venerdì 7 febbraio 2014

Contratto preliminare ad effetti anticipati: la tutela del promissario acquirente.

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Cassazione civile, sez. II, 11 ottobre 2013 n. 23162.
In tema di contratto preliminare, la consegna dell’immobile oggetto del contratto effettuata prima della stipula del definitivo non determina la concorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti, né comunque quello di prescrizione, perché l’onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto.

Focus sul contratto preliminare ad effetti anticipati: quali azioni può esercitare il promissario acquirente nel caso in cui il bene sia affetto da vizi?

di Filippo Camela

Sommario
1) Breve excursus storico sul contratto preliminare e collocazione dell’istituto nel codice civile; 2) la natura giuridica del contratto preliminare: le tre tesi a confronto; 3) L’inadempimento agli obblighi nascenti dal contratto preliminare e il rimedio offerto dall’art. 2932 c.c.; 4) la figura del c.d. contratto preliminare ad effetti anticipati e l’intervento delle Sezioni Unite n.7930 del 2008; 5) La problematica in materia di vizi della cosa consegnata al promissario acquirente: l’intervento della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 23162 del 2013; 6) Considerazioni conclusive.

1)Breve excursus storico sul contratto preliminare e collocazione dell’istituto nel codice civile.
Il contratto preliminare acquista per la prima volta dignità giuridica nel nostro ordinamento a seguito dell’entrata in vigore del codice ci­vile del 1942.
Stante il silenzio del codice del 1865, il legislatore si trovò a dover attingere alle esperienze d’oltralpe per la determinazione e qua­lificazione di una stipulazione preparatoria e preliminare al vincolo contrattuale definitivo.
Le principali esperienze di riferimento erano quella tedesca, che operava la scissione di stampo romanistico tra titulus e modus adquiren­di, e quella francese di cui all’art. 1589 del codice napoleonico ispirata ai principi del giusnaturalismo groziano secondo cui “la promessa di vendita vale vendita”1.
In Germania, in particolare, la previsione di un vincolo pre­contrattuale quale il preliminare non è stata tradizionalmente ritenuta necessaria, attesa la struttura fisiologica del contratto di vendita stesso il quale si atteggia a contratto ad efficacia meramente obbligato­ria che produce come unico effetto quello di obbligare al trasferimento della proprietà attraverso il compimento di un atto a valle astratto co­stituente il modus traslativo.
In Francia, invece, il contratto preliminare non è addirittura am­messo come figura generale.
L’art. 1589 cod. nap., difatti, nel sancire il principio consensualistico puro ed inderogabile, afferma il principio di ordine pubblico dell’inammissibilità della scissione tra titulus e mo­dus adquirendi.
Alla luce di queste impostazioni, il legislatore del 1942 ha adottato una soluzione intermedia che si desume dal combinato disposto di cui agli artt. 1351 c.c., sulla forma del preliminare che deve essere identica a quella del definitivo, 2932 c.c., che consente l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto nascente sia dal preliminare che da altro titolo, e 2652 n. 6 c.c. in merito alla trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica con effetto retroattivo della trascrizione della sentenza.
Da ultimo, la legge n. 30/1997 ha previsto la trascrizione di alcuni contratti preliminari (art. 2645-bis c.c.).
In questo trascorrere del contratto preliminare - dall’essere, sotto il codice del 1865, un “contratto innominato”, al suo divenire un “contratto nominato” sotto il codice del 1942 - è possibile cogliere la peculiarità di un istituto con il quale si offre alle parti, in ossequio a quella autonomia privata riconosciuta
all’art. 1322 c.c., uno strumento giuridico deputato alla realizzazione di un assetto di interessi con il quale è possibile incidere sui tempi e sulle modalità di realizzazione degli effetti, specie nell’ambito di operazioni economiche di scambio.
2) La natura giuridica del contratto preliminare: le tre tesi a confronto.
Quanto al rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo e segnatamente alla natura giuridica di entrambi il dibattito si è snoda­to attraverso l’elaborazione di tre teorie.
