SOLUZIONE PARERE: LA FORMA DEL CONTRATTO.
Cassazione civile, Sezioni Unite, 17 settembre 2015,
n. 18214
Fatto
I FATTI E I MOTIVI DI RICORSO
1.
P.I. concesse in locazione un immobile di sua proprietà, sito in Fondi, al
padre C., con facoltà di sublocazione.
1.1.
Questi concesse a sua volta in godimento l'appartamento a T.G. e a Co.Si..
2.
La P. ottenne, in data 26 giugno 2006, un provvedimento di convalida di sfratto
per morosità nei confronti del padre, che pose in esecuzione estromettendo la
Co. dal possesso dell'immobile.
2.1.
Nel proporre opposizione all'esecuzione, quest'ultima espose di aver ricevuto
in locazione l'appartamento da P.C. fin dal febbraio 2003, verso un canone di
locazione pari Euro 100, poi aumentato ad Euro 250 a seguito di alcuni
interventi di manutenzione, sostenendo che la convalida di sfratto era effetto
di dolo e collusione dei P. ai suoi danni.
2.2.
P.C., con autonomo ricorso, poi riunito al procedimento di opposizione, agì a
sua volta per la risoluzione del contratto concluso con T.G. e la convivente C.
S., a suo dire morosi nel pagamento dell'indennità mensile di occupazione dal
gennaio 2006.
3.
Il Tribunale di Latina, riuniti i giudizi, dichiarò che tra Co.Si. e P.C. era
stato stipulato, fin dal maggio 2003, un contratto di locazione per il canone
mensile di Euro 250.
3.1.
In particolare, con riguardo alla mancanza di forma scritta, il giudice di
primo grado affermò che l'eventuale nullità del negozio poteva essere fatta
valere dalla sola parte conduttrice, trattandosi di una nullità relativa. Ne
conseguiva la inefficacia della procedura esecutiva per rilascio proposta da P.I.
nei confronti della Co., potendo quest'ultima vantare un diritto di godimento
opponibile a colei che agiva per il rilascio, oltre a quello al risarcimento
dei danni, patrimoniali e non, patiti a causa del trasloco in altra abitazione.
3.2.
P.C. e I. furono pertanto condannati a reimmettere la Co. nel possesso
dell'immobile, e il solo P.C. anche al risarcimento del danno, mentre le sue
domande nei confronti della Co. e del T. furono rigettate.
4.
Propose appello P.C., chiedendo, previa declaratoria di nullità del contratto
per mancanza della forma scritta, il rigetto delle domande svolte da Co.Si. e
la risoluzione del rapporto intercorso con il T., oltre alla sua condanna al
pagamento dei canoni /indennità di occupazione per dieci mensilità.
5.
La Corte d'Appello di Roma, chiamata a decidere sull'appello principale del P.
e su quello incidentale del T., relativo alle sole spese del giudizio, rigettò
tutte le domande proposte da C.S. (già Co.Si.) e dallo stesso P..
5.1.
Ritenne il giudice di secondo grado che il contratto di locazione intercorso
tra il C. e la Co. - C. fosse nullo per difetto dell'imprescindibile requisito
della forma scritta, richiesta ad substantiam dalla L. n. 431 del 1998, art. 1,
comma 4, con la conseguenza che nessun risarcimento del danno poteva essere
accordato alla conduttrice, non legittimata ad opporre un valido titolo di
godimento a cagione del rilevato difetto di forma del contratto.
5.2.
Specificò la Corte capitolina che, nonostante la forma scritta non fosse
espressamente prevista "sotto pena di nullità", secondo quanto
disposto dall'art. 1325 c.c., n. 4, un'interpretazione di tipo sistematico
induceva a ritenere che la prescrizione del citato art. 1, comma 4, secondo cui
"... per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma
scritta" imponesse per essi l'adozione di una forma ad substantiam, attesa
la regola di qualificazione di cui all'art. 1352 cod. civ., alla stregua della
quale, in difetto di univoche prescrizioni, la forma deve intendersi imposta per
la validità del contratto, piuttosto che soltanto ad probationem, mentre l'art.
2739, comma 1, in tema di fattispecie sottratte al giuramento, richiamava
"il contratto per la validità del quale sia richiesta la forma
scritta", con univoco riferimento proprio ai casi nei quali la forma è
prevista ad essentiam.
5.3.
