lunedì 3 febbraio 2014

La Cassazione sulla Comunione legale dei beni.

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Cassazione civile, Sez. I, 27 maggio 2013, n. 13089

MASSIMA

Per le famiglie costituite prima della data di entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia di cui alla legge n. 151 del 1975, il nuovo regime di comunione legale ha ad oggetto anche gli acquisti effettuati dai coniugi (anche separatamente) nel periodo transitorio ricompreso tra la data di entrata in vigore della predetta legge e il termine ultimo per manifestare la volontà contraria all'applicazione delle nuove norme (15 gennaio 1978), purché a tale data i beni si trovino nel patrimonio del coniuge che li ha acquistati.

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Agrigento, con sentenza 15 novembre 2001, aveva condannato il Comune di Favara a corrispondere a D.M.V. l'importo di L. 32800000, pari a Euro 16.939,79, a titolo di risarcimento del danno costituito dalla rovina del proprio immobile provocato da una frana. Nel calcolare il predetto importo il tribunale aveva considerato che il D.M. era proprietario solo della metà del suddetto immobile, l'altra metà appartenendo alla moglie C.R.M..
Il D.M. proponeva appello, deducendo che il terreno sul quale era stato costruito l'immobile era stato acquistato dai coniugi in comproprietà indivisa in data 11 gennaio 1977, sicchè esso doveva ritenersi in regime di comunione legale dei beni. Pertanto, poichè l'amministrazione del bene e la rappresentanza in giudizio per i relativi atti spettavano ad entrambi i coniugi, a norma dell'art. 180 c.c., l'azione risarcitoria, volta alla reintegrazione economica del bene andato distrutto, doveva riferirsi all'intero bene, essendo stata proposta disgiuntamente da uno dei coniugi nell'interesse di entrambi.
La Corte di appello di Palermo, con sentenza 12 ottobre 2005, ha rigettato il gravame. Ha osservato che l'immobile non rientrava nella comunione legale dei coniugi, poichè era stato acquistato nell'anno 1977, mentre la L. 19 maggio 1975, n. 151, (art. 228) stabiliva che, decorsi due anni dalla sua entrata in vigore, il regime patrimoniale delle famiglie precostituite diveniva automaticamente quello della comunione legale (salva la volontà contraria di uno dei coniugi), ma i cespiti che vi ricadevano erano soltanto quelli acquistati successivamente.
Il D.M. ricorre per cassazione con un unico motivo.
Il Comune resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il D.M., deducendo la violazione e falsa applicazione della L. n. 151 del 1975, art. 228, osserva che l'immobile danneggiato ricadeva nella comunione legale, in quanto la disposizione di legge citata stabiliva che i beni che rientravano nella comunione erano quelli acquistati nel periodo transitorio ricompreso tra l'entrata in vigore della legge e il termine ultimo per manifestare la volontà contraria (prorogato al 15 gennaio 1978 dal D.L. 9 settembre 1977, n. 688, conv. in L. 31 ottobre 1977, n. 804).

Il motivo è fondato.
La corte di merito ha male interpretato la L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 228, secondo il quale, per le famiglie costituite prima della data di entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia di cui alla L. n. 151 del 1975 (i sig.ri D.M. - C. sono uniti in matrimonio dal 1972), il nuovo regime di comunione legale ha ad oggetto anche gli acquisti effettuati dai coniugi (anche separatamente) nel periodo transitorio ricompreso tra la data di entrata in vigore della predetta legge e il termine ultimo per manifestare la volontà contraria all'applicazione delle nuove norme (15 gennaio 1978), purchè a tale data i beni si trovino nel patrimonio del coniuge che li ha acquistati (v. Cass. n. 6954/1997, n. 2221/1993).
Poichè l'acquisto effettuato dal De Miceli risale all'11 gennaio 1977, l'immobile ricadeva nella comunione legale, sicchè hanno errato i giudici di merito nel dimezzare l'ammontare del danno liquidato in suo favore.
La sentenza impugnata va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna del Comune di Favara a corrispondere al ricorrente l'ulteriore somma di Euro 16939,79, oltre interessi legali dalla data della domanda.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo; sussistono giusti motivi per compensare le spese dei giudizi di merito.
P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, condanna il Comune di Favara a corrispondere al ricorrente l'importo di Euro 16939,79, oltre interessi legali dalla domanda; compensa le spese dei giudizi di primo e secondo grado; condanna il Comune alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

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