particolarmente attrezzati e che non costituiscono assolutamente la routine di accertamenti tecnici e saggi che si compiono nei più generici accertamenti di idoneità statica richiesti dalla L. n. 47 del 1985" (così sentenza d'appello, pag. 23).
Esplicitava, infine, che. "dovendosi ritenere raggiunta (...) la prova dell'incolpevolezza dell'ignoranza, sia da parte delle Confederazioni venditrici, che, a fortiori, da parte della subalienante I.FIN. 50, dei difetti della costruzione per cui è causa" (così sentenza d'appello, pag. 23), erano da respingere sia la domanda di risarcimento danni proposta dalla "Alerion Real Estate" nel confronti della "I.FIN. 50", sia quella proposta da quest'ultima società nei confronti delle "confederazioni".
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la "I.FIN. 50" s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di quattordici motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.
"Alerion Real Estate" s.r.l. ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale fondato su dieci motivi; ha chiesto cassarsi la sentenza n. 2051/2008 della corte d'appello di Roma con ogni susseguente statuizione in ordine alle spese di lite.
Le confederazioni, la lega e l'associazione controricorrenti hanno depositato controricorso avverso il ricorso principale e controricorso avverso il ricorso incidentale; hanno chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l'uno e l'altro ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
Le confederazioni, la lega e l'associazione controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente principale deduce "nullità della sentenza della Corte d'Appello di Roma n. 2051/08 del 16.5.2008 con riferimento all'art. 132 c.p.c., n. 5 e art. 161 c.p.c. (art. 360, n. 4)" (così ricorso principale, pag. 20).
Adduce che "nella parte precettiva della sentenza rappresentata dal dispositivo (...) la Corte d'Appello di Roma nulla ha statuito nè con riferimento alla domanda ex art. 1460 c.c. svolta dalla attuale ricorrente in opposizione a decreto ingiuntivo nè, tantomeno, con riferimento alla prima domanda svolta in via riconvenzionale (domanda di adempimento) nè, infine, con riferimento alla domanda di garanzia che sia il Giudice di primo grado che quello di secondo grado hanno ritenuto essere stata proposta dalla I.FIN. 50" (così ricorso principale, pag. 21); che "detta omissione comporta l'impossibilità totale di determinale l'effettiva portata precettiva di tutte le pronunce di cui alla sentenza impugnata e, conseguentemente, la nullità della stessa" (così ricorso principale, pag. 22).
Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 132 c.p.c., n. 5 (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag.
24).
Adduce che "nel dispositivo della sentenza il Giudice di secondo grado ha omesso di statuire su tutte le domande svolte dalle parti, con la sola eccezione della domanda risarcitoria e con i limiti denunciati nell'illustrazione del precedente motivo" (così ricorso principale, pag. 24); che, al contempo, "se è vero che la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo del dispositivo, ma anche della motivazione, è anche vero che, quando manchi totalmente il dispositivo su domande trattate solo in motivazione, non può farsi ricorso al principio sopracitato non potendo la relativa decisione, con il conseguente giudicato desumersi da affermazioni contenute nella sola parte motiva" (così ricorso principale, pagg. 24 - 25).
Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale risultano strettamente connessi.
Si giustifica, perciò, il loro esame congiunto.
Entrambi i motivi, in ogni caso, non meritano seguito.
Si premette che pur il secondo motivo, con cui del pari si prospetta un error in procedendo, si specifica e si qualifica ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) (cfr. al riguardo Cass. 18.5.2012, n. 7932).
E si ribadisce, per un verso, che il primo giudice ebbe così a statuire: "a) rigetta l'opposizione a decreto ingiuntivo; b) dichiara definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo opposto (...); e) dichiara inammissibile la domanda della intervenuta Triton s.r.l.
contro la opponente I.FIN. 50 s.r.l.; d) compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio" (così ricorso principale, pag. 12).
E, per altro verso, che la "I.FIN. 50", con l'opposizione esperita avverso l'ingiunzione di pagamento, da un lato, aveva contestato "la regolarità della concessione in sanatoria ottenuta dalle sue danti causa e, perciò, l'adempimento alla obbligandone di cui agli accordi inter partes avente ad oggetto l'ottenimento, da parte delle venditrici, di valida concessione" (così ricorso principale, pag.
10); dall'altro, aveva in via riconvenzionale invocato "la condanna delle Confederazioni all'esecuzione delle opere necessarie a rendere l'immobile idoneo all'uso pattuito e garantito o, in subordine, al pagamento delle somme necessarie per eseguire detti lavori, oltre al risarcimento del danno che sarebbe potuto derivare a seguito della necessità di consolidare l'immobile" (così ricorso principale, pag.
10).
Su tale scorta - ed al di là della riforma del capo e) del dispositivo della statuizione di prime cure, riforma mercè la quale si è, sì, dichiarata ammissibile la domanda dalla "Triton" s.r.l.
spiegata nei confronti della "I.FIN. 50" s.r.l., nondimeno se ne è sancito il rigetto nel merito - è ben evidente che la corte di Roma ha indiscutibilmente confermato in ogni altra sua parte il dictum di primo grado e, dunque, pur il rigetto dell'opposizione, di ogni istanza ed eccezione con l'opposizione al decreto ingiuntivo dalla "I.FIN. 50" esperite.
In questi termini è da escludere che omessa pronuncia vi sia stata.
Invero, questo giudice di legittimità non può che reiterare il proprio insegnamento, alla cui stregua ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parie comporti il rigetto di tale pretesa anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (cfr. Cass. 6.4.2000, n. 4317; Cass. 16.5.2012, n. 7653; Cass. 11.4. 1975, n. 1397).
D'altro canto, la conferma - in dispositivo - del dictum di primo grado e quindi del rigetto dell'opposizione dalla "I.FIN. 50" proposta è riflesso di un articolato iter motivazionale, il cui passaggio finale è in tal guisa espresso: "con conseguente conferma dell'integrale rigetto di tutte le domande proposte nell'opposizione al D.I. da queste" (così sentenza d'appello, pag. 23), ovvero dalle "confederazioni" appellate, ottenuto.
Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4 (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag. 25).
Adduce che con il primo motivo di appello aveva "denunciato l'assoluta mancanza, nella sentenza di primo grado, della motivazione in ordine al rigetto della domanda ex art. 1460 c.c." (così ricorso principale, pag. 25); che la corte d'appello ha definito "l'omissione di motivazione apparente, in quanto ritiene che la motivazione posta a fondamento del rigetto della domanda ex art. 1490 c.c., possa servire anche a motivare la domanda ex art. 1460 c.c., stante l'identità di causae petendi tra le due domande ricorso principale, pag. 26); che "tale motivazione è illegittima poichè è principio incontestato nel nostro ordinamento che la sentenza deve contenere in motivazione, l'esposizione dei motivi in fatto ed in diritto sui quali ogni decisione si fonda" (così ricorso principale, pag. 27);
che "dunque il rigetto della domanda ex art. 1460 c.c. doveva essere autonomamente motivato" (così ricorso principale, pag. 27).
Con il quarto motivo la ricorrente principale deduce "insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" (così ricorso principale, pag. 28).
Adduce che "la motivazione della Corte di Appello di Roma, censurata con il precedente motivo, è anche assolutamente insufficiente, (...) infatti, non espone quali sono i motivi (...) che fanno ritenere (...) che le domande (...) abbiano medesima causa petendi" (così ricorso principale, pag. 28); che è ben evidente che "la domanda ex art. 1460 c.c." (così ricorso principale, pag. 28) e "l'azione di cui all'art. 1490 c.c." (così ricorso principale, pag. 28) hanno differenti ragioni giustificative.
Con il quinto motivo la ricorrente principale deduce "violazione e falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, artt. 4 e 5 in relazione alla L. n. 47 del 1985, art. 35 (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag. 29).
Adduce che la condizione per lo svincolo dell'importo di cui all'ingiunzione "era l'ottenimento di (...) concessioni in sanatoria da parte delle Confederazioni, in modo ovviamente conforme a quanto previsto dalla L. n. 47 del 1985" (così ricorso principale, pag.