La ratio della normativa di cui alla legge del 1998 doveva rinvenirsi, secondo
il giudice di appello, nell'esigenza di certezza e trasparenza del rapporto sia
tra le parti che nei confronti del fisco, al fine di fronteggiare un mercato
caratterizzato da una consolidata prassi di contratti in tutto od in parte
simulati, mentre lo stesso fondamento costituzionale di tale limite
all'autonomia negoziale doveva individuarsi nell'art. 41 Cost., comma 3, e nel
successivo art. 53 quanto ai conseguenti obblighi tributari. La tesi secondo la
quale il difetto della forma scritta avrebbe dato luogo ad una nullità soltanto
relativa, suscettibile di essere fatta valere solo dalla parte debole del
contratto (i.e. dal conduttore), non trovava quel tassativo riscontro normativo
che, ai sensi dell'art. 1421 cod. civ. ("Salve diverse disposizioni di
legge,..."), doveva ritenersi imprescindibile per derogare alla regola
della nullità assoluta.
5.4.
Nè appariva utilmente evocabile, a giudizio della Corte territoriale, della
citata L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 5, che abilitava il solo conduttore
ad agire per la c.d. "riconduzione del rapporto di fatto", in quanto
la norma non aveva attinenza con la disciplina della validità del contratto,
mirando piuttosto a sanzionare la condotta del locatore volta ad imporre alla
controparte l'instaurazione di un rapporto di mero fatto (a tacere della
circostanza che, nel caso di specie, la domanda di riconduzione non era stata
concretamente esperita).
6.
La sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione da C.S., che lo
illustra con due motivi.
6.1.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione delle
norme di cui alla L. n. 431 del 1998, con riferimento all'art. 360 cod. proc.
civ., comma 1, nn. 3 e 5.
Con
il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione delle norme
di diritto in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3 e 5, anche
per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio.
6.2.
Secondo la ricorrente, la mancanza di forma scritta di un contratto di
locazione ad uso abitativo comportava una nullità soltanto relativa, con la
conseguenza che la violazione del relativo obbligo spiegava effetti sfavorevoli
per il solo locatore e non anche per il conduttore, come implicitamente
desumibile dal quinto comma della L. n. 431 del 1998, art. 13, che ammetteva
espressamente la legittimità della locazione di fatto.
6.2.1.
Resiste P.I. sostenendo che la L. n. 431 del 1998 richiede invece tout court la
forma scritta ad substantiam, ed evidenziando che la C. non aveva promosso
alcuna azione di riconduzione del contratto L. n. 431 del 1998, ex art. 13,
comma 5.
7.
Resistono ancora con controricorso P.C. e T. G., proponendo, il primo, ricorso
incidentale condizionato affidato ad un motivo, il secondo, ricorso incidentale
illustrato da due motivi.
7.1.
Il P. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1998 e dell'art.
1453 c.c., avendo egli già dedotto in sede appello che i conviventi C. e T.
erano rimasti morosi nel pagamento del canone, con conseguente richiesta di
risoluzione del rapporto per grave inadempimento: anche qualora il contratto di
locazione fosse stato ritenuto valido nonostante la mancanza della forma
prescritta ad substantiam, la risoluzione avrebbe dovuto essere comunque
pronunciata per grave inadempimento della controparte.
7.2.
Il T. propone a sua volta due motivi di ricorso incidentale, il primo relativo
alla mancata pronuncia sulla domanda di risarcimento danni ex art. 96 cod.
proc. civ., il secondo con riferimento alla compensazione delle spese nel
giudizio in violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ..
8.
Con ordinanza interlocutoria n. 20480 del 2014 la terza sezione di questa
Corte, nell'esaminare preliminarmente e congiuntamente i motivi del ricorso
principale, osserverà che la Corte di merito aveva ritenuto inapplicabile, nel
caso di specie, l'istituto della c.d. nullità di protezione, ritenendo la ratio
della legge n. 431 del 1998 non già funzionale a tutelare i diritti del
conduttore, ma piuttosto a garantire una posizione di equidistanza tra le parti
contraenti.
8.1.
Nell'ordinanza di rimessione si evidenza ancora come la giurisprudenza di
legittimità (diversamente da quella di merito, non unanime sul punto) non si
fosse mai pronunciata sui temi in questione se non marginalmente -affermando
che la previsione di nullità per ipotesi determinate prevista dall'art. 13
della stessa legge non si applica agli immobili inclusi nella categoria
catastale A/8 (abitazioni in villa) per i quali, non essendo prevista alcuna
nullità collegata a limiti di durata del rapporto o di misura del canone, resta
esclusa la speciale azione del conduttore di riconduzione del rapporto a
condizioni conformi allo schema della valida locazione (Cass. 29 settembre 2004
n. 19568).