La tesi tradizionale qualifica il preliminare come un contratto meramente preparatorio avente ad oggetto l’obbligo per le parti di prestare il consenso per la conclusione del definitivo.
Secondo questa elaborazione, dunque, il preliminare avrebbe una causa diversa da quella del definitivo perché completamente sle­gata dall’esecuzione delle prestazioni finali.
In questa prospettiva, quindi, il preliminare è una promessa di consensi e non di prestazioni.
Il contratto definitivo, invece, è considerato quale unico contratto da cui deriva l’obbligo di eseguire le prestazioni, avente una causa propria, diversa e autonoma rispetto al preliminare, atteso che solo col defi­nitivo si sancisce il programma negoziale concernente le prestazioni effettivamente da eseguire.
Alla stregua della teoria tradizionale, risulta evidente una forte limitazione sul piano della tutela.
Difatti, se il preliminare è un contratto con causa meramente pre­paratoria dal quale deriva il solo obbligo di prestare il consenso al definitivo, l’azione di inadempimento è configurabile verso il preliminare solo nel caso di mancata conclusione del contratto definitivo nei termini prefissati mentre non integrano inadempimento tutti i comportamenti delle parti capaci di incidere negativamente sulla prestazione oggetto del contratto finale.
Per le stesse ragioni, si esclude l’esperibilità verso il preliminare dei rimedi volti a reagire alle sopraevenienze negative relative alla prestazione finale, quali la risoluzione per impossibilità sopravvenuta o l’eccessiva onerosità.
Nell’ipotesi di difformità tra contratto preliminare e contratto definitivo, si dovrà sempre tenere a mente che, a fronte della natura prettamente preparatoria del preliminare, l’unica manifestazione di volontà negoziale è rappresentata dal definitivo stesso il quale, dunque, andrà a prevalere sul preliminare.
Una ulteriore conseguenza dalla tesi in esame concerne i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale.
Quanto all’azione revocatoria prevista all’art. 2901 c.c., non essendo il preliminare un atto dispositivo che possa produrre come effetto il depauperamento della garanzia patrimoniale generica, detto rimedio potrà essere proposto avverso l’unico atto dispositivo è cioè il contratto definitivo.
Quanto all’azione surrogatoria prevista all’art. 2900 c.c., ritenuto il definitivo l’unico con­tratto in cui si esplica l’autonomia negoziale, il principio applicabile è quello generale della non surrogabilità di diritti che comportino l’eserci­zio di un potere negoziale rimesso all’insindacabile scelta delle parti al momento della stipula del definitivo.
La concezione tradizionale è stata progressivamente superata dalla tesi del c.d. doppio contratto.
Questa impostazione, avallata dalle Sezioni Unite n. 1720 del 1985, individua nel contratto preliminare una duplice natura: da un lato, promessa di consensi in vista della conclusione di un futuro contratto e, dall’altra, promessa delle prestazioni finali già determinate dal preliminare stesso.
A ben vedere, la tesi del doppio contratto, pur non revocando in dubbio la natura contrattuale del definitivo, fornisce una lettura più ampia della causa del contratto preliminare la quale si proietta ed è stretta­mente collegata al programma che le parti intendono raggiungere e, quindi, alle prestazioni che dovranno essere eseguite all’esito della vicenda nego­ziale.
Questa nuova valutazione del contratto preliminare risulta confermata anche dalla Sezioni Unite del 2004 secondo le quali “è così maturato progressivamente il convincimento che l’impegno assunto con il preliminare non si esaurisce nello scambio dei consensi richiesto per la stipulazione del contratto definitivo. Non solo perché l’interesse delle parti è diretto alla realizzazione dell’operazione economica pro­grammata, rispetto alla quale il contratto definitivo assume un rilievo meramente strumentale. Ma (e soprattutto) perché la conclusione di detto contratto non è neppure indispensabile per il raggiungimento del risultato perseguito dalle parti, avendo il legislatore previsto che lo stesso obiettivo possa essere raggiunto mediante la pronuncia di una sentenza produttiva degli effetti del contratto “non concluso” (art. 2932 c.c.). Il contratto preliminare e quello definitivo, pur rimanendo distinti, si configurano pertanto quali momenti di una sequenza procedimentale diretta alla realizzazione di un’operazione unitaria”2.