29); che, "trattandosi di prestazioni corrispettive, (...) ha correttamente rifiutato di corrispondere la somma di L. 500.000.000 perchè le Confederazioni non hanno adempiuto agli impegni assunti" (così ricorso principale, pag. 30); che pertanto l'eccezione di inesistenza del credito ingiunto formulata con l'opposizione doveva "qualificarsi come eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c." (così ricorso principale, pag. 30); che al cospetto di tale eccezione la corte di merito ha assunto che "l'atto amministrativo (concessioni in sanatorie) (...) non può essere disapplicato poichè si è in presenza di vizi (...) che atterrebbero alla discrezionalità tecnica dell'amministrazione" (così ricorso principale, pag. 31); che, viceversa., giacchè l'edificio di via (OMISSIS), ha volumetria certamente superiore ai 450 mc, "la domanda di concessione in sanatoria doveva essere corredata di certificazione attestante l'idoneità statica dell'edificio" (così ricorso, pag. 32) ed, acclaratane l'indubbia inidoneità statica, era da applicare la L. n. 47 del 1985, art. 35, comma 5; che, nella fattispecie, giacchè non si è al cospetto di "discrezionalità tecnica" della P.A., era conseguentemente da escludere "la possibilità di concedere la sanatoria impugnata (...), emessa in violazione di precise disposizioni di legge" (così ricorso principale, pag 33) ed "il Giudice di secondo grado avrebbe dovuto superare la presunzione di legittimila dell'atto amministrativo>e (...) disapplicarlo" (così ricorso principale, pag. 33).
Con il sesto motivo la ricorrente principale deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., comma 1 (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag. 35).
Adduce che "dall'esame del certificato di idoneità statica dell'immobile di via (OMISSIS) sottoscritto dall'Arch.
Ma. (...) si evince che (...) la portata dei solai indicata dall'arch. Ma. è la portata media di immobili con destinazione ad ufficio e non certamente quella di immobili destinati ad ufficio pubblico" (così ricorso principale, pag. 36); che, contrariamente a quanto affermato dalla corte di merito, "risulta documentalmente provato, pertanto, che (...) la documentazione posta a corredo della concessione in sanatoria si componeva di un certificato di idoneità statica recante la chiara indicazione che l'edificio di via (OMISSIS) non poteva essere adibito ad ufficio pubblico" (così ricorso principale, pag. 36); che, contrariamente a quanto assunto dalla corte distrettuale, il tenore della lettera in data 18.2.1997 inviata dall'ing. P. sia al Comune di Roma che alle "confederazioni" era tale da indurre a ritenere che le medesime "Confederazioni conoscevano perfettamente la carenza strutturale del bene già prima che venisse formalmente rilasciata la concessione in sanatoria, con la conseguenza che erano a perfetta conoscenza del fatto che la concessione in sanatoria era anche illegittima" (così ricorso principale, pag. 37).
Con il settimo motivo la ricorrente principale deduce "violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione alla domanda ex ari. 1460 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag. 38).
Adduce che "la Corte d'Appello di Roma aveva l'obbligo di statuire sulla domanda ex art. 1460 c.c. anche nel caso che avesse legittimamente statuito sull'intangibilità dell'atto amministrativo" (così ricorso principale, pag. 39); che, infatti, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, all. E), art. 4 l'a.g.o. deve in ogni caso conoscere degli effetti dell'atto amministrativo in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, quando la contestazione cade su un diritto che si pretende leso dall'atto amministrativo; che indubitabilmente essa ricorrente, proponendo l'eccezione di inadempimento, aveva lamentato "la lesione di un suo diritto patrimoniale (...) causato - e perciò effetto - di un atto amministrativo (concessione in sanatoria)" (così ricorso principale, pag. 40).
Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso principale; parimenti sono connessi.
Il che ne suggerisce la contestuale disamina.
I motivi de quibus, nei termini che seguono, sono fondati e meritevoli di accoglimento.
Si rappresenta, previamente, con specifico riferimento al terzo motivo, che il vizio di omessa motivazione, denunciabile in cassazione a rigore ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ricorre nella duplice manifestazione di difetto assoluto di motivazione o di motivazione apparente, quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indica ma senza un'approfondita disamina logico - giuridica (cfr. Cass. 24.2.1995, n. 2114, ove si soggiunge che il vizio di omessa motivazione non ricorre quando il giudice ha valutato gli esiti probatori in senso difforme da quello preteso dalla parte).
Nel caso di specie motivazione senz'altro vi è.
La corte difatti ha esplicitato che, sebbene il primo giudice non avesse "apparentemente (...) motivato sull'eccezione di inadempimento sollevata per paralizzare la domanda monitoria" (così sentenza d'appello, pag. 13), nondimeno, attesa l'identità delle causae petendi, il complesso delle ragioni atte a giustificare - nel corpo delle motivazioni del primo dictum - il diniego delle istanze riconvenzionali, valeva al contempo a sorreggere il rigetto dell'eccezione di inadempimento.
Beninteso il riscontro della sussistenza della motivazione prescinde - al momento - dal riscontro - di cui si dirà - della sua esaustività, della sua congruenza, della sua coiTettezza e, quindi, dal riscontro della sua "effettività" ovvero, di contro, della sua mera "apparenza".
Si rappresenta, del pari previamente, che il sesto motivo si specifica e si qualifica in relazione alla previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Difatti, occorre tener conto, da un lato, che la "I.FIN. 50" censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso ("risulta documentalmente provato (...) che (...) la documentazione (...)"; "altrettanto contraria alle risultanze istruttorie è l'affermazione della Corte territoriale relativamente al fatto (...)": così ricorso principale, pagg. 36 - 37);
dall'altro, che il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), può concernere esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l'interpretazione e l'applicazione delle norme giuridiche (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).
Or dunque, all'esito dei surriferiti preliminari rilievi si rimarca quanto segue.
E' fuor di dubbio che collateralmente alla sigla con atto in data 30.9.1992 della compravendita immobiliare le confederazioni, la lega e l'associazione, da un canto, ed "I.FIN. 50", dall'altro, ebbero a sottoscrivere apposito accordo con cui "convenivano che sul prezzo di vendita definito in trentamiliardicinquecentomilioni la parte acquirente avrebbe trattenuto l'importo di cinquecentomilioni a titolo di garanzia sino a quando non fosse pervenuto il provvedimento di sanatoria di cui alla domanda di condono (frazionamento con destinazione d'uso degli immobili) da tempo attivata e coltivata e relativa agli immobili oggetto di compravendita" (così ricorso, pagg. 9 -10).
E' fuor di dubbio ancora che siffatto accordo fosse funzionalmente collegato al contratto di compravendita immobiliare stipulato in pari data, sicchè in dipendenza del nesso di reciproca interdipendenza le vicende dell'uno erano destinate a ripercuotersi sull'altro.
E' fuor di dubbio inoltre che con l'opposizione all'ingiunzione la "I.FIN. 50" ebbe a sollevare l'eccezione (non già la domanda) di inadempimento ex art. 1460 c.c. (articolo del resto rubricato "eccezione di inadempimento ").
E' bene evidente pertanto che gli organismi alienanti fossero espressamente obbligati ex contractu ad assicurare - qualità promessa ex art. 1497 c.c., essenziale ex voluntate partum -alla compratrice - che ovviamente con la sottoscrizione dell'accordo collaterale aveva palesato un precipuo interesse tal fine - che lo stato degli immobili compravenduti risultasse conforme alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie (cfr. in tema Cass. 30.5.2013, n. 13612, secondo cui in caso di compravendita di un'area fabbricabile in funzione di un determinato progetto edilizio, rivelatosi inattuabile per la minore potenzialità edificatoria del fondo rispetto a quella sulla quale il compratore aveva fatto affidamento, la responsabilità del venditore, derivante dalla situazione di fatto prospettata, non corrisponde ad un 'ipotesi di vendita di cosa diversa da quella pattuita, essendo il bene immutato sia nella sua materialità che nella sua idoneità ad essere edificato, mentre la circostanza che sul suolo acquistato possa essere costruito un edificio di superficie minore rispetto a quella stimata incide unicamente sulle qualità promesse).
E ciò, ben vero, a prescindere dall'operatività dell'obbligo, postulato dal dovere di buona fede ex art. 1375 c.c., di salvaguardare appieno l'utilitas su cui la controparte in dipendenza delle circostanze del caso concreto abbia fatto ragionevole affidamento. Ed, ulteriormente, dall'operatività degli obblighi che ai sensi dell'art. 1477 c.c., comma 3, gravano sul venditore, segnatamente sull'obbligo di consegnare al compratore i documenti relativi all'uso della cosa venduta.
In questo quadro non si tratta propriamente di disconoscere che si versa, siccome viceversa ha assunto la corte di merito, in un'ipotesi di discrezionalità tecnica.
Nè si tratta a rigore di disapplicare l'illegittima concessione in sanatoria.