9.
Si rammenta ancora, con il provvedimento interlocutorio, come, con una
precedente ordinanza (n. 37 del 2014), la stessa terza sezione avesse ravvisato
la necessità di rimeditare l'orientamento interpretativo delineato dalla
sentenza n. 16089 del 2003 (e seguito da tutta la giurisprudenza successiva)
secondo cui, "in tema di locazioni abitative, la L. 9 dicembre 1998, n.
431, art. 13, comma 1, nel prevedere la nullità di ogni pattuizione volta a
determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante
dal contratto scritto e registrato (e nel concedere in tal caso al conduttore,
al comma 2, l'azione di ripetizione), non si riferisce all'ipotesi della
simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del
corrispettivo (nè a quella della simulata conclusione di un contratto di
godimento a titolo gratuito dissimulante una locazione con corrispettivo), in
tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata della norma. E ciò
perchè, essendo valido il contratto di locazione scritto ma non registrato (non
rilevando, nei rapporti tra le parti, la totale omissione dell'adempimento
fiscale), non può sostenersi che essa abbia voluto sanzionare con la nullità la
meno grave ipotesi della sottrazione all'imposizione fiscale di una parte
soltanto del corrispettivo (quello eccedente il canone risultante dal contratto
scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta, ma non registrata. La
nullità prevista dal citato art. 13, comma 1, è volta piuttosto a colpire la
pattuizione, nel corso di svolgimento del rapporto di locazione, di un canone
più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario (scritto,
come impone, a pena di nullità, l'art. 1, comma 4, della medesima legge, e
registrato, in conformità della regola della generale sottoposizione a
registrazione di tutti i contratti i di locazione indipendentemente
dall'ammontare del canone), la norma essendo espressione del principio della
invariabilità, per tutto il tempo della durata del rapporto, del canone fissato
nel contratto" (la questione è stata oggetto di discussione alla medesima
udienza pubblica del 13 gennaio 2015, ed è stata risolta da queste sezioni
unite con sentenza depositata in pari data a quella della presente pronuncia).
10.
Con l'ordinanza di rimessione, il collegio della terza sezione civile ha
pertanto rappresentato l'opportunità - per ragioni di completezza e
sistematicità - di trattare anche il problema della portata dell'azione di
riconduzione nell'ottica della ricorrenza o meno di una nullità che invalida il
rapporto locativo, perchè la materia delle locazioni si presenta di rilevante
impatto sociale ed una valutazione unitaria dei problemi indicati mira a
prevenire potenziali, diverse visioni interpretative fornendo all'interprete un
valido e sicuro ausilio per la loro pronta risoluzione.
10.1.
La questione rimessa a queste sezioni unite è, pertanto, la seguente:
se,
in materia di locazioni abitative, la L. n. 431 del 1998, art. 1, comma 4,
nella parte in cui prevede che "per la stipula di validi contratti di
locazione è richiesta la forma scritta", prescriva il requisito della
forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, e, nel primo caso, se
l'eventuale causa di nullità sia riconducibile alla categoria delle nullità di
protezione alla luce della disposizione di cui all'art. 13, comma 5 della
stessa legge, a mente del quale "Nei casi di nullità di cui al comma 4 il
conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna
dell'immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente
versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione
proponibile dinanzi al pretore, che la locazione venga ricondotta a condizioni
conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'art. 2 ovvero dal comma 3 dell'art.
2. Tale azione è altresì consentita nei casi in cui il locatore ha preteso
l'instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto
previsto dall'art. 1, comma 4, e nel giudizio che accerta l'esistenza del
contratto di locazione il pretore determina il canone dovuto, che non può
eccedere quello definito ai sensi del comma 3 dell'art. 2 ovvero quello definito
ai sensi dell'art. 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente
l'alloggio per i motivi ivi regolati; nei casi di cui al presente periodo il
pretore stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti".
LE
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1
ricorsi, principale e incidentali, proposti avverso la medesima sentenza,
devono essere riuniti.
1.1.
Il ricorso principale è infondato.
1.2.
Al rigetto del ricorso principale conseguono l'assorbimento del ricorso
incidentale condizionato di P.C. e il rigetto del ricorso di T.G..
2.
All'esame del ricorso principale vanno premesse le considerazioni che seguono.
2.2.
