mercoledì 15 febbraio 2012

Morte del lavoratore per esposizione alle polveri di amianto: l’onere della prova gravante sul datore di lavoro.

di Carolina Morici

Cassazione civile, sez. lav., 14 dicembre 2011, n. 26879


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Nella sentenza in commento la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha affrontato il problema, in merito all’esposizione alle polveri di amianto, dell’onere, incombente sul datore di lavoro, di provare di aver adottato le misure di sicurezza necessarie nei confronti del lavoratore ammalatosi.
Nel caso di specie, i prossimi congiunti di un lavoratore, deceduto a causa di una neoplasia polmonare contratta durante ed a causa del pregresso rapporto di lavoro, più specificamente alla polverizzazione di fibre di amianto, convenivano in giudizio l’azienda, attribuendole la responsabilità della malattia contratta dal loro congiunto, al fine di ottenere il risarcimento per non avere il datore di lavoro adempiuto l’obbligo su di lui gravante ex art. 2087 c.c.
I familiari della vittima si erano visti respingere la richiesta di risarcimento dei danni collegati alla morte del loro congiunto, avvenuta per una forma di cancro connesso all’esposizione ad amianto, poiché, secondo i giudici di merito, non avevano dimostrato la violazione da parte del datore di lavoro delle norme di prevenzione dirette ad evitare la dispersione di fibre di amianto nell’ambiente di lavoro.
Il Tribunale, nel rigettare la domanda, aveva sottolineato la carenza probatoria circa l’inadempimento del datore di lavoro.

Successivamente la sentenza di appello, nel confermare quanto stabilito dal giudice di prime cure, pur ritenendo probabile che il lavoratore avesse contratto il mesotelioma durante l’attività lavorativa, tuttavia aveva rigettato l’appello affermando che “non può comunque dirsi provato da parte dei ricorrenti che tale evento debba essere imputato alla violazione da parte del datore di lavoro di norme di prevenzione dirette ad evitare la dispersione di fibre di amianto nell’ambiente di lavoro. Ai ricorrenti incombeva provare che la mancata adozione di misure di prevenzione fosse imputabile a colpa del datore di lavoro il quale ne aveva consapevolmente ignorato la pericolosità, che avrebbe dovuto essere a lui nota secondo le conoscenze allora disponibili e la qualificata diligenza alla quale era tenuto. Quanto poi alla adozione di misure a protezione delle polveri da amianto finalizzate a tutelare il lavoratore contro la asbestosi, secondo la Corte occorre dare la prova non solo della omissione delle misure, ma anche delle loro efficacia preventiva rispetto a quello specifico rischio”.
I giudici di merito, quindi, pur riconoscendo che fosse stato probabile contrarre la malattia durante il servizio, avevano posto a carico dei familiari la suddetta prova.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26879/11 del 14 dicembre 2011, accogliendo il ricorso, ha ribaltato i termini della questione affermando che, in caso di morte del lavoratore per patologia asseritamene contratta durante l’attività lavorativa, i congiunti del lavoratore deceduto debbono provare che la morte è avvenuta a causa della malattia e che tra il lavoro svolto e la malattia sia intercorso un nesso di causalità, quantomeno in termini di concausalità, spettando sempre al danneggiato l’onere di provare i fatti posti a fondamento del suo diritto al risarcimento in tema di responsabilità per fatto illecito.
Ma l’onere a carico dei ricorrenti una volta raggiunto tale livello di prova si arresta.
La Suprema Corte, ricordando la disposizione dell'art. 2087 c.c. secondo cui "l’imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, precisa come tale norma pur non stabilendo una sorta di responsabilità di natura oggettiva, pone comunque un obbligo a carico del datore di lavoro consistente nell’adozione delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Pertanto, alla luce di quanto affermato dalla Cassazione nella pronuncia in commento, ne consegue che, nel giudizio promosso dagli eredi del lavoratore morto per una malattia asseritamene contratta in servizio, ai familiari del de cuius spetta fornire la prova del nesso causale intercorrente fra l’attività lavorativa svolta dal defunto e la patologia contratta, incombendo, invece, sul datore di lavoro l’onere di provare di aver adottato le cautele idonee a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori.
Inoltre la Corte di Cassazione ha precisato che se il periodo di lavoro ed il processo di incubazione della malattia sono risalenti nel tempo, come nella fattispecie sottoposta al suo esame (1963-1984), dovrà tenersi conto del grado di conoscenze dell’epoca, storicizzando il livello di esperienza e di tecnica richiesto dalla norma di cui all’art. 2087 c.c. e verificando il rispetto delle norme a tutela delle malattie professionali e dell’igiene sul lavoro vigenti all’epoca.

