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Cassazione
civile, Sez. II, 23 maggio 2013, n. 12830
MASSIMA
L'istituto
della collazione, limitato al conferimento nella massa ereditaria
delle donazioni non contenenti espressa dispensa, è incompatibile
con la divisione con la quale il testatore abbia ritenuto effettuato,
ai sensi dell'art. 734 cod. civ., la spartizione dei suoi beni (o di
parte di essi), distribuendoli mediante l'assegnazione di singole e
concrete quote ("divisio inter liberos"), evitando così la
formazione della comunione ereditaria e, con essa, la necessità di
dar luogo al relativo scioglimento, in funzione del quale soltanto si
giustificherebbe il conferimento nella massa previsto dagli artt. 724
e 737 cod. civ.
SENTENZA
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con
atto notificato il 3.9.98 S.G. citò al giudizio del Tribunale di
Grosseto i propri fratelli A. e C., al fine di sentir definire i
rapporti ereditari derivanti dalle successioni dei comuni genitori,
S.M. e C. R., rispettivamente deceduti in (OMISSIS) ed il (OMISSIS),
lasciando alcuni immobili e quote di comproprietà di altri, siti in
(OMISSIS) e nell'isola suddetta, oltre a depositi postali, ciascuno
avendo redatto un testamento olografo.
Costituitisi
separatamente i convenuti, non si opposero alla divisione, purchè
limitata ai beni lasciati in comunione ereditaria, diversi da quelli
formanti oggetto di rispettive disposizioni a titolo particolare,
contestarono entrambi l'ammontare del saldo del libretto postale,
esistente alla data del decesso della madre, indicandolo in L.
10.000.000, anzichè in quello di L. 50.000.000 esposto dall'attore;
A. propose, poi, domanda riconvenzionale in relazione all'importo di
L. 237.000.000 circa che assumeva aver dato in prestito ai genitori.
Il
tribunale adito, sulla scorta delle risultanze documentali e
dell'interrogatorio formale dei convenuti, con sentenza non
definitiva del 21.2-29.4.02, dichiarava esclusi dalla comunione i
beni immobili di cui i testatori avevano disposto con rispettivi
"prelegati", al riguardo desumendo la volontà dei
predetti, di nominare eredi universali i tre figli, dall'aver
disposto che i rimanenti beni venissero divisi in quote uguali,
accertava in L. 10.000.000 l'importo della somma lasciata su un
libretto al portatore e disponeva il prosieguo del giudizio per le
operazioni di scioglimento della comunione e per la prestazione, da
parte di A., di giuramento suppletorio sulla circostanza che egli
avesse mutuato la somma di L. 237.000.000 ai genitori.
Proposto
appello da S.G., resistito sia da S.A. da C., la Corte di Firenze,
con sentenza del 21.1-23.5.05 rigettava il gravame, con condanna
dell'appellante alle spese, sulla base delle seguenti argomentazioni:
a)
non avendo la validità dei testamenti formato oggetto del giudizio
di primo grado ed essendo pertanto inammissibile una domanda al
riguardo in grado di appello, era da escludere che il primo giudice
avesse affermato con efficacia di giudicato l'inesistenza di
eventuali nullità di tali atti, dovendosi la relativa affermazione
di validità considerare quale assenza di impedimenti alla divisione,
sicchè restava impregiudicata la facoltà di chiedere in altra sede
"la verifica della autenticità della sottoscrizione della
testatrice C.";
b)
quanto all'importo dei titoli postali, in difetto di diversa prova
incombente sull'appellante, tale non potendo ritenersi il mero elenco
informale prodotto da parte di quest'ultimo, correttamente il primo
giudice aveva accertato in L. 10.000.000 la relativa consistenza, nei
limiti di quanto ammesso dai convenuti;
c)
avendo i testatori, come loro consentito dall'art. 734 c.c., voluto
disporre una divisio inter liberos, anzichè dare disposizioni per la
futura divisione dell'asse ereditario, andava confermata pur con
diversa motivazione, la decisione del primo giudice, che aveva
escluso dalla comunione i beni oggetto di singole assegnazioni nelle
due schede testamentarie, che non consentivano incertezze circa la
volontà dei testatori di disporne "in favore non già dei
chiamati, globalmente considerati, bensì di ciascuno degli stessi,
mantenendo invece la comunione ereditaria per gli altri
immobili...per i quali l'attribuzione è stata fatta in parti
uguali", divisione avente l'effetto di impedire la nascita della
comunione ereditaria e quello ulteriore di rendere "neppure
ipotizzabile l'applicazione dell'art. 733 c.c., giacchè i testatori
non hanno inteso affatto stabilire modalità di divisione tra gli
eredi, al fine della formazione delle singole quote";
d)
il motivo relativo all'ammissione del giuramento suppletorio era
inammissibile, in quanto attinente ad un'ordinanza, che non avrebbe
potuto pregiudicare l'esito della causa, restando al rimessa alla
definitiva decisione del tribunale l'ammissibilità e rilevanza del
mezzo istruttorio.