Tale impostazione, a sua volta, è stata recentemente confermata anche dalle Sezioni Unite del 20063 le quali, in materia di preliminare di vendita di cosa altrui, hanno negato la qualificazione del preliminare quale pactum de contrahendo, chiarendo che la fattispecie contrattuale in esame è fonte di due distinte obbligazioni: un dare e cioè l’obbligo di far acquistare la proprietà del bene oggetto del contratto al pro­missario acquirente e un facere, inteso come obbligo di prestare il proprio consenso alla conclusione del definitivo.
Sul piano della tutela, secondo la tesi in commento, l’inadempimento sussiste non solo nel caso di mancata prestazione del consenso ma anche nell’ipotesi in cui uno dei promittenti tenga comportamenti in grado di impedire o compromettere la realizzazione delle prestazioni finali già programmate.
In quest’ottica, le azioni di risoluzione per impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità, pur se concernenti le prestazioni finali, risultano immediatamente esperibili verso il preliminare.
Quanto alla rescissione per lesione, si è concluso che anch’essa è anticipabile al preliminare.
Inoltre, si è ritenuta applicabile al preliminare anche la disciplina dell’art. 1461 c.c. che fa riferimento alla autotutela privata con la possibilità di sospendere la propria prestazione laddove ci sia il pericolo di ina­dempimento altrui. Difatti, se si ritiene che il preliminare programmi le prestazioni e non solo i consensi e si ha la ragionevole certezza che la controparte non adempirà le proprie prestazioni, è ben possibile so­spendere l’adempimento delle obbligazioni, ivi compresa l’obbligazio­ne di stipulare il contratto ex art. 2932 c.c.
Quanto ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, pur restando aperta la questione relativa all’esperibilità dell’azione surrogatoria, si dovrebbe concludere per l’esercizio dell’azione revocatoria nei confronti del contratto preliminare.
La terza tesi, sostenuta recentemente da un parte minoritaria della dottrina e della giurisprudenza, ritiene che il contratto preliminare abbia la natura giuridica di un contratto definitivo ad effetti obbligatori.
Tale posizione attribuisce rilievo, dunque, al preliminare il quale assurge a fonte di tutti gli obblighi giuridici volti a realizzare l’assetto di interessi stabilito dalle parti.
In quest’ottica il preliminare viene inquadrato nell’ambito dei contratti obbligatori ad efficacia reale differita con i quali si assumono obblighi relativi alle prestazioni finali, anche se non si sancisce immediatamente il trasferimento della pro­prietà.
Specularmente, il contratto definitivo “degrada” ad atto non negoziale meramente solutorio destinato soltanto ad adempiere gli obblighi giuridici delineati nel contratto preliminare.
3) L’inadempimento agli obblighi nascenti dal contratto preliminare e il rimedio offerto dall’art. 2932 c.c..
Fermo restando quanto sostenuto dalle tre teorie suesposte, nel caso specifico di inadempimento dell’obbligo a contrarre, la parte adempiente può ricorrere alternativamente a due strumenti di tutela: la risoluzione del contratto preliminare ai sensi dell’art. 1453 c.c. ovvero l’esecuzione specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c. con condanna, in entrambi i casi, dell’inadempiente al risarcimento dei danni.
L’azione prevista all’art. 2932 c.c., di interesse in questa trattazione, consente alla parte adempiente di ottenere una sentenza costitutiva che produce gli stessi effetti del contratto non concluso.
Trattasi di un provvedimento giurisdizionale suscettibile, in caso di mancata impugnazione ovvero di esaurimento dei mezzi di impugnazione di passare in giudicato.
