lunedì 20 febbraio 2012

La Cassazione sulla responsabilità civile del denunciante.

Cassazione civile, sez. III, 12 gennaio 2012, n. 26.

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Nella sentenza indicata in epigrafe la Corte di Cassazione affronta la questione della configurabilità di un illecito nel comportamento del denunciante un reato, rivelatosi al termine delle indagini insussistente.
Il caso è quello di Caio che essendo debitore di circa 50.000 euro nei confronti della Gamma s.n.c. veniva sottoposto ad esecuzione mobiliare ed immobiliare dalla suddetta società e da altri creditori. Successivamente, a seguito di incontro presso lo studio del suo difensore Cicerone, a cui partecipavano anche i difensori dei suoi creditori, le parti chiudevano l controversia con un accordo transattivo in forza del quale egli si impegnava a pagare a saldo e stralcio 25.000 euro alla società Gamma e 10.000 al signor Mevio.
Sebbene egli avesse eseguito i pagamenti, come da quietanze rilasciategli dalla società Gamma, l’avv. Orazio della controparte non gli restituiva i titoli in proprio possesso, procedendo invece con la procedura esecutiva già iniziata.
Caio, dunque, presentavo un esposto all’autorità giudiziaria, addebitando all’avvocato Orazio il reato di appropriazione indebita aggravata. La procura procedeva d’ufficio,ipotizzando il reato di cui agli artt. 646 e 61 n. 11 cod. pen.
Il procedimento veniva archiviato dopo cinque mesi. A questo punto Orazio proponeva nei confronti di Caio dapprima denuncia per calunnia – anch’essa archiviata per mancanza nel denunciante dell’elemento soggettivo del dolo – e successivamente azione civile per risarcimento dei danni, per l’importo di 1.000.000 euro.
La Cassazione ha affermato che il comportamento del denunciante un reato può essere considerato illecito solo previo accertamento del carattere calunnioso delle dichiarazioni da lui rese: il mero fatto di avere sollecitato l'iniziativa del pubblico ministero denunziandogli gravi irregolarità rivelatesi poi insussistenti non costituisce, di per sé, fonte di responsabilità per danni, ove non ricorrano gli estremi dell'addebito calunnioso, estremi che presuppongono il dolo, non essendo sufficiente la colpa.
 Il denunciante un reato non incorre in responsabilità civile se non quando, agendo con dolo, si renda colpevole di calunnia, dovendosi ritenere irrilevante la mera colpa, determinata da leggerezza, irriflessione, avventatezza, confusione o comunque da errore, cosi come la denuncia soltanto imprudente, essendo richiesto per l'imputabilità del reato di calunnia il dolo: dolo che deve essere necessariamente dimostrato.
Di seguito si riporta parte della motivazione della Suprema Corte:
“6.- La rimanente parte del sesto motivo, unitamente al nono e al decimo motivo (indicati nel ricorso come settimo,ottavo e nono), vanno congiuntamente esaminati perché connessi, in quanto tutti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistere gli estremi oggettivi e soggettivi del delitto di calunnia. Il ricorrente denuncia violazione degli art. 368 cod. pen., 25 e 27 Cost., nonché molteplici vizi di motivazione, sul rilievo che la Corte di appello:
a) ha trascurato di considerare che non egli personalmente, ma il Comitato antiracket, ha presentato all'autorità giudiziaria la denuncia contro il Lo Verde, sicché manca il presupposto oggettivo del reato, essendosi egli limitato a rispondere all'interrogatorio a cui è stato sottoposto nel corso delle indagini di polizia giudiziaria attivate dal Comitato;
b) non ha effettuato alcuna indagine sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo, che connota il delitto di calunnia e che va ravvisato nella consapevolezza di rivolgere un'accusa falsa. Egli era invece convinto della veridicità delle sue dichiarazioni e per questa ragione il procedimento penale a suo carico ò stato archiviato. Richiama i principi per cui il denunciante non può essere condannato per calunnia per il solo fatto che il denunciato sia stato assolto dal reato addebitatogli, ma solo se siasi costituito parte civile nel processo penale ed abbia sostenuto l'accusa, incorrendo in responsabilità aggravata (Cass. civ. n. 15646/2003);
c) ha posto erroneamente a suo carico l'onere della prova della mancanza del dolo, mentre avrebbe dovuto la controparte dimostrare il presupposto soggettivo dell'illecito;
d) ha disatteso il principio giurisprudenziale per cui la denuncia di un reato costituisce esercizio di un diritto ed in quanto tale non è fonte di responsabilità; qualora poi il reato sia perseguibile di ufficio, viene meno il nesso causale fra la denuncia e l'apertura del procedimento penale, quindi la responsabilità del denunciante deve essere comunque esclusa.
7.- I motivi sono fondati nei termini che seguono.
7.1.- Va premesso che la sentenza impugnata ha motivato la sua decisione sul presupposto che l'illecito posto a base della domanda risarcitoria proposta dal L.V. è la calunnia, così come prospettato con l'atto di citazione in primo grado.
Né l'attore in giudizio, né la Corte di appello, risultano avere fondato rispettivamente la domanda ed il giudizio di condanna al risarcimento dei danni su di un illecito civile di natura diversa e meno grave, in ipotesi perseguibile anche a titolo di colpa.
Il giudice di appello avrebbe pertanto dovuto verificare il ricorrere di tutti i presupposti, oggettivi e soggettivi, di quel particolare reato.
Per di più, la denuncia all'autorità giudiziaria non è stata inoltrata dal F. , bensì da soggetti terzi (Comitato antiracket, quanto alla prima denuncia; esposto del Giudice dell'esecuzione, quanto alla seconda), entrambi dotati di piena capacità di valutazione dei fatti e di autonomo potere di decisione.
Il comportamento del F. avrebbe potuto essere considerato illecito, pertanto, solo previo accertamento del carattere calunnioso delle dichiarazioni da lui rese dapprima al Comitato antiracket; poi al PM, nel corso dell'interrogatorio reso a quest'ultimo; poi negli atti presentati al giudice dell'esecuzione che hanno sollecitato il successivo esposto alla procura della repubblica. Ed invero, il mero fatto di avere sollecitato l'iniziativa del pubblico ministero denunziandogli gravi irregolarità rivelatesi poi insussistenti non costituisce, di per sé, Fonte di responsabilità per danni, ove non ricorrano gli estremi dell'addebito calunnioso, estremi che presuppongono il dolo, non essendo sufficiente la colpa (Cass. civ. Sez. 1, 18 dicembre 1964 n. 2899).
Più volte si è specificato che il denunciante non incorre in responsabilità civile se non quando, agendo con dolo, si renda colpevole di calunnia (Cass. civ. 7 aprile 1978 n. 12237), dovendosi ritenere irrilevante la mera colpa, determinata da leggerezza, irriflessione, avventatezza, confusione o comunque da errore, cosi come la denuncia soltanto imprudente (Cass. civ. 8 marzo 1972 n. 4375), essendo richiesto per l'imputabilità del reato di calunnia il dolo: dolo che deve essere necessariamente dimostrato (Cass. civ. Sez. 3, 31 gennaio 1967 n. 163).
In sede penale si è deciso che neppure il dolo eventuale è rilevante, considerato che la formula normativa - che ravvisa il delitto in chi incolpa 'taluno che egli sa innocente' - risulta particolarmente pregnante e indicativa della consapevolezza certa dell'innocenza dell'incolpato (Cass. pen. Sez. VI, 10 luglio 2000 n. 9853; Cass. pen. n. 17992 del 2007; Cass. pen. n. 34881 del 2007, fra le altre).