Contro
tale sentenza ha proposto S.G. ricorso per cassazione affidato a
quattro motivi di censura.
Hanno
resistito S.A. e C. con controricorso, contenente ricorso incidentale
con unico motivo.
A
seguito del decesso di entrambi i difensori del ricorrente, il
medesimo, in esito all'invito disposto con ordinanza interlocutoria
dell'8.6.2012, si è ritualmente costituito con nuovo difensore, il
quale ha ribadito la proposta impugnazione.
E'
stata, infine, depositata una memoria da parte del difensore dei
controricorrenti.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Va
preliminarmente disposta la riunione dei reciproci ricorsi ai sensi
dell'art. 335 c.p.c..
Con
il primo motivo di quello principale si deduce "omessa,
insufficiente e quanto meno contraddittoria motivazione in ordine ad
un punto decisivo della controversia", con riferimento alla
confermata limitazione in L. 10.000.000 dell'importo dei depositi
postali, avendo la Corte d'Appello "scambiato e confuso il
contante esistente nei libretti bancari dei de cuius con i buoni
postali fruttiferi altrettanto esistenti nei patrimoni degli stessi",
senza tener conto delle ammissioni al riguardo delle controparti, che
avrebbero riconosciuto l'esistenza sia di contanti, depositati in
libretti bancari per circa L. 50.000.000, sia di buoni postali
fruttiferi per circa Euro 104.938, 00.
Il
motivo è infondato.
La
Corte d'Appello ha confermato, senza incorrere in alcuna
contraddizione o lacuna argomentativa/correttamente applicando i
principi in tema di onere della prova, il capo della decisione del
primo giudice relativo all'ammontare dei depositi postali, che aveva
accertato in dieci milioni di lire, nei limiti delle ammissioni dei
convenuti, l'importo della relativa giacenza, al riguardo osservando
che nessuna prova di diverso ammontare poteva ritenersi fornita
dall'attore, che si era limitato a produrre un mero elenco informale,
privo di alcuna attestazione dell'ente postale e, pertanto, di valore
probatorio.
L'esame
della comparsa di costituzione e risposta dei convenuti (reso
possibile, in questa sede, dal profilo di censura nel quale
sostanzialmente si adombra la violazione del principio processuale di
"non contestazione", derivante dall'art. 167 c.p.c.)
smentisce, del resto, l'assunto del ricorrente, secondo cui vi
sarebbe stato "il riconoscimento del deposito di contanti in
conti bancari", rilevandosi dal contenuto di tale atto difensivo
che i comparenti ammisero soltanto l'esistenza di un libretto
postale, precisandone in L. 10.000.000 il relativo saldo, senza alcun
accenno ad eventuali buoni postali fruttiferi, precisazione che
chiaramente implicava la negazione di qualsiasi diversa giacenza; nè
un'ammissione in tal senso potrebbe inferirsi dalle richieste, che si
assumono, nel mezzo d'impugnazione, concordemente formulate dalle
parti nel verbale d'udienza del 28.1.2000 (peraltro non prodottole
rinvenibile in atti), posto che, come pur si deduce nel motivo, tali
richieste riguardavano soltanto lo svincolo della somma di L.
10.000.000, vale a dire di quella ammessa dai convenuti nella
comparsa di risposta.
Con
il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 661 e 734 c.c., nonchè
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando
l'argomentazione di cui sub c) in narrativa, poichè la corte di
merito, pur inquadrando le attribuzioni testamentarie di beni nella
previsione di cui all'art. 734 c.c., e non confermandone la
qualificazione di "prelegati", avrebbe errato
nell'affermare che il risultato pratico non sarebbe cambiato
relativamente alla formazione delle quote, non tenendo conto delle
sostanziali differenze tra i due istituti, con le relative
conseguenze sull'ammontare dell'attivo e passivo ereditario, in tema
di responsabilità del legatario e di ammissibilità e necessità
della collazione.
Il
motivo non merita accoglimento, non risultando sorretto da alcun
interesse concretamente meritevole di tutela evidenziato dal
ricorrente, il quale, a parte le teoriche affermazioni esposte, non
ha lamentato alcuna lesione dei propri diritti di erede legittimario,
tale da giustificare la riduzione delle attribuzioni dei beni fatte
dal testatore con la divisio inter liberos, che non contesta essere
stata nella specie operata, tuttavia infondatamente richiamando la
necessità di collazione.