In tal caso, dunque, il titolo di proprietà si rinviene nella sentenza la quale deve essere resa pubblica con il mezzo della trascrizione (art. 2643 n. 14 c.c.) così come la domanda (art. 2652 n.2 c.c.) in caso di vicende immobiliari.
Come evidenziato da una parte della dottrina (Gazzoni), la scelta legislativa di prevedere una sentenza che costituisca un modo di acquisto della proprietà a titolo derivativo piuttosto che una sentenza di condanna si spiega in quanto quest’ultima “non avrebbe potuto offrire adeguata tutela, perché la parte inadempiente avrebbe potuto persistere nell’inadempimento e l’unica strada possibile (a prescindere appunto dalla sentenza costitutiva) sarebbe stata la risoluzione e il conseguente risarcimento del danno”4.
4) la figura del c.d. contratto preliminare ad effetti anticipati e l’intervento delle Sezioni Unite n.7930 del 2008.
La figura denominata “contratto preliminare ad effetti anticipati”, oggetto specifico della presente trattazione, individua quelle ipotesi caratterizzate dalla anticipazione, al momento della stipula del contratto preliminare, di alcuni effetti tipici del contratto definitivo.
A titolo esemplificativo, rientra nella fattispecie negoziale in esame il contratto preliminare di compravendita nel quale, in una fase antecedente alla stipula del definitivo, il promittente venditore consegna il bene al promissario acquirente verso il pagamento anche rateale, da parte di quest’ultimo, del prezzo pattuito.
Sulla natura giuridica di tale preliminare si registrano orientamenti contrastanti.
Un primo orientamento esclude, in virtù della anticipazione degli effetti, la natura di preliminare del contratto posto in essere dalle parti il quale, indipendentemente dal nomen iuris attribuitogli dalle stesse, può considerarsi a tutti gli effetti un definitivo.
Un secondo orientamento, invece, nel valorizzare la sequenza “preliminare ad effetti anticipati-contratto definitivo” inquadra entrambe le figure in un procedimento negoziale complesso in cui gli effetti contrattuali si scindono in più fasi successive.
Un terzo orientamento reputa il contratto preliminare ad effetti anticipati come un vero e proprio contratto preliminare a cui le parti, nell’ambito di quella autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., hanno deciso di ricondurre alcuni effetti tipici del contratto definitivo.
Tale anticipazione non determina, tuttavia, una modificazione della natura giuridica e della funzione tipica del contratto preliminare.
Sul punto, sono intervenute le Sezioni Unite del 2008 le quali, ricostruendo e qualificando la vicenda nell’ambito di un particolare collegamento negoziale5, hanno introdotto una tesi profondamente innovativa.
La Corte di Cassazione, in particolare, ha ritenuto che il contratto preliminare di compravendita ad effetti anticipati si compone di un contratto principale (per l’appunto il contratto preli­minare di compravendita) e due accessori ad esso funzionalmente collegati nei quali vanno ravvisati, quanto alla concessione dell’uti­lizzazione della res da parte del promittente venditore al promissario acquirente, un comodato e, quanto alla corresponsione di somme da parte del promissario acquirente al promittente venditore, un mutuo gratuito”6.
Alla luce di questa interpretazione, dunque, le prestazioni riconducibili alla consegna della cosa e al pagamento integrale o parziale del prezzo non derivano da una anticipazione degli effetti del definitivo quanto piuttosto da un meccanismo negoziale realizzato dalle parti e caratterizzato dal collegamento di contratti differenti.
Tale inquadramento, quindi, consente di ricondurre la consegna della cosa come l’oggetto di un contratto di comodato e il pagamento del prezzo (totale o parziale) come l’oggetto di un contratto di mutuo gratuito.
La particolare veste giuridica offerta dal giudici di legittimità alla figura del contratto preliminare ad effetti anticipati consente di risolvere una ulteriore questione connessa e cioè quella riguardante la natura della relazione che intercorre tra il promissario acquirente e il bene consegnato anticipatamente.