Si tratta esattamente di recepire, siccome devesi recepire, in dipendenza della imprescindibilità del criterio esegetico di cui all'art. 1366 c.c. (cfr. al riguardo Cass. sez. lav. 6.10.2008, n. 24652), l'efficacia, la portata dell'accordo aggiuntivo siglato in data 30.9.1992 alla stregua della proiezione obbligatoria sulla cui scorta l'uomo medio avrebbe ragionevolmente riposto il suo affidamento (cfr. al riguardo Cass. 15.3.2004, n. 5239), proiezione obbligatoria includente necessariamente il risultato (l'obbligazione del venditore di consegnare la cosa con la qualità pattuita è di risultato: cfr. Cass. 21.5.2013, n. 12458) della conformità ottimale alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, ovvero il risultato per cui alle medesime prescrizioni la destinazione d'uso in atto, la destinazione a "pubblici uffici", quale resa patente dalla locazione - in atto - al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, puntualmente si conformasse.
E, su tale scorta, si tratta conseguentemente di valutare - su di un piano esclusivamente oggettivo, che non involge, in parte qua agitur, il piano psicologico - se le concessioni in sanatoria conseguite ex latere venditoris siano valse ad integrare l'esatto adempimento dell'obbligazione che sulla stessa parte alienante gravava, a nulla rilevando - in dipendenza, appunto, della qualità promessa merce il patto aggiuntivo coevamente siglato ed in buona fede interpretato - la circostanza che la destinazione degli immobili di via (OMISSIS), a pubblici uffici fosse avvenuta già in epoca antecedente all'entrata in vigore della L. 6 agosto 1967, n. 765 e fosse del tutto conforme al p.r.g. del Comune di Roma (a pag. 17 del controricorso le confederazioni, la lega e l'associazione controricorrenti hanno dedotto: "l'immobile de quo è stato utilizzato come ufficio pubblico sin dalla sua costituzione (1959), per cui il mutamento di destinazione era antecedente al settembre 1967 (come espressamente dichiarato anche nella domanda di sanatoria) "; "è interessante notare quanto rilevato dal Comune di Roma, Dipartimento 9^, Ufficio Concessioni Edilizie, nella circolare n. 28337 del 9/9/98: le destinazioni d'uso in atto prima dell'1 settembre 1967 e non modificate successivamente sono da considerarsi legittimate anche se in contrasto con le attuali N. T.A. di P.R.G. ") ovvero la circostanza che il decreto del Ministro del Lavori Pubblici del 12.2.1982 "riguarda esclusivamente gli immobili realizzati dopo la sua entrata in vigore" (così controricorso, pag. 18).
Nella prospettiva testè delineata si sottolinea - in linea di principio - che questa Corte ha esplicitato che il venditore di un bene immobile destinato ad abitazione, in assenza di patti contrari, è obbligato a dotare tale bene della licenza di abitabilità (senza della quale esso non acquista la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico - sociale), cosicchè la mancata consegna della licenza implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile ovvero costituire il fondamento dell'excceptio prevista dall'art. 1460 c.c., per il solo fatto che si è consegnato un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo irrilevante la circostanza che l'immobile sia stato costruito in conformità delle norme igienico - sanitarie, della disciplina urbanistica e delle prescrizioni della concessione ad edificale ovvero che sia stato concretamente abitato (cfr. Cass. 3.7.2000, n. 8880; cfr. Cass. 11.5.2009, n. 10820, secondo cui il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendila definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune - nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il prominente venditore - è giustificato, ancorchè anteriore all'entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perchè l'acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui ipredetti certificati devono ritenersi essenziali).
Nella medesima prospettiva si sottolinea - con precipuo riguardo alla fattispecie de qua agitur - che le circostanze dalla ricorrente principale specificamente poste in risalto col sesto motivo, circostanze ancorate agli esiti della consulenza tecnica d'ufficio ("è stato appurato tramite C. T. U. che le strutture dei solai di un immobile da adibire ad ufficio pubblico devono avere una portata che va da 350 Kg/cmq a 500 Kg/cmq, e quindi una portata media di circa 425 Kg/cmq, pari dunque a quasi il doppio di quella indicata nel certificato di idoneità statica a firma Arch. Ma., allegata alla richiesta di concessione in sanatoria": così ricorso principale, pag. 36), alle dichiarazioni rese dall'arch. Mauti, "collaboratore dell'ing. P. nella redazione della documentazione necessaria per ottenere la concessione in sanatoria" (così ricorso principale, pag. 36, ove si soggiunge che "l'Arch.
Ma. dichiara nel suo elaborato che la portata media dei solai dell'immobile al civico (OMISSIS) oscilla tra 250Kg/cmq e 280Kg/cmq") ed al tenore della missiva datata 18.2.1997 dall'ing. P., tecnico di fiducia delle alienanti, inviata sia alle medesime alienanti che al comune di Roma (l'"ing. P. (...) informava i destinatari della comunicazione che l'edificio di via (OMISSIS) non poteva essere destinato ad Ufficio Pubblico poichè le strutture dell'immobile non consentivano": così ricorso principale, pag. 37), non risultano in alcun modo vagliate dalla corte di merito.
Al riguardo, si badi, specificamente in ordine ai rilievi formulati col sesto motivo di ricorso, non si è al cospetto di una censura involgente la mera valutazione che la corte di merito ha degli esiti istruttori operato (siccome, di contro, pretendono le "confederazioni": cfr. controricorso, pag. 19). sibbene al cospetto di una censura che, in correlazione precipuamente con la doglianza addotta col terzo motivo, ambisce a dar conto e vale senz'altro a dar conto della mera apparenza della motivazione su cui si fonda, limitatamente al rigetto delV exceptio inadimplenti non est adimplendum, il dictum di seconde cure.
In parte qua agitur, infatti, la sentenza della corte romana si connota quale esito di una disamina logico - giuridica per nulla approfondita, agganciata sic et simpliciter, e nonostante il riscontro del riconoscimento da parte del primo giudice dell'"insussistenza delle condizioni tecniche di collaudabilità dell'edificio n. 6 per la destinazione convenzionale di pubblici uffici" (così sentenza d'appello, pag. 13), alla affermazione preliminare dell'identità della causa petendi ("stesse causae petendi": così sentenza d'appello, pag. 13) supportante l'exceptio inadimplenti non est adimplendum e l'azione (l'unica azione) che in concreto si è assunto legittimamente esperita ovvero l'"azione di...
risarcimento dei danni per equivalente, perfettamente inquadrata nello schema legale dell'art. 1494 c.c." (così sentenza d'appello, pag. 17) ed all'affermazione consequenziale dell'inevitabile esito infausto dell'eccezione di inadempimento in dipendenza dell'esito negativo in prime cure della pretesa risarcitoria.
Viceversa, sia il rilievo del primo giudice, siccome riferito dalla corte d'appello ("il tribunale ha respinto la domanda sul rilievo che l'acquirente non aveva proposto nessuna delle azioni concesse al compratore dall'art. 1490 c.c. e che, avendo venduto a terzi l'immobile, non aveva subito alcun pregiudizio dall'esistenza dei predetti vizi, in assenza di una pretesa del terzo acquirente (nella specie ritenuta inammissibilmente azionata (...)): così sentenza d'appello, pag. 13) sia il rilievo conclusivo della medesima corte (alla cui stregua, "dovendosi ritenere raggiunta (...) la prova dell'incolpevolezza dell'ignoranza (...) dei difetti della costruzione per cui è causa" (così sentenza d'appello, pag. 23), dovevano essere respinte sia la domanda di risarcimento danni proposta dalla "Alerion Real Estate " nel confronti della "I.FIN. 50", sia quella proposta da quest'ultima società nei confronti delle "Confederazioni") non valgono a menomare l'autonoma valenza che connotava e connota lexceptio inadimpleti contractus, sul cui esito, conscguentemente, la sorte dell'azione risarcitoria non è destinata a riflettersi tout court.
Pur al di là degli insegnamenti di cui si è già fatta menzione (il riferimento è a Cass. 3.7.2000, n. 8880, ed a Cass. 11.5.2009, n. 10820), questo Giudice del diritto non solo spiega - da tempo - che nei contratti con prestazioni corrispettive l'eccezione d'inadempimento mira a conservare l'equilibrio sostanziale e funzionale tra le contrapposte obbligazioni, sicchè la parte che oppone l'eccezione, può considerarsi in buona fede, secondo la previsione di cui all'art. 1460 c.c., solo se il suo rifiuto di esecuzione del contratto si traduca in un comportamento che risulti oggettivamente ragionevole e logico, nel senso che trovi concreta giustificazione nel rapporto tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate, in relazione ai legami di corrispettività e contemporaneità delle medesime (cfr. Cass. 29.4.1982, n. 2708), ma soggiunge che l'esercizio dell'eccezione d'inadempimento ex art. 1460 c.c. prescinde dalla responsabilità della controparte, in quanto è meritevole di tutela l'interesse della parte a non eseguire la propria prestazione in assenza della controprestazione e ciò per evitare di trovarsi in una situazione di diseguaglianza rispetto alla controparte medesima, sicchè detta eccezione può essere fatta valere anche nel caso in cui il mancato adempimento dipende dalla sopravvenuta relativa impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore (cfr. Cass. 19.10.2007, n. 21973; cfr.
altresì Cass. 4.4.1979, n. 1950, secondo cui ai fini dell'eccezione di inadempimento è irrilevante che la mancata prestazione della controparte sia o meno imputabile a colpa, in quanto l'elemento soggettivo opera solo alfine di escludere la risoluzione per l'inadempimento della parte tenuta alla prestazione. In dottrina analogamente si è esplicitato che "l'esercizio del rimedio dell'eccezione d'inadempimento prescinde dalla responsabilità della controparte in quanto l'interesse della parte a non eseguire la prestazione senza ricevere la controprestazione è ugualmente meritevole di tutela pur se il mancato adempimento della controparte dipenda da causa non imputabile ").