La disciplina codicistica della locazione di immobili urbani è stata integrata,
negli ultimi decenni, da numerosi interventi di legislazione speciale,
concernente in particolare i contratti aventi ad oggetto immobili ad uso
abitativo.
2.3.
La materia, come è noto, ha trovato una sua prima disciplina organica nella L.
n. 392 del 1978, ispirata all'esigenza di realizzare un meccanismo di determinazione
legale del contenuto del contratto - e, in particolare, del canone di locazione
-, calcolato sulla base di una serie di parametri oggettivi.
2.3.1.
Come pressochè unanimemente ritenuto dai commentatori della normativa, la
scelta del legislatore, di forte stampo dirigistico, ha prodotto risultati
estremamente negativi, causando gravi distorsioni del mercato delle abitazioni.
I proprietari, - salvo far ricorso alla sistematica pressi dei c.d. affitti in
nero - preferirono togliere dal mercato i propri appartamenti, ritenendo
oltremodo antieconomico concederli in locazione ad un canone spesso irrisorio,
assai lontano dal vero valore di mercato e con alti rischi di perdita della
relativa disponibilità per lungo tempo.
2.3.2.
Il fenomeno del ritiro del mercato delle locazioni di un considerevole numero
di immobili rese così necessario un nuovo intervento del legislatore, dapprima
timidamente derogatorio rispetto alla ratio sottesa alla L. del 1978 (il
riferimento è al D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 11, contenente la normativa
dei c.d. "patti in deroga"), e poi del tutto speculare ad essa, a far
data dalla L. n. 431 del 1998.
2.3.3.
Il primo intervento, del 1992, consentì, nei contratti di locazione ad uso
abitativo, la libera pattuizione del corrispettivo, bilanciata da un
sostanziale raddoppio della durata del contratto, mentre tutti gli altri
aspetti del rapporto contrattuale continuarono ad essere regolati dalla
precedente disciplina.
2.4.
La L. n. 431 del 1998 ha reso definitiva la scelta del legislatore di
abbandonare definitivamente l'idea del canone "equo" imposto per
legge, e di fronteggiare, eliminandolo in radice, il fenomeno del c.d.
"sommerso".
2.4.1.
Venne così sancita in via definitiva la liberalizzazione del canone delle
locazioni ad uso abitativo, bilanciata da una maggiore stabilità del rapporto
contrattuale, con espressa previsione dell'obbligo della forma scritta e della
registrazione del contratto.
2.4.2.
I contratti che ricadono nell'ambito applicativo della legge sono le locazioni
di immobili adibiti ad uso abitativo che non abbiano ad oggetto beni vincolati
o che non siano costruiti nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica o che
non siano alloggi locati per finalità esclusivamente turistiche (art. 1).
2.4.3.
La legge prevede due possibili modalità di contrattazione:
una
prima, libera, una seconda strutturata secondo modelli-tipo, frutto di accordi
definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le
organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative (art. 2, comma 3).
2.5.
Il legislatore detterà pochissime prescrizioni, limitandosi a richiedere la
forma scritta e a disciplinare la durata del contratto, che varia a seconda si
sia scelto il modello a forma libera oppure quello concordato tra associazioni.
Nel primo caso, infatti, è prevista una durata minima di quattro anni
rinnovabili per ulteriori quattro, mentre nel secondo la durata minima è di tre
anni rinnovabili per altri due.
3.
Con specifico riguardo al problema della forma negoziale dei contratti di
locazione, va premesso come, nel nostro sistema codicistico, viga, secondo
l'opinione dominante (peraltro non condivisa da autorevole dottrina), un
principio generale di libertà della forma, in applicazione del quale, in linea
generale, la manifestazione di volontà contrattuale non richiederebbe forme
particolari, potendo realizzarsi attraverso qualsiasi modalità idonea a
manifestarla, ivi compresi comportamenti c.d. concludenti.
3.1.
Il (presunto) principio della libertà di forma non è privo di eccezioni. E'
noto che, per alcuni atti la legge, richiede che la volontà sia manifestata
attraverso particolari modalità espressamente stabilite, attraverso la stipula
di contratti a forma c.d. vincolata: l'art. 1350 elenca quelli per i quali la
forma scritta è prevista a pena di nullità.
3.2.