Il testo della sentenza:

1. Ge.Ma. e Ta.Ma. , rispettivamente moglie e figlio di Ta.Ma. , deceduto il (OMESSO) a causa di un "mesotelioma pleurico maligno epiteliode", convennero in giudizio An. En. spa, esponendo che il loro congiunto aveva contratto la malattia che lo aveva condotto alla morte per aver lavorato dal 21 gennaio 1963 al 30 settembre 1984 alle dipendenze di An. , che doveva essere ritenuta responsabile a causa delle sue inadempienze in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro.
La societa' An. chiamo' in causa le societa' assicuratrici As. ge. spa, SA. As. , As. le. as. d'. spa per essere manlevata in caso di soccombenza.
2. Il Tribunale di Genova, esperita l'istruttoria, respinse il ricorso per mancanza di prova della mancata adozione da parte del datore di misure idonee a tutelare l'integrita' fisica del lavoratore con riguardo ai rischi connessi alla mancata utilizzazione dell'amianto.
3. La Corte d'appello di Genova ha confermato la decisione.
4. Ge.Ma. e Ta.Ma. hanno proposto ricorso per cassazione. An. En. spa e As. ge. spa si difendono con controricorso. I ricorrenti e l' An. hanno anche depositato una memoria.
5. Il ricorso per cassazione si articola in due motivi.
6. Con il primo si denunzia "violazione ex articolo 360 c.p.c., punto 5 in relazione all'articolo 2087, 1218, 2697 c.c.". Con il secondo motivo si denunzia "violazione dell'articolo 2087 c.c., nonche' del Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, articolo 21.
7. Il ricorso deve essere accolto.
8. La Corte di Genova articola i seguenti passaggi argomentativi: A) e' provato che il signor Ta. mori' il (OMESSO) a causa di un "mesotelioma pleurico maligno epiteliode"; malattia professionale indennizzata dall'INAIL. B) I ricorrenti assumono che il loro congiunto, avendo lavorato dal 21 gennaio 1963 al 30 settembre 1984 alle dipendenze dell' An. , aveva contratto la malattia a causa del lavoro. C) Il Tribunale di Genova esperite le prove testimoniali rigetto' il ricorso per mancanza di prova dell'inadempimento da parte del datore di lavoro di misure idonee a tutelare l'integrita' fisica del lavoratore con riguardo ai rischi connessi alla utilizzazione dell'amianto. D) Tale utilizzazione all'epoca del rapporto di lavoro del Ta. (1963-1984) non era vietata e le conoscenze circa la sua pericolosita' erano scarse. E) La decisione di primo grado fu appellata dai congiunti del lavoratore, per due motivi: con il primo si sosteneva che il Tribunale aveva invertito l'onere della prova, ponendolo a carico del lavoratore ricorrente. Con il secondo si assumeva che l'affermazione del primo giudice sulla mancanza di conoscenza all'epoca dei fatti del rapporto di causalita' tra amianto e mesotelioma, non escludeva il dovere del datore di lavoro di adottare le misure di protezione per l'asbestosi.
9. La Corte d'appello ha rigettato entrambi i motivi di appello richiamando i principi di distribuzione dell'onere della prova in materia di articolo 2087 c.c. fissati dalla giurisprudenza ed affermando che, nel caso in esame, se anche poteva ritenersi probabile che il lavoratore avesse contratto la malattia durante il lavoro, tuttavia non poteva dirsi provato che tale evento dovesse essere imputato alla violazione da parte del datore di lavoro di norme di prevenzione dirette ad evitare la dispersione di fibre di amianto nell'ambiente di lavoro. Ai ricorrenti incombeva provare che la mancata adozione di misure di prevenzione fosse imputabile a colpa del datore di lavoro il quale ne aveva consapevolmente ignorato la pericolosita', che avrebbe dovuto essere a lui nota secondo le conoscenze allora disponibili e la qualificata diligenza alla quale era tenuto. Quanto poi alla adozione di misure a protezione delle polveri da amianto finalizzate a tutelare il lavoratore contro la asbestosi, secondo la Corte occorre dare la prova non solo della omissione delle misure, ma anche delle loro efficacia preventiva rispetto a quello specifico rischio.