Essenzialmente, quindi, nel segno del terzo e del quarto motivo del ricorso principale è necessario che si dia puntualmente conto dell'attitudine ovvero dell'inettitudine delle circostanze specificamente prefigurate con il (riqualificato) sesto motivo dello stesso ricorso a paralizzare la pretesa pecuniaria che le confederazioni, la lega e l'associazione - controricorrenti in questa sede - ebbero ad azionare con l'originario ricorso per ingiunzione.
Con l'ottavo motivo la ricorrente principale deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 99 c.p.c. e art. 2907 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag. 40).
Adduce che "la Corte d'Appello (...) asserisce apoditticamente che l'azione proposta da I.FIN. 50 s.r.l. è l'azione ex art. 1490 c.c. e cioè quella derivante dalla garanzia dovuta dal venditore per i vizi della cosa venduta" (così ricorso principale, pag. 42); che, su tale scorta, ha opinato altresì nel senso che, "ove si proponga detta domanda, bisogna richiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo della compravendita e, verificato che I.FIN. 50 s.r.l. non aveva ovviamente effettuato nessuna delle due richieste" (così ricorso principale, pagg. 42 - 43), ha respinto la domanda;
che, viceversa, essa ricorrente, cui senz'altro spettava la scelta dell'azione da esperire, "mai ha proposto l'azione ex art. 1490 c.c., avendo invece inteso ottenere, attraverso le domande svolte, l'adempimento dell'obbligazione delle Confederazioni ad ottenere una valida concessione in sanatoria (...) ottenibile solo attraverso i lavori di consolidamento dell'immobile per cui è causa" (così ricorso principale, pag. 44); che, al contempo, l'apodittica affermazione della corte romana non poteva essere intesa neppure quale mera riqualificazione della domanda, "stante l'assoluta diversità degli elementi obiettivi di identificazione delle azioni in esame" (così ricorso principale, pag. 44).
Con il nono motivo la ricorrente principale deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 36 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag. 45).
Adduce che "contesta di aver proposto l'azione ex art. 1490 c.c. anche tenuto conto della normativa di cui all'art. 36 c.p.c." (così ricorso principale, pag. 45); che, invero, "mentre la domanda di adempimento dell'obbligazione attraverso l'esecuzione delle opere di consolidamento statico dell'immobile al civico n. (OMISSIS) indiscutibilmente dipende dal titolo dedotto in giudizio dalle Confederazioni (...), certamente (...) non può dipendere dal titolo dedotto in giudizio dalle attrici sostanziali (Confederazioni) la domanda di garanzia per i vizi della cosa di cui all'ari. 1490 c.c." (così ricorso principale, pag. 46); che "detta azione trova infatti il suo fondamento in altro titolo - contratto di compravendita - che nessuna delle parti ha mai dedotto in giudizio" (così ricorso principale, pag. 46).
Con il decimo motivo la ricorrente principale deduce "omessa motivazione su un punto decisivo della domanda (art. 360 c.p.c., n. 5)" (così ricorso principale, pag. 47).
Adduce che con il secondo motivo di gravame aveva prospettato di non aver proposto l'azione di garanzia ex art. 1490 c.c. e segg. ed "aveva denunciato (...) il vizio di ultrapetizione nel quale era incorso il Giudice di primo grado" (così ricorso principale, pag.
47); che, al riguardo, risulta omessa qualsivoglia motivazione con susseguente nullità dell'impugnata statuizione.
Con l'undicesimo motivo la ricorrente principale deduce "omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" (così ricorso principale, pag. 48).
Adduce che con il terzo motivo di gravame aveva lamentato "il vizio di minuspetizione o omessa pronuncia sulla domanda di adempimento dell'obbligazione relativa all'ottenimento di regolare concessione in sanatoria" (così ricorso principale, pag. 48); che, al riguardo, la corte romana non ha speso "nemmeno una parola per esporre i motivi di fatto e di diritto che hanno giustificato la mancata pronuncia in ordine alla domanda di adempimento" (così ricorso principale, pag.
49).
Con il dodicesimo motivo la ricorrente principale deduce "violazione dell'art. 1453 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag. 50).
Adduce che la domanda di condanna delle "confederazioni" all'esecuzione dei lavori necessari onde rendere agibile lo stabile di via (OMISSIS), ovvero, in alternativa, al pagamento dell'importo dei lavori a tal fine necessari, domanda basata sull'apposito accordo siglato con le venditrici contestualmente all'atto di compravendita del 30.9.1992, è domanda di adempimento ex art. 1453 c.c.; che, dunque, nel solco dell'azione prescelta, onerata della prova dell'inadempimento della controparte e del fondamento dell'azione risarcitoria, aveva "provato mediante C.T.U. l'inidoneità statica dell'immobile, la necessità di effettuare gli importanti lavori di adeguamento, l'ammontare degli importi che si rendevano necessari per eseguire le opere (...), nonchè l'obbligo giuridico delle Confederazioni di eseguire le opere di adeguamento" (così ricorso principale, pag. 51) L. n. 47 del 1985, ex art. 35;
che, inoltre, aveva "dato prova che si era effettivamente verificato il danno derivante dal recesso anticipato dal contratto di locazione da parte del Ministero del Lavoro (...) danno (...) poi quantificato mediante C.T.U." (così ricorso principale, pag. 52); che, pertanto, in applicazione dell'art. 1453 c.c., la corte territoriale avrebbe dovuto condannare le "confederazioni" ad eseguire i lavori di consolidamento statico dell'immobile o, in alternativa, a pagare le somme necessari e per l'esecuzione dei medesimi lavori, oltre al risarcimento del danno; che, al contempo, in rapporto all'esperita "azione risarcitoria ex art. 1453 c.c." (così ricorso principale, pag. 53), azione non postulante alcuna indagine sullo stato psicologico della parte inadempiente, dovevano considerarsi superflue "le considerazioni svolte dalla Corte territoriale in ordine all'incolpevole ignoranza delle Confederazioni circa il vizio della cosa" (così ricorso principale, pag. 53).
Con il tredicesimo motivo la ricorrente principale deduce "violazione dell'art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)" (così ricorso principale, pag. 53).
Adduce che l'affermata incolpevole ignoranza delle "confederazioni" circa l'inidoneità statica dell'immobile posto al civico n. (OMISSIS) è smentita dalle prove documentali acquisite nel corso del giudizio; che, d'altronde, la mancata trasmissione del certificato di idoneità statica dell'edificio al civico n. (OMISSIS), trasmissione oggetto di reiterate richieste, avrebbe dovuto senza dubbio indurre a ritenere che le "confederazioni" erano ben consapevoli dell'inidoneità statica dell'edificio e quindi "che detto certificato non era ottenibile" (così ricorso principale, pag.
55); che, comunque, a norma dell'art. 1494 c.c. la colpa del venditore è presunta, sicchè sarebbe stato onere delle "confederazioni" venditrici, onere per nulla assolto, dimostrare l'assenza di colpa da parte loro; che, inoltre, il c.t.u. aveva acclarato che l'inidoneità statica dell'edificio al civico n. (OMISSIS) si era palesata pur alla stregua della disciplina legislativa vigente alla data - 1955 - di costruzione dell'immobile; che, inoltre, il Ministero del Lavoro aveva insistentemente richiesto il certificato di collaudo statico, sicchè la circostanza che occupasse il civico n. 6 per nulla dimostrava che lo reputasse idoneo alla destinazione a "pubblici uffici"; che, ancora, l'arch. Ma. e l'ing. P. avevano affermato la medesima cosa, ossia che l'immobile era adibibile ad ufficio ma già ad ufficio pubblico; che, in ogni caso, i documenti depositati "dalla Triton s.r.l. all'udienza del 22.2.2002 (...) provano storicamente che nell'anno 2001 le strutture dell'immobile di via (OMISSIS) hanno ceduto e che pertanto l'immobile è stato evacuato, con ordine alla Triton di mettere in sicurezza il bene" (così ricorso principale, pag. 61).