La forma vincolata risponde ad una molteplicità di esigenze:
quella
di garantire certezza sull'esistenza e sul contenuto del contratto, oltre che
sulla stessa volontà delle parti; quella di rendere possibili i controlli sul
contenuto contratto previsti nell'interesse pubblico (come per la
contrattazione con la pubblica amministrazione); quella di rendere
trascrivibile il contratto a fini di pubblicità, per rendere opponibili a terzi
i diritti che ne scaturiscono; quella di protezione del contraente che, con
l'adozione della forma scritta, viene reso edotto e consapevole delle
obbligazioni assunte.
3.4.
Tra le molte teorie elaborate sulla complessa tematica della forma negoziale,
va posto l'accento su quelle che ne valorizzano il contenuto, privilegiando il
valore funzionale alla forma, da valutarsi in concreto, in relazione alla ratio
espressa dallo specifico "tipo" contrattuale. Di qui,
l'impredicabilità di una automatica applicazione della disciplina della nullità
in mancanza della forma prevista dalla legge ad substantiam, essendo piuttosto
necessario procedere ad un'interpretazione assiologicamente orientata, nel
rispetto dei valori fondamentali del sistema. Così, il carattere eccezionale o
meno della norma sulla forma, ovvero il suo carattere derogabile o
inderogabile, non potrà essere definito in astratto e in via generale, ma dovrà
risultare da un procedimento interpretativo che dipende dalla collocazione che
la norma riceve nel sistema, dalla ratio che esprime, dal valore che per
l'ordinamento rappresenta.
3.5.
Tali, condivisibili tendenze c.d. "neoformaliste" tendono a favorire
l'emersione del rapporto economico sottostante a ciascun atto negoziale,
evolvendo verso una vera e propria mutazione genetica del ruolo stesso della
forma del contratto, non più soltanto indice di serietà dell'impegno
obbligatorio, o mezzo di certezza o idoneità agli effetti pubblicitari, ma
strumento che consenta anche di rilevare l'eventuale squilibrio esistente tra i
contraenti e di tutelare la parte debole del rapporto (anche se, in senso
opposto, altra parte della dottrina continua a ritenere che l'art. 325 c.c., n.
4 evochi il requisito della forma, sic et simpliciter, come mero elemento
necessario nella struttura del contratto, senza attribuire alcun rilievo
all'elemento teleologia), di tal che, sul piano sostanziale, sarebbe preclusa
quell'attività ermeneutica - consentita invece dal diritto processuale - volta
alla valutazione sull'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo).
4.
Tanto premesso sul piano generale, va ancora ricordato come, in epoca
antecedente alla L. n. 431 del 1998, tanto la disciplina codicistica quanto la
L. n. 392 del 1978 non imponevano alcuna forma particolare al contratto di
locazione, tanto ad uso abitativo quanto per uso diverso (l'unica ipotesi di
obbligo di forma scritta era, difatti, quella relativa ai contratti di durata
ultranovennale, ex art. 1350 c.c., n. 8, interpretato, peraltro, in senso assai
restrittivo da questa stessa Corte di legittimità).
4.1.
La L. n. 431 del 1998 - funzionale, come già ricordato, all'esigenza di far
emergere l'enorme numero di contratti in nero determinatosi a seguito
dell'imposizione dell'equo canone, all'art. 1, comma 4 - ha invece previsto,
testualmente, che, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore,
"per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma
scritta".
4.2.
La necessità della forma scritta apparve, illico et immediate, ispirata a tutte
quelle esigenze poc'anzi evidenziate.
4.2.1.
In primo luogo, si volle assicurare certezza a rapporti giuridici che
coinvolgono un così importante bene della vita.
4.2.2.
In secondo luogo, si decise di "stabilizzare" un canone che, seppure
liberalizzato, doveva incondizionatamente rimanere quello indicato nel
contratto per tutta la durata del rapporto.
4.2.3.
Infine, e soprattutto, si volle assicurare la più ampia pubblicità al rapporto,
al fine di contrastare l'evasione fiscale.
La
prescrizione della forma scritta, difatti, appare volta essenzialmente a
tutelare l'intereresse alla trasparenza del mercato delle locazioni in funzione
dell'esigenza di un più penetrante controllo fiscale, esigenza avvertita in
modo significativo in un settore dove, come poc'anzi ricordato, a causa della
precedente disciplina dirigistica il fenomeno dell'evasione era divenuto
inarginabile. E proprio il collegamento funzionale (anche se non strutturale)
tra forma scritta e registrazione del contratto apparve a tuttora appare
particolarmente significativo in tal senso.
4.2.4.