10. La Corte ha ritenuto "probabile che il Ta. abbia contratto il mesotelioma durante l'attivita' lavorativa", tuttavia ha rigettato l'appello perche' "non puo' dirsi provato che tale evento debba essere imputato alla violazione da parte del datore di lavoro di norme di prevenzione dirette ad evitare la dispersione di fibre di
amianto nell'ambiente di lavoro".
11. Ma tale conclusione non viene raggiunta sulla base di una analitica e motivata valutazione della prova acquisita nel processo, bensi' in applicazione dei principi sull'onere della prova. La Corte ha affermato infatti che gravava sul lavoratore (in questo caso i suoi congiunti, essendo egli deceduto) non solo provare che la malattia fosse stata cagionata dall'ambiente di lavoro (prova che la Corte ritiene acquisita), ma anche che vi "sia stata colpa del datore per non avere adeguato il sistema di prevenzione secondo le conoscenze all'epoca disponibili circa la pericolosita' dell'amianto".
12. Quest'ultima affermazione, da cui deriva la decisione di rigetto dell'appello e di conferma della sentenza di rigetto della domanda, viola le norme indicate nel ricorso per cassazione.
13. I congiunti del lavoratore devono sicuramente provare che la morte e' avvenuta a causa del mesotelioma e devono provare che tra il lavoro svolto e il mesotelioma sia intercorso un nesso di causalita', quanto meno in termini di concausalita'. E una prova impegnativa, anche perche', contrariamente a quanto avviene in ambito INAIL, non operano presunzioni circa la natura professionale della malattia quando la stessa, il lavoro ed il periodo di tempo trascorso rientrino nelle previsioni tabellari. Ma l'onere a carico dei ricorrenti si ferma una volta raggiunto questo livello di prova.
14. L'articolo 2087 c.c. dispone: "L'imprenditore e' tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarita' del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrita' fisica e la personalita' morale del prestatore di lavoro".
15. Tale norma non comporta una responsabilita' di natura oggettiva, ma pone un obbligo a carico del datore di lavoro. Di conseguenza la prova dell'adempimento di tale obbligo, e cioe' di aver adottato le misure necessarie a tutelare l'integrita' fisica del lavoratore, e' a carico del datore di lavoro.
16. Se il periodo di lavoro ed il processo di incubazione della malattia sono risalenti nel tempo, come in questo caso (1963-1984), dovra' tenersi conto del grado di conoscenze dell'epoca, storicizzando il livello di esperienza e di tecnica richiesto dalla norma e verificando il rispetto delle norme a tutela delle malattie professionali e dell'igiene sul lavoro vigenti all'epoca. Ma la prova e' comunque a carico del datore di lavoro (sul grado di conoscenze circa il rischio amianto in un periodo analogo a quello qui considerato, cfr. Cass. 23 maggio 2003 n. 8204, che si occupo' di un rapporto di lavoro iniziato nel 1968 e conclusosi nel 1983,
confermando le decisioni di condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni conseguenti ad un mesotelioma contratto a causa di tale lavoro; da ultimo, cfr. Cass. 21 aprile 2011 n. 9238).
17. La sentenza della Corte d'appello di Genova non ha seguito questi principi e deve pertanto essere annullata con rinvio ad altro giudice che dovra' valutare la controversia alla luce dei criteri di distribuzione dell'onere della prova su specificati. Il giudice di rinvio decidera' anche in ordine alle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d'appello di Torino, anche per le spese.

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