Si giustifica dapprima la disamina del tredicesimo motivo del ricorso principale.
Invero, il profilo della motivazione del dictum di seconde cure che la censura de qua specificamente attinge, ossia il disconoscimento (dalla corte di merito operato in relazione al presupposto della colpevole ignoranza postulato dall'art. 1494 c.c. ai fini) del (diritto al) risarcimento del danno - danno correttamente inteso dalla corte distrettuale come comprensivo anche delle spese necessarie ai fini del "recupero" della qualità promessa, ossia della idoneità statica per la destinazione a pubblici uffici (cfr.
al riguardo Cass. 15.5.2003, n. 7529, secondo cui la mancanza del certificato di abitabilità dell'appartamento venduto, perchè non rispondente alle prescrizioni edilizie, è causa di un deprezzamento del bene commisurabile, qualora il compratore agisca per il risarcimento del danno, alle spese presuntivamente necessarie per il compimento degli adempimenti sufficienti ad ottenere la licenza di abitabilità; cfr. altresì Cass. 17.8.1990, n. 8336) - riveste valenza preliminare ai fini della valutazione delle doglianze formulate con gli ulteriori motivi, in particolare con l'ottavo, il nono, il decimo, l'undicesimo ed il dodicesimo motivo del medesimo ricorso.
Si reputa, previamente, che pur il motivo in esame si qualifica in relazione alla previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Invero, patimenti col motivo de quo "I.FIN. 50" censura sostanzialmente il giudizio di fatto che la corte distrettuale ha operato ("qualora la Corte territoriale avesse correttamente valutato le prove documentali agli atti e le risultanze della C. T. U., avrebbe dovuto accogliere la domanda di risarcimento del danno perfino giusta quanto disposto dall'art. 1494 c.c. ": così ricorso principale, pag. 62).
In ogni caso il tredicesimo motivo è immeritevole di seguito.
Si rappresenta, in primo luogo, che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge; sicchè il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477; Cass. 7.6.2005, n. 11789).
Si rappresenta, in secondo luogo, che, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).
Si rappresenta, in terzo luogo, che è propriamente inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, m sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), qualora esso prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, attese che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata; in caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresì Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).
Si rappresenta, ad ogni modo, che la corte distrettuale ha certamente ancorato il suo dictum, in parte qua agitur, ad ampia, articolata, congrua e corretta motivazione (motivazione di cui del resto si è in precedenza fornito ampio riscontro).
L'ottavo, il nono, il decimo, l'undicesimo ed il dodicesimo motivo del ricorso principale del pari risultano connessi.
Il che ne suggerisce il vaglio contestuaile.
I motivi de quibus, comunque, sono immeritevoli di seguito.
Si rileva, dapprima, con specifico riferimento al decimo ed all'undicesimo motivo, motivi che la stessa s.r.l. ricorrente qualifica in relazione alla previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che difetta del tutto l'assolvimento dell'onere di cui alla seconda parte dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al caso di specie (cfr. Cass. sez. un. 1.10.2007, n. 20603).
In ogni caso si osserva quanto segue.
Si è premesso che l'accordo aggiuntivo era indiscutibilmente collegato alla compravendita immobiliare siglata in pari data.
E si è premesso che nella fattispecie si versa in tema di qualità "promessa", essenziale ex vohintate partum; si versa nell'alveo dell'art. 1497 c.c..
Evidentemente tal ultima precisazione induce a reputare che alla fattispecie non si attaglia l'insegnamento da questa Corte espresso in epoca recente a sezioni unite.
Ovvero gl'insegnamento secondo cui in tema di compravendita la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce nell'art. 1490 c.c. e segg., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto o alla sua caducazione mediante l'esperimento, rispettivamente, dell'actio quanti minoris o dell'actio redibitoria; ne consegue - han soggiunto le sezioni unite - che il compratore non dispone - neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica - di un'azione "di esatto adempimento" per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene (cfr. Cass. sez. un. 13.11.2012, n. 19702).
Del resto negar valenza nel caso de quo al testè menzionato insegnamento delle sezioni unite è perfettamente in linea non solo con il dato codicistico, che all'art. 1497 c.c., comma 1 scandisce icasticamente il diritto del compratore "di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento" e, pertanto, con il postulato - radicato risultato ricostruttivo - che se ne trae, per cui solo nella garanzia per vizi il venditore risponde anche se non è in colpa (cfr. Cass. 21.1.2000, n. 639, secondo cui in tema di compravendita il legittimo esercizio dell'azione di risoluzione per vizi della cosa alienata non presuppone l'esistenza della colpa dell'alienante, giusta disposto dell'art. 1492 c.c., colpa richiesta, per converso, nella diversa ipotesi di risoluzione per difetto delle qualità promesse ex art. 1497 c.c. norma che, a differenza della prima, richiama "le disposizioni generali dell'istituto della risoluzione per inadempimento", fondato, come noto, sul principio della colpa dell'inadempiente; cfr. altresì Cass. 24.5.2005, n. 10922, secondo cui, a differenza della garanzia per vizi - che ha la finalità di assicurare l'equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore - l'azione di cui all'art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall'art. 1453 c.c., postula che l'inadempimento posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell'alienante ed abbia non scarsa importanza, tenuto conto dell'interesse della parte non inadempiente).
Ma è perfettamente in linea pur con l'insegnamento dottrinale, che da tempo puntualizza, sul terreno della "mancanza di qualità" ex art. 1497 c.c., che "dall'essere stata esplicitamente prevista la risoluzione non si può inferire che sia stata esclusa l'azione per esatto adempimento. Invero, una volta configurata la reazione alla mancanza di quiìlità come responsabilità per inadempimento, una volta fondata sulla colpa questa responsabilità, non si vedono ragioni per cui sarebbero limitati i rimedi offerti in via generale dall'art. 1453".
Ciò nondimeno, il riscontro - ineccepibilmente operato dalla corte romana - a fini risarcitori dell'insussistenza (specificamente) del presupposto della colpevole ignoranza ex art. 1494 c.c. (anzichè, siccome a rigore dovevasi, in dipendenza del rinvio dell'art. 1497 c.c. alle disposizioni generali in tema di inadempimento, della colpa tout court) non può che riverberarsi anche sulla domanda di adempimento ex art. 1453 c.c. che la ricorrente afferma di aver esperito in prime cure con l'opposizione ex art. 645 c.p.c. (onde conseguire la condanna delle "confederazioni" ad eseguire i lavori di consolidamento statico dell'immobile) e vale inesorabilmente a determinarne lo sfavorevole esito: l'azione di adempimento invero - siccome si ha cura di puntualizzare in dottrina - "presuppone (...) la responsabilità del debitore in quanto l'impossibilità a lui non imputabile lo libera dall'obbligazione".
Propriamente si riverbera, giacchè l'incolpevole ignoranza, recte l'assenza di colpa, che la corte distrettuale alla stregua delle circostanze concretamente delibate ha acclarato, si qualifica alla luce dell'insegnamento per cui, in ipotesi di inadempimento contrattuale - la cui imputabilità è regolata dall'art. 1218 c.c., norma da coordinarsi con il disposto dell'art. 1176 c.c. sul grado di diligenza richiesta al debitore nell'adempimento - la prova liberatoria che può fornire quest'ultimo non si sostanzia esclusivamente in quella positiva del caso fortuito o della forza maggiore, ma può considerarsi raggiunta ogni qual volta il debitore provi che l'esatto adempimento è mancato nonostante egli abbia seguito le regole dell'ordinaria diligenza (cfr. Cass. sez. lav.
30.10.1986, n. 6404).
Non si ignora in verità che l'insegnamento dottrinale, cui in precedenza si è fatto cenno, ammette per giunta esplicitamente, in relazione alla fattispecie di cui all'art. 1497 c.c., che, "quali che siano state le intenzioni del legislatore, la norma non può avere neanche l'altro significato (...) di escludere ogni reazione quando non vi è colpa". E su tale premessa, poichè "la liberazione del debitore, se non vi è colpa, ha luogo solo quando l'esatto adempimento è divenuto impossibile", propende a reputar compatibile con la natura e la funzione della vendita, quando (nella vendita di cosa specifica) il difetto è eliminabile, che il compratore chieda che il venditore lo elimini a sue spese.
Tuttavia l'obiezione che la medesima dottrina pur si prefigura - "in questo modo si viene ad addossare al venditore un'obbligazione di fare in senso stretto, mentre invece la vendita è solo un contratto traslativo, ha per contenuto solo un dare (...) e non un fare in senso stretto" - appare insuperabile.