Rilevato al riguardo un contrasto tra i fautori della teoria possessiva e i sostenitori della teoria detentiva di tale rapporto, la ricostruzione giuridica operata dai giudici di legittimità che riconduce la consegna nell’ambito di un contratto di comodato sembra privilegiare quest’ultima posizione.
5) Il caso in esame: la problematica relativa ai vizi del bene consegnato e i rimedi esperibili dal promissario acquirente.
La vicenda che ci occupa trae origine dalla stipula di un contratto preliminare di compravendita in relazione ad un immobile consegnato prima della stipula del definitivo dalla promittente venditrice (P.P.) ai promissari acquirenti (i coniugi T.L. e B.E.) verso il pagamento rateale del prezzo da parte di questi ultimi.
Accortisi che il bene era affetto da vizi (“gravi vizi del tetto e della struttura in legno della parte superiore del fabbricato, con conseguenti infiltrazioni anche nella porzione di fabbricato inferiore in muratura”) i promissari acquirenti hanno attivato lo strumento di autotutela previsto all’art. 1460 c.c. nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettivi.
Tale strumento consente, in particolare, alla parte adempiente di rifiutarsi di eseguire la prestazione allorquando l’altra parte non adempia alla propria7.
Successivamente, i coniugi hanno citato in giudizio la (promittente) venditrice instaurando così il procedimento ex art. 2932 c.c. senza presentarsi alla data prevista per la stipula del rogito notarile.
Anche P.P. ha convenuto in giudizio i coniugi chiedendo la risoluzione del predetto contratto preliminare di compravendita per colpa di questi ultimi.
In seguito alla riunione delle due cause, il Tribunale di Verona ha dato ragione a P.P. dichiarando così risolto il contratto preliminare per essersi i coniugi rifiutati di stipulare il contratto definitivo.
Proposto appello avverso la sentenza di primo grado da T.L. e B.E., La Corte di Appello di Venezia, in accoglimento del gravame, ha accertato che i coniugi hanno legittimamente esercitato la facoltà di recesso e, per l’effetto, ha condannato l’appellata al pagamento di una somma di denaro pari al doppio della caparra versata, oltre agli interessi legali.
Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso P.P. sulla base di due motivi di diritto.
Il secondo di questi, di interesse in questa sede, concludeva con il seguente quesito di diritto: “nell’ambito di un contratto di compravendita cui non sia seguita la stipulazione del definitivo, potevano i promittenti compratori coniugi T. opporre legittimamente l’eccezione di inadempimento senza l’osservanza del termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c.?”
In altre parole, la ricorrente ha chiesto ai giudici di legittimità se, in un caso del genere, il promissario acquirente non sia tenuto a rispettare la disciplina prevista agli artt. 1491, 1492 e 1495 c.c. in materia di vizi della cosa compravenduta.
In particolare, l’art. 1492 c.c. consente al compratore la possibilità di esercitare, nel rispetto del termine decadenziale previsto all’art. 1495 c.c. (denuncia dei vizi entro otto giorni dalla scoperta), la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo8.
La soluzione negativa offerta dagli ermellini, in linea con altre pronunce richiamate nella sentenza in commento (v. Cass. civ., n. 10148 del 2004; Cass. civ., n. 3383 del 2007; Cass. civ., n. 477 del 2010), muove dalla considerazione per la quale “in tema di contratto preliminare, la consegna dell’immobile oggetto del contratto effettuata prima della stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti, né comunque quello di prescrizione, perché l’onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto”.
Sulla scorta di queste ragioni, il ricorso di P.P. è stato rigettato.
6) Considerazioni conclusive.
Giunti alle battute finali di questo lavoro, si ritiene opportuno individuare quale sia lo stato dell’arte in materia di contratto preliminare ad affetti anticipati.