Va soggiunto che anche la diretta presentazione della denuncia avente ad oggetto un reato perseguibile di ufficio non determina di per sé la responsabilità penale o civile del denunciante, poiché la perseguibilita di ufficio interrompe il nesso causale fra la denuncia medesima e l'apertura del procedimento penale, che segue ad iniziativa autonoma dell'ufficio; salvo che nella denuncia ricorrano gli estremi della calunnia : cioè della consapevole attribuzione all'accusato di fatti e comportamenti illeciti che il denunciate sa con certezza non essere veri (Cass. civ. Sez. 3, 20 ottobre 2003 n. 15646; 25 maggio 2004 n. 10033; 26 gennaio 2010 n. 1542).
Anche sotto questo aspetto la Corte di appello avrebbe dovuto concretamente accertare la sussistenza del dolo da parte del F. , al fine di ravvisare gli estremi del comportamento calunnioso.
La sentenza impugnata, per contro, ha fondato il giudizio di responsabilità su accertamenti ed argomentazioni che potrebbero tutt'al più configurare avventatezza, imprudenza o insipienza del ricorrente, nell'avere ritenuto il L.V. penalmente responsabile di appropriazione indebita; ma non certo la convinzione della sua innocenza. La motivazione di condanna si fonda sul fatto che non è stata fornita la prova che fosse intercorsa fra le parti una valida e definitiva transazione e che ogni debito del F. fosse stato pagato; che pertanto il L.V. aveva legittimamente rifiutato la restituzione dei titoli, potendosi configurare ulteriori posizioni debitorie a carico dell'appellante; che quest'ultimo avrebbe dovuto ritenere corretto l'operato del legale - sebbene il suo debitore Minutella gli avesse dichiarato che ogni debito era stato saldato e che egli stesso aveva sollecitato l'avv. L.V. a restituirgli i titoli - a causa della complessità dei rapporti di dare ed avere; e avrebbe dovuto rendersi conto dell'inaffidabilità delle dichiarazioni del Minutella ('affetto da patologia tale da impedirgli un sereno ricordo dell'accaduto').
Trattasi di argomentazioni sufficienti a dimostrare, tutt'al più, una colpa del ricorrente; non certo la sua concreta e lucida consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato, come richiesto per la sussistenza del delitto di calunnia, posto a base della domanda giudiziale. Parimenti erronea è l'affermazione della Corte di appello secondo cui il F. avrebbe dovuto dimostrare l'insussistenza del dolo.
Al contrario, era onere del danneggiato dimostrare tutti i presupposti dell'illecito di calunnia, addebitato al convenuto, cioè non solo la materialità delle accuse, ma anche la consapevolezza della loro falsità ed infondatezza. La sentenza impugnata deve essere per questa parte cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, perché decida la controversia applicando i principi di diritto sopra enunciati (in corsivo) e con congrua e logica motivazione.
8.- Il settimo e l'ottavo motivo (sesto e settimo del ricorso) - che denunciano violazione degli art. 24 Cost. e 598 cod. pen. e difetto del nesso di causalità - risultano assorbiti.
9.- L'undicesimo motivo (decimo nel ricorso), che lamenta omesso esame della domanda riconvenzionale, è generico e non autosufficiente, perché formulato con il mero richiamo al decimo motivo di appello, ed è intrinsecamente contraddittorio, perché lamenta contemporaneamente omessa pronuncia e illogicità della motivazione sul medesimo punto.
10.- Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie per quanto di ragione il sesto il nono e il decimo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il settimo e l'ottavo motivo e rigetta tutti gli altri motivi.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione”.

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