giovedì 20 febbraio 2014

Eccessiva durata del processo: le Sezioni Unite sul diritto del contumace all'equo indennizzo.

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Cassazione Civile, Sezioni Unite del 14 gennaio 2014, n. 585.

Giusto processo – Tempo ragionevole – Eccessiva durata – Contumace – Indennizzo – Sussiste – Art. 6 CEDU e art. 2 L. 89/2001.
Al contumace deve essere riconosciuto, in quanto parte del giudizio, il diritto ad ottenere in tempi ragionevoli la conclusione del giudizio. L'art. 6 della Cedu attribuisce tale diritto a "ogni persona", relativamente alla "sua causa", mentre la l. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, assicura un’equa riparazione a “chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale” per effetto della violazione di quel principio. La tutela è dunque apprestata indistintamente a tutti coloro che sono coinvolti in un procedimento giurisdizionale, tra i quali non può non essere annoverata anche la parte non costituita in giudizio, nei cui confronti la decisione è comunque destinata a esplicare i suoi effetti. Risulta pertanto arbitrario escludere il contumace dalla garanzia di “ragionevole durata”, che l’art. 111 cost. inserisce tra quelle del 2 “giusto processo”.

Nota a sentenza del Dott. Roberto Malzone.

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno affrontato una questione già dibattuta in passato e che ha conosciuto interpretazioni contrastanti.
La Suprema Corte ha statuito che sia nel diritto internazionale (CEDU) che nel diritto nazionale (L. 89/2001) non vi sono espresse disposizioni che escludano il riconoscimento dell’indennizzo per eccessiva durata del processo alla parte contumace.
  1. Il caso.
Un cittadino agiva instaurava giudizio per ottenere il riconoscimento dell’indennizzo da eccessiva durata di un processo durata più di 30 anni. In primo grado (innanzi alla Corte di Appello) veniva attribuito un indennizzo calcolato elusivamente in relazione al periodo di costituzione in giudizio (avvenuta tardivamente), con esclusione della fase precedente svoltasi con sua contumacia.
Ricorreva alla Suprema Corte per ottenere la riparazione anche per il periodo di contumacia, lamentando che né l’art. 2 della legge 89/2001 (Legge Pinto) né l’art. 6 della Cedu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) subordinassero il diritto all’equa riparazione alla partecipazione attiva nel processo.
  1. La disciplina sull’equa riparazione.
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) ha introdotto, con l’art 6, il riconoscimento del diritto ad un indennizzo per l’eccessiva durata del processo.
Tale diritto è riconosciuto nell’Ordinamento nazionale, trovando espressa menzione nell’art. 111 della Costituzione e nella L. 89/2001.
Nello specifico il Legislatore nazionale ha previsto che le parti che divengono vittime delle lungaggini processuali possono adire l’Autorità Giudiziaria competente al fine di vedersi riconoscere un indennizzo commisurato all’eccessiva durata del processo.
La ragionevole durata viene quantificata in 3 anni per il primo grado, 2 anni per il secondo ed 1 per il giudizio in Cassazione.
La giurisprudenza di legittimità ha statuito inoltre, che il tempo ragionevole in cui la Corte di Appello, investita del processo di equa riparazione, sia stimabile in due anni comprensivi dell’eventuale giudizio di Cassazione1.
La domanda deve essere proposta entro 6 mesi dalla definitività (passaggio in giudicato) della sentenza.
Il risarcimento ha ad oggetto sia i danni patrimoniali che non patrimoniali.
  1. La normativa di riferimento.
Art. 6 CEDU: “1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge …..”.
L’art. 2 L. 89/2001: “1. Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione
.
4. Il contrasto giurisprudenziale.
L’orientamento giurisprudenziale in materia ha conosciuto diverse pronunce, contrastanti ed opposte.
Difatti, un primo filone ha affermato l’ammissibilità ed il diritto del contumace ad ottenere il risarcimento per l’eccessiva durata del processo 2; un secondo filone, invece, ritenendo necessaria la costituzione e la partecipazione attiva nel procedimento, affinchè si verifichi un vero patema rispetto a chi si è disinteressato, esclude che il contumace esercitare tale diritto3.

5. La soluzione delle SS.UU.
Le Sezioni Unite hanno risolto la querelle seguendo il primo degli orientamenti, osservando che le disposizioni sia internazionali sia interne che disciplinano la materia non contengono alcuna espressa limitazione, per il contumace, del diritto a ottenere in tempi ragionevoli la conclusione del giudizio, anche se non vi si è costituito.
Infatti l’art. 6 CEDU attribuisce il diritto a “ogni persona” e l’art. 2 l. 89/2001 prevede l’equa riparazione per “chi subisce…”.
La contumacia è una scelta dell’interessato che può derivare da varie ragioni.
Ad ogni modo, la sentenza esplicherà i suoi effetti anche nei confronti del contumace, ragion per cui non può essere escluso il diritto in commento, dal momento che, sebbene parte non attiva, questi subisce il processo e dunque, l’eccessiva durata.

Dott. Roberto Malzone
1 Cass. Civile VI sez., sent. n. 8283/2012.

2 Cfr. Cass. n. 21508/07, Cass. 8130/10, Cass. n. 27091/11, Cass. n. 23153/12 e Cass. n. 4387/13.


3 Cass. n. 13803/11 e Cass. n. 4474/13.

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