Invero, "la legge non prevede il diritto del creditore alla regolarizzazione giuridica della prestazione mentre la riparazione del bene è menzionata solo nella disciplina dell'appalto (art. 1668 c.c., comma 1) e del contratto d'opera (art. 2226 c.c., comma 3)" (soggiunge dal canto suo altro e condivisibile insegnamento dottrinale).
D'altronde, questa Corte ha chiarito che le obbligazioni principali del venditore, secondo la previsione dell'art. 1476 c.c., non hanno per oggetto, neppure in via sussidiaria, un facete relativo alla materiale struttura della cosa venduta (cfr. Cass. 19.7.1983, n. 4980).
Con il quattordicesimo motivo la ricorrente principale deduce "violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985" (così ricorso principale, pag. 63).
Adduce che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, "qualunque edificio, in qualunque periodo sia stato cpstituito e sotto qualunque normativa, qualora non sia conforme alle disposizioni di cui alla L. n. 47 del 1985, deve essere adeguato secondo le disposizioni emanate con detta legge" (così ricorso principale, pag. 64); che, del pari contrariamente a quanto asserito dalla corte distrettuale, "la L. n. 47 del 1985, in nessuna sua parte, ha stabilito che possano esservi generici accertamenti di idoneità statica e che pertanto l'affermazione della Corte territoriale viola le disposizioni della (...) L. n. 47 del 1985" (così ricorso principale, pag. 65).
Il motivo non merita seguito.
Più esattamente il motivo de quo si risolve in una censura del tutto generica.
Si è difatti disconosciuto il presupposto della colpevole ignoranza imprescindibile ai fini del risarcimento del danno pur per equivalente (allo scopo, cioè, della condanna delle "confederazioni " a pagare, in alternativa, le somme necessarie per l'esecuzione dei lavori di consolidamento statico dell'immobile) e si è denegata in ogni caso la possibilità di condannare le "confederazioni" ad eliminare a proprie spese il difetto riscontrato.
In tal guisa "riflettere" sulla proiezione temporale di operatività della L. n. 47 del 1985 ovvero sull'analiticità degli "accertamenti di idoneità statica" dalla medesima legge pretesi, si tradurrebbe in un astratto esercizio ricostruttivo del tutto avulso dalle (già definite) necessità postulate dalla soluzione del caso de quo.
Si rimarca in via del tutto preliminare che il ricorso incidentale esperito da "Alerion Real Estate" s.r.l. è senz'altro ammissibile (si da atto che il ricorso incidentale è stato notificato alle altre parti lunedi 21.9.2009, ultimo giorno utile giacchè il 20.9.2009 - evidentemente - era domenica).
E' sufficiente porre in risalto al riguardo quanto segue.
Ovvero, per un verso, che, poichè l'impugnazione proposta per prima assume carattere ed effetti di impugnazione principale, e determina la pendenza dell'unico processo nel quale sono destinate a confluire, per essere decise simultaneamente, tutte le successive impugnazioni eventualmente proposte contro la medesima sentenza, il ricorso per cassazione successivo al primo assume sempre carattere incidentale, ed è pertanto ammissibile se proposto entro il termine di cui all'art. 371 c.p.c., anche qualora non risulti rispettato il termine di cui all'art. 327 c.p.c., configurandosi in tal caso come impugnazione incidentale tardiva(cfr. Cass. 2.7.2007, n. 14969).
Ovvero, per altro verso, che l'impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l'impugnazione principale metta in discussione l'assetto giuridico derivante dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, sorgendo l'interesse ad impugnare, anche nelle cause scindibili, come nell'ipotesi di garanzia impropria, dall'eventualità che l'accoglimento dell'impugnazione principale modifichi tale assetto giuridico (cfr. Cass. sez. lav. 29.3.2012, n. 5086; cfr. anche Cass. 24.4.2012, n. 6470, secondo cui l'art. 334 c.p.c., che consente alle parti, contro le quali sia stata proposta impugnazione (o chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331 c.p.c.), di proporre impugnazione incidentale, anche quando per esse sia decorso il termine ordinario o abbiano fatto acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l'accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l'avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorchè autonomo rispetto a quello investito dall'impugnazione principale).
Con il primo motivo la ricorrente incidentale deduce "nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 con riferimento all'art. 132 c.p.c., n. 5, art. 156 c.p.c., comma 2, e art. 161 c.p.c., comma 1" (così ricorso incidentale, pag. 26).
Adduce che "la sentenza impugnata risulta affetta da insanabile nullità, attesa la mancanza di statuizioni nel dispositivo della sentenza (...) in ordine all'appello incidentale di Alerion" (così ricorso incidentale, pag. 26); che "nella parte precettiva della sentenza, rappresentata dal dispositivo, la Corte d'Appello di Roma nulla statuisce con riferimento alla domanda proposta in via preliminare e di rito da Alerion in primo grado ed in sede di gravame" (così ricorso incidentale, pag. 27); che "l'incontrovertibile omissione comporta l'impossibilità totale di determinare l'effettiva portata precettiva di tutte le pronunce di cui alla sentenza impugnata e, conseguentemente, la nullità della stessà (così ricorso incidentale, pag. 28); che "la portate precettiva della sentenza nemmeno risulta individuabile dalle enunciazioni contenute nella motivazione" (così ricorso incidentale, pag. 28).
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e falsa applicazione ex art. 360, n. 3 dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 132 c.p.c., n. 5" (così ricorso incidentale, pag.
30).
Adduce, alternativamente al vizio di nullità della sentenza impugnata, "il vizio di omessa pronuncia, per avere la Corte d'Appello, pur premesso in tesi, ossia in motivazione, l'accoglimento dell'appello incidentale di Alerion, ed in dispositivo (capo a) la riforma del capo e) della sentenza di prime cure, non ha statuito in ordine alla domanda svolta, in sede di appello incidentale" (così ricorso incidentale, pag. 30).
Il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale sono strettamente connessi.
Se ne giustifica perciò l'esame congiunto.
I medesimi motivi, comunque, sono immeritevoli di seguito.
Si è dato conto testualmente - in precedenza - delle conclusioni formulate da "Alerion Real Estate" s.r.l. nella comparsa con cui ebbe a spiegare intervento nel giudizio di opposizione promosso da "I.FIN. 50" s.r.l..
Si è del pari evidenziato che con sentenza n. 985/2003 il tribunale di Roma ebbe, tra l'altro, al capo e) del dispositivo, a dichiarare inammissibile la domanda formulata dalla intervenuta "Triton" in danno della opponente "I.FIN. 50".
Si è analogamente premesso che la corte di Roma con la sentenza impugnata in questa sede, benchè abbia "accolta la doglianza proposta in via incidentale dalla s.p.a. Alerion Real Estate (già s.r.l. Triton) per l'affermazione dell'ammissibilità, negata dal Tribunale, dell'intervento esercitato nel corso del giudizio di primo grado" (così sentenza d'appello, pag. 9), ha, in riforma del capo e) della sentenza appellata, respinto nel merito "le domande risarcitorie proposte dalla interveniente Alerion Estate s.p.a.
contro I.FIN. 50 s.r.l. e da quest'ultima nei confronti della Confederazioni opposte" (così sentenza d'appello, pag. 24).
E' indubitabile pertanto che la corte distrettuale ha statuito, rigettandola, sulla pretesa risarcitoria, correlata pur al presunto minor valore dell'immobile (l'importo - L. 5.269.313.200 - per il quale la "Triton" ebbe a domandare la condanna della "I.FIN. 50" è esattamente uguale all'ammontare di tutti i danni subiti e subendi che la medesima interveniente aveva lamentato), azionata in via principale dalla intervenuta "Triton" e reiterate da "Alerion Real Estate" con l'appello incidentale.
Così come è indubitabile che ha provveduto sulle istanze adesive in via gradata formulate dalla intervenuta e ribadite con l'appello incidentale: la corte territoriale ha confermato il dictum di prime cure - che, a sua volta, aveva rigettato in toto l'opposizione al decreto ingiuntivo - in tal modo respingendo l'appello principale di "I.FIN. 50".
E' da escludere pertanto che omessa pronuncia vi sia stata.
D'altro canto, il rigetto della pretesa risarcitoria azionata dalla interveniente "Triton" - similmente al rigetto dell'appello principale e, dunque, alla conferma del rigetto dell'opposizione ex art. 645 c.p.c. - costituisce il riflesso di un articolato iter motivazionale con cui si è dato ampiamente conto dell'insussistenza del presupposto della colpevole ignoranza di cui all'art. 1494 c.c. in capo alle confederazioni, alla lega ed all'associazione, originarie alienanti, e, quindi, anche in capo ad "I.FIN. 50", allorchè ebbe a vendere a "Triton" con il rogito per notar Mazza in data 20.11.1992 ("dovendosi ritenere raggiunta (...) la prova dell'incolpevolezza dell'ignoranza, sia da parte delle Confederazioni venditrici, che, a fortiori, da parte della sub-alienante I.FIN. 50, dei difetti (...)": così sentenza d'appello, pag. 23).