Tale
istituto, limitato al conferimento nella massa ereditaria delle
donazioni non contenenti l'espressa dispensa, viene nella specie
impropriamente richiamato, essendo incompatibile con la divisione ex
art. 734 c.c., con la quale il testatore abbia ritenuto di effettuare
direttamente la spartizione dei suoi beni (o di parte degli stessi)
distribuendoli mediante l'assegnazione in singole e concrete quote,
evitando la formazione della comunione ereditaria e, pertanto, la
necessità di dar luogo al relativo scioglimento, in funzione del
quale soltanto si giustificherebbe il conferimento nella massa
previsto dagli artt. 724 e 737 c.c.. Sulla base di
tali considerazioni la giurisprudenza di legittimità, risalente ma
non superata da successive pronunzie di segno contrario, ha escluso
che nella divisio inter liberos possa trovare applicazione l'istituto
della collazione, considerato che lo stesso, essendo diretto ad
accrescere la massa che deve effettivamente dividersi tra gli eredi,
può operare soltanto nei rapporti in cui tra i coeredi si instauri
una comunione;il che non si verifica nella divisione suddetta, con la
quale il testatore abbia già provveduto, a propria discrezione,
tenendo conto dei bisogni e delle attitudini di ciascun erede, a
determinare le quote loro spettanti, che (fatto salvo il rispetto
delle riserve in favore dei legittimari), possono essere anche
disuguali (in tal senso v. Cass. n.n. 2989/1957 e 1988/1969).
Sulla
base di tali principi, cui il collegio ritiene di dare continuità,
anche in armonia con la successiva giurisprudenza di questa Corte
escludente il carattere della generalità ed inderogabilità
dell'istituto della collazione (v. n. 3013/2006), il motivo va
respinto. Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 238, 240 e 242
c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e quanto meno contraddittoria
motivazione, per avere la corte di merito del tutto omesso di
giudicare sulla validità o nullità del giuramento suppletorio,
questione sulla quale, e non sulla relativa ammissibilità,
l'appellante l'aveva investita, evidenziando la carenza delle
condizioni di semipiena probatio ravvisate dal primo giudice.
Anche
tale motivo deve essere respinto, avendo la corte di merito
correttamente ritenuto l'inammissibilità del corrispondente mezzo di
gravame, in quanto diretto avverso una statuizione non decisoria, ma
istruttoria, che, sebbene contenuta nel corpo della sentenza non
definitiva del primo giudice, per la sua natura di sostanziale
ordinanza ammissiva di un mezzo di prova, come tale revocabile ex
art. 177 c.p.c., con la decisione finale, non aveva alcuna diretta ed
immediata attitudine a decidere, sia pure in parte o su questioni
preliminari, la controversia, ed a passare eventualmente in
giudicato.
Pertanto
soltanto con la pronunzia della successiva sentenza, che sulla base
del prestato giuramento avesse deciso in senso a lui sfavorevole il
relativo capo della controversia, sarebbe sorto l'interesse
dell'odierno ricorrente a dedurre, in funzione dell'impugnazione
avverso la statuizione decisoria, motivi di doglianza avverso
l'ammissione del mezzo di prova in questione.
Con
il quarto motivo, infine, il ricorrente principale si duole, per
falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., della subita condanna alle
spese del giudizio, per non essersi tenuto conto dell'accoglimento di
uno dei motivi di gravame, quello relativo alla questione sub c).
Il
motivo è manifestamente infondato, considerato che il giudice di
appello si è correttamente ed incensurabilmente (non essendo
sindacabile, in sede di legittimità, il mancato esercizio del potere
di compensazione delle spese) attenuto al criterio della prevalente
soccombenza.
Con
l'unico motivo di ricorso incidentale si deduce "violazione ed
errata applicazione degli artt. 112, 324 e 345
c.p.c.", censurando la parte finale dell'argomentazione
riportata sub a) in narrativa, per non aver tenuto conto che la
validità delle schede testamentarie, non oggetto di alcuna
contestazione da parte dell'attore e costituente un presupposto
logico - giuridico della relativa domanda e della conseguente
statuizione del Tribunale, avrebbe costituito un giudicato implicito;
sicchè la corte avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare inammissibili
i primi due motivi di appello sul tema, astenendosi da ogni altra
valutazione circa la proponibilità, ammissibilità, tempestività e
rilevanza della questione della validità o meno del testamento C..
Il
motivo, già originariamente inammissibile per difetto d'interesse,
in quanto impugnante un'argomentazione palesemente ultronea (obiter
dictum) della corte di merito, non funzionale alla dichiarata
inammissibilità, per novità ex art. 345 c.p.c., della domanda
di accertamento della falsità del testamento, lo è ancor più, a
seguito della desistenza dal ricorso, manifestata con la memoria
illustrativa in data 13.03.2013 dai difensori dei controricorrenti
(muniti di mandato con ampi poteri, anche abdicativi), a seguito del
riferito esito della suddetta domanda, proposta in separato giudizio
e respinta dal Tribunale di Grosseto, con sentenza del 24.1.2012.
Le
spese del presente giudizio, infine, tenuto conto dell'esito dei
reciproci ricorsi, vanno interamente compensate.
P.Q.M.
La
Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il principale, dichiara
inammissibile l'incidentale e compensa interamente tra le parti le
spese del giudizio.
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