La stessa relazione di accompagnamento della 8 Commissione permanente Ambiente
territorio e lavori pubblici (presentata alla Presidenza il 25.11.1998) indica
con chiarezza come l'obiettivo della L. n. 431 del 1998 fosse quello di
"introdurre misure atte a combattere il fenomeno dell'evasione fiscale che
appare particolarmente presente in questo settore", in aggiunta alla
volontà di realizzare una liberalizzazione controllata del mercato locativo.
4.3.
Si così osservato che l'interesse generale, di rilevanza pubblicistica,
troverebbe ulteriore conferma proprio nella previsione del requisito della
forma scritta anche nei casi in cui manchi un'esigenza di protezione del
conduttore riconducibile alla stabilità del rapporto di locazione o ad una
specifica posizione di debolezza - come nel caso delle locazioni stipulate per
finalità esclusivamente turistiche e di quelle che hanno ad oggetto immobili di
lusso, espressamente sottratte all'applicazione della L. n. 431 del 1995, art.
13, comma 5.
5.
Tale la conclusione cui perviene la pressochè unanime dottrina, che, salvo
alcune isolate voci contrarie, ritiene che la L. n. 431 del 1998 richieda per i
contratti di locazione ad uso abitativo la forma scritta a pena di nullità.
6.
Dal suo canto, la giurisprudenza di merito sembra aver privilegiato quasi
unanimamente l'interpretazione secondo la quale la forma scritta del contratto
di locazione sia richiesta ad substantiam. La norma speciale, difatti, secondo
alcune pronunce, andrebbe letta in combinato disposto con l'art. 1418 cod. civ.
- che sanziona con la nullità la mancanza di uno dei requisiti di cui all'art.
1325 cod. civ. ivi compresa la forma del contratto se prevista a pena di
nullità -, mentre, secondo altre, andrebbe coniugata con il disposto dell'art.
1350 n. 13 - che contempla, tra gli atti che devono farsi per iscritto a pena
di nullità, anche quelli "specificamente indicati dalla legge" -. Un
ultimo grippo di sentenze evocano, infine, le norme di cui agli artt. 1352 e
2739 cod. civ. quanto al significato da attribuire al requisito di forma in
difetto di univoche prescrizioni.
6.1.
Del tutto isolate appaino, per converso, le interpretazioni di segno opposto
offerte da altra parte della giurisprudenza di merito, secondo cui la mancanza
di una espressa previsione della sanzione della nullità dovrebbe indurre a
ritenere che la forma scritta richiesta per il contratto di locazione di
immobile ad uso abitativo sia soltanto ad probationem, e non un requisito
essenziale del contratto.
6.2.
Un terzo filone interpretativo ritiene, infine, necessaria la forma scritta ad
essentiam, limitando, peraltro, la rilevabilità della nullità in favore del
solo conduttore nella specifica ipotesi di cui alla L. n. 431 del 1998, art.
13, comma 5, che gli accorda una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato
imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato
soltanto verbalmente. Il conduttore potrebbe, cioè far valere egli solo la
nullità qualora il locatore abbia imposto la forma verbale, abusando della propria
posizione dominante all'interno di un rapporto giocoforza asimmetrico.
7.
E' convincimento di queste sezioni unite che l'ultima delle soluzioni proposte
dalla giurisprudenza di merito debba essere condivisa.
7.1.
A tale conclusione deve pervenirsi, innanzitutto, sulla base di una
interpretazione letterale della disposizione di cui alla L. n. 431 del 1998,
art. 13, comma 5, che limita all'elemento caratterizzante costituito
dall'"abuso" del locatore la necessità di un riequilibrio del rapporto
mediante l'introduzione di un'ipotesi di nullità relativa: ne consegue,
logicamente, che, in mancanza di tale "abuso", la nullità debba
ritenersi assoluta (e, quindi, non sanabile) e rilevabile da entrambe parti,
oltre che d'ufficio ex art. 1421 cod. civ..
7.2.
Se la forma scritta risponde alla finalità di attribuire alle parti, ed in
specie al conduttore, uno status di certezza dei propri diritti e dei propri
obblighi, la sua funzione primaria (coerente con la ratio dell'intero dettato
normativo di cui alla legge 431) deve comunque ritenersi quella di trarre
dall'ombra del sommerso - e della conseguente evasione fiscale - i contratti di
locazione.
7.3.