Non si nega, in verità, che il capo a) della sentenza d'appello in questa sede censurata contiene espresso riferimento unicamente alle "domande ricarcitorie proposte dalla interveniente Alerion Estate s.p.a. contro I.FIN. 50 s.r.l." e nulla dice in ordine alle domande di accertamento patimenti spiegate in via principale dall'allora "Triton".
Tuttavia, devesi ragionevolmente opinar nel senso che la reiezione esplicita della domanda risarcitoria, così come l'articolato reticolo motivazionale che la supporta, si dilatino sino ad inglobare pur il rigetto e a dar ragione pur del rigetto delle domande dichiarative spiegate dalla intervenuta.
Del resto, è davvero difficile scorgere in capo ad "Alerion Real Estate", in forma avulsa dalla pretesa risarcitoria simultaneamente fatta valere con la comparsa di intervento (e, si ribadisce, correlata anche al presunto minor valore dell'immobile), un precipuo interesse ex art. 100 c.p.c. a conseguire nei confronti di "I.FIN. 50" la mera declaratoria dei vizi occulti che l'allora "Triton" aveva denunciato alla propria dante causa, rectius la mera declaratoria, limitatamente all'edificio posto al n. (OMISSIS), del difetto di qualità ("promessa", nel rapporto tra le originarie alienanti, da un canto, e la "I.FIN. 50", dall'altro) "essenziale" (nel rapporto tra la "I.FIN. 50", da un canto, e la "Triton", dall'altro).
Con il terzo motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 91 c.p.c., comma 1, in relazione all'art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4) e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1" (così ricorso incidentale, pagg. 31 - 32).
Adduce che "il salto logico e giuridico operato dalla Corte territoriale si riflette anche sulla successiva pronuncia, al capo b), circa le spese processuali" (così ricorso incidentale, pag. 32);
che essa ricorrente incidentale "non risulta, anche diversamente dalla ricorrente principale, pienamente soccombente rispetto alla sentenza di prime cure" (così ricorso incidentale, pag. 32); che "anzi. (...) a fronte della motivazione della sentenza di secondo grado, se ne potrebbe inferire (...) una sostanziale vittoria processuale" (così ricorso incidentale, pag. 32); che dunque è ingiustificata l'addebitabilità delle spese, quali individuate, in vincolo obbligatorio solidale rispetto ad I.FIN. 50" (così ricorso incidentale, pag. 33).
Con il quarto motivo la ricorrente incidentale deduce "omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 in tema di condanna alle spese processuali" (così ricorso incidentale, pag. 33).
Adduce che "se per un verso la Corte d'Appello accoglie pienamente il principale motivo di impugnazione di Alerion avverso la sentenza del Tribunale di Roma, per altro verso ed inspiegabilmente non ne trae le dovute conclusioni in ordine alla pronuncia di condanna alle spese processuali" (così ricorso incidentale, pag. 34).
Il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale sono significativamente correlati.
Se ne impone la simultanea disamina.
I medesimi motivi, in ogni caso, non meritano seguito.
Si è già ribadito che la corte romana non solo ha respinto nel merito "le domande risarcitorie proposte dalla interveniente Alerion Estate s.p.a. contro I.FIN. 50 s.r.l." (così sentenza d'appello, pag. 24). Ma, ulteriormente, ha provveduto - rigettandole - sulle istanze adesive in via gradata formulate dalla intervenuta e reiterate con l'appello incidentale.
Su tale scorta è sufficiente evidenziare quanto segue.
In primo luogo, che la condanna al pagamento delle spese processuali è una conseguenza legale della soccombenza, che a sua volta va individuata tenendo presente la statuizione espressa nella sentenza (cfr. Cass. 18.10.2001, n. 12758).
In secondo luogo, che è soccombente rispetto alla parte vincitrice e può perciò essere condannata al rimborso delle spese del processo, non solo la parte che propone domande, ma anche quella che interviene nel processo per sostenere le ragioni di una parte o che, chiamala nel processo da una delle parti, ne sostiene le ragioni contro l'altra (cfr. Cass. 23.2.2007, n. 4213).
In terzo luogo, che, in tema di spese processuali, solo la compensazione deve essere sorretta da motivazione, e non già l'applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò, non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta (cfr. Cass. 23.2.2012, n. 2730).
Con il quinto motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 1490 c.c. e art. 329 c.p.c." (così ricorso incidentale, pag. 35).
Adduce che "la Corte territoriale qualifica l'azione risarcitoria (...) quale proposta ai sensi dell'art. 1494 c.c., rilevando che nessuna delle parti appellanti ha censurato tale qualificazione" (così ricorso incidentale, pag. 35); che "quanto ad Alerion (...) la sentenza incorre in un error in procedendo, poichè non sussiste acquiescenza alcuna alla pronuncia del Giudice di seconde cure in ordine alla qualificazione giuridica del rapporto" (così ricorso incidentale, pag. 36).
Il motivo è destituito di fondamento.
Con la comparsa depositata in data 19.11.1998, con cui ebbe a spiegare intervento volontario, "Triton" ebbe in via principale a domandare la condanna di "I.FIN. 50" al risarcimento dei danni tutti - pur correlati al minor valore dell'immobile - che essa interveniente aveva assunto di aver subito.
La corte di merito, dal canto, ha espressamente ricondotto al paradigma dell'art. 1494 c.c. l'azione risarcitoria esperita e dalla "I.FIN. 50" e dall'allora "Triton".
Orbene, non si nega l'incongruenza, a rigore, del riferimento, a fini qualificatori, all'art. 1494 c.c..
Invero, si versa sul terreno della mancanza di qualità "promessa" ed "essenziale", sicchè, in virtù del rinvio di cui all'art. 1497 c.c. alle disposizioni generali in tema di inadempimento, il diritto al risarcimento del danno - siccome anticipato - si esplica propriamente nel segno e nell'alveo della previsione dell'ultima parte dell'art. 1453 c.c., comma 1 ("salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno ").
Nondimeno, l'allora "Triton" s.r.l. aveva indiscutibilmente domandato il ristoro dei danni asseritamente sofferti (cfr. ricorso incidentale, pagg. 4 - 5).
Il che è quanto basta onde disconoscere la prospettata violazione dell'art. 112 c.p.c..
Con il sesto motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 1490, 1492 e 1494 c.c. e art. 324 c.p.c." (così ricorso incidentale, pag. 36).
Adduce che, contrariamente a quanto assunto della Corte territoriale, "Alerion (...) ha agito ai sensi dell'art. 1490 c.c., introducendo tuttavia non il solo rimedio di cui all'art. 1494 c.c., bensì e prioritariamente la richiesta di riduzione prezzo di cui all'art. 1492 c.c. (actio quanti minoris)" (così ricorso incidentale, pag.
38); che la corte territoriale ha del tutto omesso di riferirsi, senza alcuna motivazione, all'azione esperita dall'allora "Triton";
che "in buona sostanza, la censurata violazione non ha permesso ad Alerion (...) di vedersi riconosciuto il buon diritto alla restituzione del quantum minoris da parte dell'alienante" (così ricorso incidentale, pag. 41).
Con il settimo motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 132 c.p.c., nn. 4 e 5, , in relazione all'art. 1492 c.c." (così ricorso incidentale, pag. 42).
Adduce che "la Corte territoriale non ha punto motivato, se non per relationem all'azione ex art. 1494 c.c., perchè non possa ritenersi accoglibile la diversa actio quanti minoris (...) promossa sin dal primo grado di giudizio e riproposta in grado d'appello" (così ricorso incidentale, pag. 42); che la corte territoriale "si è limitata a soffermarsi sull'esistenza o meno di ignoranza incolpevole in I.FIN. 50 e nelle Confederazioni, senza considerare che il bene della vita richiesto dall'odierna ricorrente incidentale, in via prioritaria rispetto all'azione risarcitoria era costituito dalla richiesta di riduzione del prezzo del bene" (così ricorso incidentale, pagg. 42 - 43).
Con l'ottavo motivo la ricorrente incidentale deduce "omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 in tema di qualificazione della domanda e dei suoi effetti" (così ricorso incidentale, pag. 43).
Adduce che "la Corte territoriale (...) nemmeno prende in considerazione il vero ed unico oggetto dell'intervento autonomo, ossia l'actio quanti minoris" (così ricorso incidentale, pag. 44);
che "nemmeno il dispositivo, ovviamente, si pronuncia sulla domanda, limitandosi (...) al richiamo ad azione risarcitoria" (così ricorso incidentale, pag. 44).
