lunedì 4 marzo 2013

La Cassazione sulla responsabilità precontrattuale.


Corte di Cassazione – Sez. II Civile – 10 gennaio 2013 n. 477 – Pres. Dott. R.M.Triola – Est. S. Petitti; H. c/ R.T.A. ed altro (Cassa con rinvio Corte d’Appello di Trento, 23 luglio 2005 n. 320)

Responsabilità precontrattuale – Configurabilità – Trattative – Clausola generale – Correttezza e lealtà – Stipulazione del contratto

La regola disposta dall’articolo 1337 c.c non si riferisce alla sola ipotesi di ingiustificata rottura delle trattative, ma assume valore di clausola generale il cui contenuto non può essere predeterminato e implica il dovere per le parti di trattare in modo leale astenendosi da comportamenti reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante al fine della stipulazione del contratto; pertanto la violazione di questa regola aggiuntiva è idonea a determinare la configurazione della responsabilità precontrattuale.
Cfr. Cass. S.U. 19 dicembre 2007 n. 26725


In estrema sintesi e senza pretesa di completezza, la massima su riportata deriva dalla seguente vicenda concreta. La regione autonoma Trentino Alto Adige inseriva un “avviso di ricerca” su alcuni giornali al fine di individuare un immobile da destinare a nuova sede per gli Uffici del Catasto e del Libro Fondiario. A tale annuncio rispondeva la società Alfa, la cui offerta veniva considerata idonea. Si avviava così la fase delle trattative. Successivamente, giungeva un’offerta tardiva da parte della società Beta. L’originaria deliberazione con la quale si giudicava idonea la prima offerta veniva revocata e, senza fornire informazione veruna alla società Alfa, la regione proponeva un nuovo avviso di ricerca all’esito del quale, scelto un nuovo immobile, procedeva all’acquisto. La società Alfa conveniva in giudizio la regione domandando un risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale. La domanda veniva rigettata in primo e in secondo grado.

La responsabilità precontrattuale riguarda comportamenti collegati alla fase formativa del contratto. L’art. 1337 c.c. impone alle parti un preciso obbligo di comportamento «secondo buona fede». La buona fede deve intendersi in senso oggettivo[1], quale sinonimo di correttezza e lealtà, espressione del principio di solidarietà[2] (art. 1175 c.c.). Infatti, in capo ai soggetti di un rapporto obbligatorio grava un “obbligo di salvaguardia”, ciascuno di essi ha l’obbligo di salvaguardare l’utilità dell’altro nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio[3]. Le ipotesi tipiche di responsabilità precontrattuale possono riassumersi in tre tipologie: mancata conclusione del contratto, conclusione di un contratto invalido, conclusione di un contratto valido, ma pregiudizievole[4]. Il caso che ci occupa rientra nella rottura delle trattative. Affinché sia configurabile la responsabilità è necessario che la rottura intervenga allorché si sia consolidato l’affidamento di controparte ed il recesso risulti ingiustificato. Ciascun soggetto, in ossequio al principio dell’autonomia privata e della retrattabilità della propria manifestazione di volontà[5], è libero di mutare convincimento nei limiti del “principio di autoresponsabilità del dichiarante” in virtù del quale chi rende una dichiarazione contrattuale diviene altresì responsabile degli affidamenti che essa crea[6].
In altre parole, il recesso dalle trattative è considerato illegittimo e, conseguentemente fonte di responsabilità, allorquando sia espressione della violazione della clausola del comportamento secondo correttezza. Tale violazione risulta configurabile nei casi in cui la condotta della parte sia stata tale da ingenerare nella controparte l’erroneo convincimento della conclusione del contratto, violando i principi di buona fede, lealtà, correttezza e diligenza. Nel caso di specie è stato creato durante la fase delle trattative un legittimo affidamento, in capo alla società Alfa, in merito alla sicura conclusione del contratto giacché erano stati definiti gli elementi principali del negozio di compravendita, quali l’oggetto ed il prezzo, inoltre i comportamenti sono stati univocamente diretti ad indurre a ritenere che il contratto si sarebbe perfezionato; il recesso, pertanto, risulta illegittimo in quanto in contrasto con il principio del neminem laedere[7].                   
La sentenza in commento sottolinea come la portata dell’art. 1337 c.c. non si limiti unicamente all’ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative ma racchiuda una clausola generale relativa al dovere di comportarsi secondo buona fede durante le trattative. La norma tende ad evitare comportamenti improntati a superficialità, disattenzione, incompetenza, pertanto essa non vieta solo condotte connotate da dolo, ma anche quelle meramente colpose. Il comportamento di buona fede sottende quale ulteriore corollario il dovere di informazione[8]. Nel caso di specie la società Alfa non è stata informata della revoca della delibera e neppure della riproposizione dell’avviso di richiesta e tale mancata comunicazione ha corroborato ancor più la convinzione della conclusione del contratto.
In conclusione la regola[9] disposta dall’articolo 1337 c.c non si riferisce alla sola ipotesi di ingiustificata rottura delle trattative, ma assume valore di clausola generale, essa esprime il dovere per le parti di trattare in modo leale astenendosi da comportamenti reticenti, pertanto la violazione di tale disposizione è idonea a determinare la configurazione della responsabilità precontrattuale. La valutazione sull’idoneità o meno delle trattative di ingenerare affidamento deve essere valutata nel merito.
Marcella Ferrari



[1] La buona fede in senso soggettivo, invece, si sostanzia nell’ignoranza inconsapevole di ledere situazioni giuridiche altrui e si ritrova nella disciplina del possesso.
[2] Non a caso, nella stesura originaria del Codice Civile la norma si riferiva alla solidarietà corporativa.
[3] In tal senso vedasi BIANCA, Diritto civile. L’obbligazione, 4, Milano, Giuffrè, 1993, 86 ss.
[4] In tal senso ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica – Zatti, Milano, Giuffrè, 2001, 180 ss.
[5] Si pensi alla libera revocabilità della proposta e dell’accettazione (art. 1328 c.c.).
[6] Mentre un tempo, infatti, era prevalente il “dogma della volontà”, con il passaggio ad una visione oggettivistica del contratto, è risultata dominante la “teoria della dichiarazione” in cui assume rilievo anche l’affidamento che viene creato nella controparte mercé la propria condotta. In tal senso, ROPPO, op.cit., 38 ss.
[7] È appena il caso di ricordare che la responsabilità precontrattuale rientra nel genus della responsabilità aquilana, pertanto la sussistenza della risarcibilità del danno e la sua valutazione devono essere effettuate alla stregua degli artt. 2043 e 2056 c.c. (in tal senso Cass, S.U., 16 luglio 2001 n. 9645, Giust. Civ. Mass., 2001, 1404)
[8] L’obbligo di informazione è più pregnante allorché vi siano casi di asimmetria contrattuale. Si rammenta che, nel caso di specie, il rapporto riguardava una Pubblica Amministrazione ed una società privata.
[9] Preme sottolineare come il dovere di correttezza non rientri tra le clausole imperative aventi contenuto proibitivo, come quelle considerate dall’art. 1418 c.c., ne deriva che la sua violazione non determini l’invalidità del contratto; trattandosi di una regola di comportamento, la sua violazione importa responsabilità e un conseguente obbligo risarcitorio (In tal senso Cass., sez. III, 18 ottobre 1980).


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