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Cassazione
civile, Sez. I, 27 maggio 2013, n. 13089
MASSIMA
Per
le famiglie costituite prima della data di entrata in vigore della
riforma del diritto di famiglia di cui alla legge n. 151 del 1975, il
nuovo regime di comunione legale ha ad oggetto anche gli acquisti
effettuati dai coniugi (anche separatamente) nel periodo transitorio
ricompreso tra la data di entrata in vigore della predetta legge e il
termine ultimo per manifestare la volontà contraria all'applicazione
delle nuove norme (15 gennaio 1978), purché a tale data i beni si
trovino nel patrimonio del coniuge che li ha acquistati.
SENTENZA
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Il
Tribunale di Agrigento, con sentenza 15 novembre 2001, aveva
condannato il Comune di Favara a corrispondere a D.M.V. l'importo di
L. 32800000, pari a Euro 16.939,79, a titolo di risarcimento del
danno costituito dalla rovina del proprio immobile provocato da una
frana. Nel calcolare il predetto importo il tribunale aveva
considerato che il D.M. era proprietario solo della metà del
suddetto immobile, l'altra metà appartenendo alla moglie C.R.M..
Il
D.M. proponeva appello, deducendo che il terreno sul quale era stato
costruito l'immobile era stato acquistato dai coniugi in comproprietà
indivisa in data 11 gennaio 1977, sicchè esso doveva ritenersi in
regime di comunione legale dei beni. Pertanto, poichè
l'amministrazione del bene e la rappresentanza in giudizio per i
relativi atti spettavano ad entrambi i coniugi, a norma dell'art. 180
c.c., l'azione risarcitoria, volta alla reintegrazione economica del
bene andato distrutto, doveva riferirsi all'intero bene, essendo
stata proposta disgiuntamente da uno dei coniugi nell'interesse di
entrambi.
La
Corte di appello di Palermo, con sentenza 12 ottobre 2005, ha
rigettato il gravame. Ha osservato che l'immobile non rientrava nella
comunione legale dei coniugi, poichè era stato acquistato nell'anno
1977, mentre la L. 19 maggio 1975, n. 151, (art. 228) stabiliva
che, decorsi due anni dalla sua entrata in vigore, il regime
patrimoniale delle famiglie precostituite diveniva automaticamente
quello della comunione legale (salva la volontà contraria di uno dei
coniugi), ma i cespiti che vi ricadevano erano soltanto quelli
acquistati successivamente.
Il
D.M. ricorre per cassazione con un unico motivo.
Il
Comune resiste con controricorso.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Il
D.M., deducendo la violazione e falsa applicazione della L. n.
151 del 1975, art. 228, osserva che l'immobile danneggiato ricadeva
nella comunione legale, in quanto la disposizione di legge citata
stabiliva che i beni che rientravano nella comunione erano quelli
acquistati nel periodo transitorio ricompreso tra l'entrata in vigore
della legge e il termine ultimo per manifestare la volontà contraria
(prorogato al 15 gennaio 1978 dal D.L. 9 settembre 1977, n. 688,
conv. in L. 31 ottobre 1977, n. 804).
Il
motivo è fondato.
La
corte di merito ha male interpretato la L. 19 maggio 1975, n.
151, art. 228, secondo il quale, per le famiglie costituite prima
della data di entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia
di cui alla L. n. 151 del 1975 (i sig.ri D.M. - C. sono
uniti in matrimonio dal 1972), il nuovo regime di comunione legale ha
ad oggetto anche gli acquisti effettuati dai coniugi (anche
separatamente) nel periodo transitorio ricompreso tra la data di
entrata in vigore della predetta legge e il termine ultimo per
manifestare la volontà contraria all'applicazione delle nuove norme
(15 gennaio 1978), purchè a tale data i beni si trovino nel
patrimonio del coniuge che li ha acquistati (v. Cass. n.
6954/1997, n. 2221/1993).
Poichè
l'acquisto effettuato dal De Miceli risale all'11 gennaio 1977,
l'immobile ricadeva nella comunione legale, sicchè hanno errato i
giudici di merito nel dimezzare l'ammontare del danno liquidato in
suo favore.
La
sentenza impugnata va pertanto cassata e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna del
Comune di Favara a corrispondere al ricorrente l'ulteriore somma di
Euro 16939,79, oltre interessi legali dalla data della domanda.
Le
spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si
liquidano in dispositivo; sussistono giusti motivi per compensare le
spese dei giudizi di merito.
P.Q.M.
La
Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo la causa nel merito, condanna il Comune di Favara a
corrispondere al ricorrente l'importo di Euro 16939,79, oltre
interessi legali dalla domanda; compensa le spese dei giudizi di
primo e secondo grado; condanna il Comune alle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in Euro 1300,00, di cui Euro 200,00 per
esborsi.
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