Il comma 5 dispone, difatti, testualmente, che "nei casi di nullità di cui
al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla
riconsegna dell'immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme
indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere,
con azione proponibile dinanzi al pretore, che la locazione venga ricondotta a
condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'art. 2 ovvero dal comma
3 dell'art. 2. Tale azione è altresì consentita nei casi in cui il locatore ha
preteso l'instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto
previsto dall'art. 1, comma 4, e nel giudizio che accerta l'esistenza del
contratto di locazione il pretore determina il canone dovuto, che non può
eccedere quello definito ai sensi del comma 3 dell'art. 2 ovvero quello
definito ai sensi dell'art. 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti
stabilmente l'alloggio per i motivi ivi regolati; nei casi di cui al presente
periodo il pretore stabilisce la restituzione delle somme eventualmente
eccedenti".
7.4.
La norma opera un espresso riferimento all'art. 1, comma 4, ovvero all'ipotesi
di un contratto nullo per mancanza di forma scritta che abbia dato luogo ad un
rapporto di locazione di fatto. Si richiede, tuttavia, espressamente, un
ulteriore presupposto, ovvero che sia il locatore ad aver preteso l'instaurazione
del rapporto di fatto, e che quindi la nullità del contratto sia a lui
attribuibile, mentre il conduttore deve averla solo subita. Si disciplina,
pertanto, la fattispecie concreta del locatore che ponga in essere una coazione
idonea ad influenzare il processo di formazione della volontà del conduttore,
condizionando alla forma verbale l'instaurazione del rapporto di locazione in
violazione dell'articolo 1, comma 4.
7.5.
E' in tal caso che il conduttore sarà il (solo) soggetto legittimato a chiedere
che la locazione di fatto, nulla per vizio di forma, venga ricondotta a
condizioni conformi a quanto previsto in relazione al canone predeterminato in
sede di accordi definiti ai sensi del comma 3 dell'art. 2 ovvero ai sensi
dell'art. 5, commi 2 e 3.
7.6.
In deroga ai principi generali della insanabilità del contratto nullo,
pertanto, la norma di cui all'art. 13, comma 5, riconosce al conduttore la
possibilità di esperire una specifica azione finalizzata alla sanatoria del
rapporto contrattuale di fatto venutosi a costituire in violazione di una norma
imperativa. Ma proprio la portata eccezionalmente derogatoria ad un principio-
cardine dell'ordinamento (i.e. la insanabilità del contratto nullo) non
consente un'interpretazione della norma diversa da quella rigorosamente
letterale.
7.7.
Il giudice dovrà pertanto accertare, da un canto, l'esistenza del contratto di
locazione stipulato verbalmente in violazione della L. n. 431 del 1998, art. 1,
comma 4, e, dall'altro, la circostanza che tale forma sia stata imposta da
parte del locatore e subita da parte del conduttore contro la sua volontà, così
determinando ex tunc il canone dovuto nei limiti di quello definito dagli
accordi delle associazioni locali della proprietà e dei conduttori ai sensi del
comma 3 dell'art. 2, con il conseguente diritto del conduttore alla
restituzione della eccedenza pagata.
8.
Nè la innegabile difficoltà probatoria di tale circostanza (gravando il
relativo onere sul conduttore, in ossequio alle tradizionali regole del
relativo riparto) può condurre a soluzione diversa, non potendo un principio (e
una maggior difficoltà) di carattere processuale incidere sulla ricostruzione
sostanziale della fattispecie.
8.1.
In conformità con la lettera della legge, la nullità di protezione, e le relative
conseguenze, sarà pertanto predicabile solo in presenza dell'abuso, da parte
del locatore, della sua posizione "dominante", imponendosi il tal
caso, e solo in esso, a causa della eccessiva asimmetria negoziale, un
intervento correttivo ex lege a tutela del contraente debole. In concreto, sarà
pertanto necessario che il locatore ponga in essere una inaccettabile pressione
(una sorta di violenza morale) sul conduttore al fine di costringerlo a
stipulare il contratto in forma verbale, mentre, nel caso in cui tale forma sia
stata concordata liberamente tra le parti (o addirittura voluta dal
conduttore), torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità.
Il locatore potrà agire in giudizio per il rilascio dell'immobile occupato
senza alcun titolo, e il conduttore potrà ottenere la (parziale) restituzione
delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone
"concordato" - poichè la restituzione dell'intero canone percepito
dal locatore costituirebbe un ingiustificato arricchimento dell'occupante.
8.2.