Il sesto, il settimo e l'ottavo motivo del ricorso incidentale sono strettamente connessi.
Il che ne suggerisce l'esame congiunto.
I medesimi motivi, comunque, sono immeritevoli di seguito.
Si ribadisce che, siccome la corte distrettuale ha correttamente opinato, si versa in tema di difetto di qualità "promessa" ex art. 1497 c.c., nel rapporto tra le originarie alienanti ed "I.FIN 50" s.r.l., ed in tema di difetto di qualità "essenziale" ex art. 1497 c.c., nel rapporto tra "LFIN 50" s.r.l. e (ora) "Alerion Real Estate" s.r.l..
Si ribadisce che la disciplina di cui all'art. 1497 c.c. rimanda alle disposizioni generali in tema di inadempimento (cfr. altresì Cass. 24.5.2005, n. 10922).
In questi termini, giusta le disposizioni di cui all'art. 1453 c.c. e segg, non vi è margine per L'actio quanti minoris, ovvero per l'azione tendente alla manutenzione del contratto, sia pure condizionatamente ad una riduzione del prezzo rapportato alla minore utilità od al minor valore della res acquistata.
In ogni caso, alla luce delle conclusioni formulate nella comparsa con cui ebbe ad intervenire nel giudizio di opposizione promosso da "I.FIN. 50" (e quali riprodotte alle pagg. 4 e 5 del ricorso incidentale), è da escludere che "Triton" abbia invocato la riduzione del prezzo pattuito con "I.FIN. 50" in rapporto al minor valore, alla minore utilità dello stabile posto al civico n. (OMISSIS).
"Triton" piuttosto ebbe ad invocare l'accertamento del minor valore dell'immobile nel quadro e nel solco del risarcimento dei complessivi danni che ha assunto di aver sofferto (si è già rimarcato che l'importo - L. 5.269.313.200 - per il quale la "Triton" aveva domandato la condanna della "I.FIN. 50" è esattamente pari all'ammontare dei danni subiti e subendi che la medesima interveniente aveva lamentato).
Con il nono motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 1490, 1494, 1495, 2909 c.c. e 324 c.p.c." (così ricorso incidentale, pag. 45).
Adduce che, "allorquando esclude il diritto al risarcimento danni di Alerion nei confronti di I.FIN. 50 e, correlativamente, di quest'ultima nei confronti delle Confederazioni, perchè l'alienante avrebbe senza colpa ignorato, almeno sino al giugno del 1997 (...), il vizio di idoneità statica dell'edificio di via (OMISSIS) (...) dimentica la Corte che mai I.FIN. 50 ha fornito detta prova, mai ha eccepito l'ignoranza incolpevole del vizio prevista all'art. 1494 c.c., comma 1" (così ricorso incidentale, pag. 45);
che "anzi, lungo l'arco del giudizio ha riconosciuto, con dichiarazione confessoria a norma dell'art. 1495 cpv., c.c., l'esistenza e l'entità del vizio, mai disconoscendo la propria responsabilità" (così ricorso incidentale, pag. 45); che "in ogni caso, il Giudice d'appello si è indebitamente ed illegittimamente sostituito alla parte, facendo valere ex officio un'eccezione personale mai sollevata dall'appellante (...) di tal che, sotto questo profilo, la sentenza risulta viziata da ultrapetizione" (così ricorso incidentale, pag. 46).
Con il decimo motivo la ricorrente incidentale deduce "violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 115 c.p.c. in relazione all'art. 1494 c.c., comma 1" (così ricorso incidentale, pag. 47).
Adduce che "risultano censurabili (...) - in ragione delle prove dedotte dalla ricorrente incidentale - le motivazioni addotte dalla Corte d'Appello per asserire l'incolpevole ignoranza dell'alienante e (...) delle Confederazioni in ordine alla inidoneità statica dell'immobile di via (OMISSIS)" (così ricorso incidentale, pag. 47); che "tanto la produzione documentale quanto la semplice ricostruzione ed interpretazione lasciano presumere, con indizi gravi precisi e concordanti ex art. 2729 c.c., comma 1, l'anteatta conoscenza, oltre che naturalmente conoscibilità, (...) del vizio dedotto dalla ricorrente incidentale" (così ricorso incidentale, pag. 49): che "i documenti in atti di giudizio e l'avere assunto Confederazioni verso I.FIN. 50 e questa verso Alerion, l'obbligazione di ottenere il mutamento di destinazione d'uso dell'immobile per cui è causa, comprovano la presunzione assoluta e de iure di conoscenza pregressa dello stato di idoneità statica dell'immobile" (così ricorso incidentale, pag. 49).
Senz'altro il decimo motivo ed, in parte, il nono si risolvono in censure del giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso.
Il che non solo giustifica la riqualificazione in foto del decimo motivo ed in parte del nono in rapporto alla previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ma, evidentemente, ne consiglia la disamina simultanea.
In ogni caso ambedue i motivi sono destituiti di fondamento.
Per i profili involgenti il giudizio di fatto operato dalla corte di merito non possono che rilevare - ovviamente - le medesime argomentazioni formulate ai fini del rigetto del tredicesimo motivo del ricorso principale.
Per i profili del nono motivo che si risolvono nella denuncia di un error in procedendo (sicchè in parte qua il nono motivo è da riqualificare ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) è sufficiente evidenziare quanto segue.
Ovvero che l'eccezione di incolpevole ignoranza da parte della "I.FIN. 50". allorchè ebbe a sigiare con la s.r.l. "Triton" l'atto di alienazione a rogito notar Mazza del 20.11.1992, del difetto di idoneità statica - ai fini della destinazione a pubblici uffici - dell'immobile di cui al n. (OMISSIS) era certamente desumibile dal complesso delle argomentazioni che la medesima "I.FIN. 50" aveva svolto nell'atto di opposizione a sostegno sia del rigetto della pretesa monitoria azionata dalle confederazioni, dalla lega e dell'associazione, sia della domanda riconvenzionale esperita nei confronti delle medesime originarie alienanti.
Si tenga conto che per la proposizione di un'eccezione sostanziale non si richiede che la parte impieghi formule sacramentali, ma è sufficiente qualsiasi deduzione, anche; implicita, che la riveli (cfi: Cass. 29.4.2004, n. 8225).
Il ricorso principale, in conclusione, va accolto per quanto di ragione, segnatamente in relazione al terzo, al quarto ed al sesto motivo; gli ulteriori motivi evidentemente vanno respinti;
conseguentemente la sentenza n. 2501 del 6.11.2007/16.5.2008 della corte d'appello di Roma va cassata in relazione alle censure accolte con rinvio, limitatamente al rapporto processuale tra "I.FIN. 50" s.r.l., da un lato, e le controricorrenti "Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana", "Confederazione Nazionale Coldiretti", "Confederazione Italiana Agricoltori CI.A.", "Confederazione Cooperative Italiane", "Lega Nazionale Cooperative e Mutue", "Associazione Generale Cooperative Italiane", dall'altro, ad altra sezione della medesima corte distrettuale, che provvederà altresì alla regolamentazione delle spese presente grado di legittimità tra le stesse parti.
Il ricorso incidentale, in conclusione, va integralmente respinto.
Giusti motivi, correlati alla sovrapponibilità in misura significativa della posizione di "I.FIN. 50" s.r.l., da un lato, e di "Alerion Real Estate" s.r.l., dall'altro, suggeriscono l'integrale compensazione delle spese del presente grado di legittimità tra le medesime parti.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
accoglie, per quanto di ragione, segnatamente in relazione al terzo, al quarto ed al sesto motivo il ricorso principale; respinge gli ulteriori motivi del medesimo ricorso; cassa la sentenza n. 3561 del 6.11.2007/16.5.2008 della corte d'appello di Roma in relazione alle censure accolte e rinvia, limitatamente al rapporto processuale tra "I.FIN. 50" s.r.l., da un lato, e le controricorrenti "Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana", "Confederazione Nazionale Coldiretti", "Confederazione Italiana Agricoltori CI.A.", "Confederazione Cooperative Italiane", "Lega Nazionale Cooperative e Mutue", "Associazione: Generale Cooperative Italiane", dall'altro, ad altra sezione della medesima corte distrettuale che provvederà altresì alla regolamentazione delle spese presente grado di legittimità tra le stesse parti;
rigetta il ricorso incidentale proposto da "Alerion Real Estate" s.r.l.;
compensa integralmente tra "I.FIN. 50" s.r.l., da un lato, ed "Alerion Real Estate" s.r.l., dall'altro, le spese del presente grado di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2015