Al riguardo, la ricostruzione giuridica effettuata dalle Sezioni Unite del 2008 dell’istituto in esame si pone come un ineludibile punto di partenza: la figura del contratto preliminare ad effetti anticipati altro non è che il risultato di una particolare meccanismo negoziale con il quale le parti regolano e disciplinano un determinato assetto di interessi (c.d. collegamento negoziale).
Nell’ipotesi di un contratto preliminare di compravendita di un immobile, le prestazioni eseguite prima della stipula del definitivo possono così essere inquadrate: la consegna del bene da parte del promittente venditore rappresenta l’oggetto di un contratto di comodato mentre il pagamento (integrale o parziale del prezzo) da parte del promissario acquirente costituisce l’oggetto di un contratto di mutuo gratuito.
Partendo da questi punti fermi, è possibile sciogliere il nodo relativo alla natura della relazione che si instaura tra il promissario acquirente e il bene consegnato in anticipo: possesso o detenzione?
La riconducibilità della consegna nell’ambito di un contratto di comodato consente di affermare la natura detentiva di tale rapporto.
L’esclusione di una anticipazione degli effetti traslativi tipici del contratto definitivo e la richiamata natura detentiva del rapporto instauratosi tra la parte e la res permettono di focalizzare con precisione quali siano in concreto le azioni esperibili dal promissario acquirente qualora il bene sia affetto da vizi.
Innanzitutto qualora la parte intenda sciogliere il contratto sotto un profilo funzionale (contratto inteso come rapporto giuridico), la stessa potrà avvalersi del rimedio classico della risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. con la possibilità di richiedere il risarcimento del danno subito.
In secondo luogo, il promissario acquirente potrà eccepire il rimedio previsto all’art. 1460 c.c. il quale, rappresentando uno strumento di autotutela operante nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, consente allo stesso di rifiutarsi, stante l’inadempimento dell’altra parte, di eseguire la propria prestazione.
Infine, nell’ipotesi in cui il promittente venditore si rifiuti di contrarre il definitivo, l’altra parte può optare per l’esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c., salvo il risarcimento del danno.

1 Sul punto v. F. Gazzoni, Il contratto preliminare, volume XIII, tomo II, Torino, 2002, secondo cui “il principio del consenso traslativo si affermò anche grazie agli entusiasmi uto­pistici del giusnaturalismo groziano, secondo cui l’imperativo categorico della morale sarebbe stato sufficiente a garantire l’osservanza dei patti, dimenticando che il diritto ha il compito di prevenire le liti e di assicurare l’ordine dei commerci, sul presupposto incontrovertibile che l’uomo tende a non osservare i patti stessi, pur se liberamente assunti”.
2 Cass. civ., Sez. Un., n.12505 del 2004
3 Cass. civ., Sez.Un. n. 11624 del 2006
4 F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, X ed., Edizioni scientifiche italiane 2003, p. 856
5 Tale fattispecie negoziale si differenzia sia dal contratto misto (insieme di elementi propri di tipi contrattuali diversi che confluiscono in una causa unica) sia dal contratto complesso ( in tal caso gli elementi non rappresentano un segmento o un frammento di una tipologia negoziale bensì costituiscono essi stessi contratti autonomi).
Il contratto collegato si caratterizza per la presenza di una pluralità di contratti (tra loro appunto collegati) che, mantenendo la loro causa autonoma, consentono alle parti di regolamentare i loro interessi.
6 Cass. civ., Sez. Un., n. 7930 del 2008
7 Tale istituto, espresso dal brocardo latino exceptio inadimpleti contractus, che delinea una ipotesi di autotutela privata, risale al periodo dei postglossatori (giuristi della metà del secolo XIII) e trova il suo fondamento nella mancata simultaneità fra prestazione e controprestazione. La disciplina di cui all’art. 1460 c.c. si applica anche nel caso in cui il primo contraente non adempia esattamente (exceptio non rite adimpleti contractus)

8 Tali azioni, rispettivamente denominate redibitoria ed estimatoria, sono anche definite “edili” poiché si ricollegano ad analoghe azioni del diritto romani previste negli editti degli aediles curules

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