Non può, pertanto darsi seguito alla tesi, pur sostenuta da parte della
giurisprudenza di merito e da alcuni autori in dottrina, secondo cui il
collegamento tra l'art. 13, comma 5 e la L. n. 431 del 1998, art. 1, comma 4,
integrerebbe tout court gli estremi della nullità di protezione o relativa
anche nel caso l'uso della forma verbale sia stato deciso volontariamente da
entrambe le parti contraenti.
8.3.
Pur vero che il riconoscimento, in tal caso, di una fattispecie di natura di
nullità assoluta avrebbe come conseguenza l'obbligo di restituzione
dell'immobile con effetto immediato dalla dichiarazione di nullità del
contratto, venendo meno il suo titolo giustificativo (e così determinandosi un
indebolimento della posizione del conduttore, esposto all'azione di nullità del
locatore che, evitando la forma scritta prescritta dalla legge, avrebbe così un
permanente strumento di pressione nei confronti del contraente più debole), va
di converso considerato che tale assunto muove da un presupposto infondato in
diritto, quello, cioè, dell'assimilabilità della suddetta disposizione con
altre che introducono obblighi di forma (nelle varie fasi della formazione del
contratto, dalle trattative alla stipulazione definitiva) in funzione di
protezione del contraente maggiormente esposto al rischio contrattuale (nei
contratti bancari di investimento, ad esempio, la forma scritta è dettata in
funzione del superamento di uno squilibrio informativo che caratterizza il
rapporto tra le parti ed è diretta a fornire al contraente debole tutte le
informazioni necessarie per assumere consapevolezza del rischio cui si espone
nell'investimento e per avere la possibilità di verificare la conformità del
contratto definitivo con quanto è stato oggetto di informativa preliminare).
8.4.
Tali finalità non possono ritenersi predicabili con riguardo al requisito di
forma scritta del contratto di locazione. In primo luogo, non può ravvisarsi un
collegamento tra prescrizione di forma e obblighi informativi in quanto non vi
sono particolari rischi connessi allo svolgimento del contratto e non è dato
riscontrare quello squilibrio informativo che tipicamente caratterizza le
relazioni che intercorrono tra contraenti deboli e contraenti professionali. In
secondo luogo, la prescrizione di forma non è dettata in funzione strumentale
del contenuto, il quale, nell'ordinaria modalità di svolgimento delle relazioni
contrattuali, risulta agevolmente comprensibile dal conduttore.
8.5.
Queste considerazioni, coniugate con la già ricordata esigenza di procedere ad
un'interpretazione rigorosamente letterale della norma in esame, sebbene non
escludano una più generale intentio legis di tutelare il conduttore - che pur
risulta da una pluralità di norme dettate nel suo esclusivo interesse -
inducono a ritenere definitivamente esclusa la possibilità di applicazione
analogica delle norme che prevedono nullità relative.
9.
L'interpretazione letterale della norma in parola non consente, in definitiva,
soluzione diversa. Sancire che, per la stipula di validi contratti di
locazione, è necessaria la forma scritta, significa a contrario affermare che
il contratto di locazione privo di tale requisito è invalido (i.e., nullo). Nè
vale obiettare che nella categoria dell'invalidità rientra anche il contratto
annullabile, perchè nel territorio della disciplina positiva non si rinvengono
ipotesi di annullabilità per vizio di forma.
10.
Non senza osservare ancora, su di un più generale piano etico/costituzionale, e
nel rispetto della essenziale ratio della legge del 1998, che la soluzione
adottata impedisce che, dinanzi ad una Corte suprema di un Paese Europeo, una
parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente e impunemente
la propria qualità di evasore fiscale, volta che l'imposizione e il corretto
adempimento degli obblighi tributari, lungi dall'attenere al solo rapporto
individuale contribuente-fisco, afferiscono ad interessi ben più generali, in
quanto il rispetto di quegli obblighi, da parte di tutti i consociati, si
risolve in un miglior funzionamento della stessa macchina statale,
nell'interesse superiore dell'intera collettività.
Il
ricorso principale è pertanto rigettato, con conseguente rigetto di quello
incidentale del T. e con assorbimento di quello condizionato del P..
Le
spese del giudizio di Cassazione possono essere integralmente compensate,
attesa la complessità delle questioni trattate, l'assenza di precedenti di
legittimità e il contrasto esistente in seno alla giurisprudenza di merito.
PQM
P.Q.M.
La
Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello principale, assorbito il ricorso
incidentale condizionato del P., rigetta il ricorso incidentale del T. e
compensa le e spese del giudizio di cassazione.
Così
deciso in Roma, il 13 gennaio 2015.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre
2015
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