Per ricevere in anteprima e in maniera gratuita le più recenti sentenze della Cassazione civile CLICCA SUL TASTO MI PIACE qui al lato -------->
Cassazione
civile, Sez. III, 19 novembre 2013, n. 25911
MASSIMA
Il
contratto di locazione di immobile può essere legittimamente
stipulato anche con soggetto locatore non proprietario del cespite.
Quest'ultimo deve soddisfare il diritto del conduttore a godere
pacificamente dell'immobile, in caso contrario, risulta inadempiente
per una delle sue principali obbligazioni (art. 1575 c.c.), quindi,
risponderà dei danni eventualmente scaturenti.
SENTENZA
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
1.
Nel 1989 il sig. D.V.L. convenne dinanzi al Tribunale di Verona il
sig. S.R., esponendo che:
(a)
nel 1987 aveva stipulato col convenuto un contratto di locazione di
un immobile sito a (OMISSIS), che intendeva destinare a sede della
propria attività professionale;
(b)
al momento della stipula del contratto il sig. S.R. non era
proprietario, nè legittimo detentore dell'immobile locato;
(c)
l'effettivo proprietario, sig.a M.C., aveva chiesto ed ottenuto dal
conduttore il rilascio dell'immobile.
Sulla
base di queste circostanze di fatto il sig. D.V.L. chiese al
Tribunale di Verona:
(-)
di dichiarare risolto il contratto di locazione per inadempimento del
locatore;
(-)
di condannare quest'ultimo al risarcimento del danno consistito sia
nei costi inutilmente sostenuti per arredare l'immobile ed avviare
l'attività professionale poi forzosamente interrotta, sia nella
perdita dei lucri che l'esercizio dell'impresa in quella particolare
sede gli avrebbe garantito.
1.1.
Il Tribunale di Verona nel 1996 accolse la domanda, dichiarò risolto
il contratto e condannò il convenuto al risarcimento del danno,
liquidato in L. 60.000.000, più gli interessi di mora.
1.2.
La sentenza, appellata dal sig. S.R., venne riformata dalla Corte
d'appello di Venezia (sentenza n. 771 del 1999), la quale ritenne che
il conduttore sig. D.V.L., a fronte della richiesta di rilascio
formulata dal vero proprietario dell'immobile, avrebbe ben potuto
opporgli il proprio titolo ai sensi dell'art. 1606 c.c.: di
conseguenza, il rilascio dell'immobile non poteva ritenersi un danno
causato dall'inadempimento del locatore.
1.3.
La sentenza della Corte d'appello di Venezia venne cassata con rinvio
da questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 7189 del 12/05/2003), la
quale ritenne erronea l'applicazione dell'art. 1606 c.c., e quindi
inopponibile la locazione al vero proprietario dell'immobile, se il
locatore, al momento della stipula del contratto, non era titolare
del diritto di dare in locazione l'immobile, a nulla rilevando che
egli ne avesse il possesso senza titolo.
1.4.
La causa venne riassunta dal sig. D.V.L. dinanzi la Corte d'appello
di Venezia. Al giudice del rinvio il sig. D. V. chiese:
(a)
la riforma della sentenza di primo grado limitatamente ai criteri di
computo del danno da mora;
(b)
la conferma nel resto della sentenza pronunciata in primo grado dal
Tribunale di Verona;
(c)
la rifusione delle somme pagate e delle spese sostenute come
conseguenza della sentenza d'appello poi cassata dalla Corte di
cassazione, ai sensi dell'art. 389 c.p.c..
1.5.
La Corte d'appello di Venezia, all'esito del giudizio di rinvio, con
sentenza 1.3.2007 n. 252 ritenne che:
(a)
al momento della stipula del contratto di locazione, il sig. S.R. non
fosse titolare di alcun titolo giuridico per disporre dell'immobile;
(b)
egli dunque, doveva ritenersi teoricamente responsabile dei danni
patiti dal sig. D.V.L.;
(c)
di tali danni, tuttavia, il danneggiato non aveva provato la
derivazione causale dall'inadempimento del locatore;
(d)
il conduttore, infine, non aveva provato di avere effettivamente
sostenuto le spese, affrontate in conseguenza della sentenza poi
cassata, di cui aveva chiesto la rifusione.
Di
conseguenza la Corte d'appello rigettò nuovamente tutte le domande
del sig. D.V.L..
1.6.
La sentenza appena ricordata è stata impugnata per cassazione dal
sig. D.V.L., sulla base di sette motivi.
Il
sig. S.R. ha resistito con controricorso.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
2.
Il primo motivo di ricorso.
2.1.
Con il primo motivo di ricorso il sig. D.V.L. lamenta, ai sensi
dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di legge.
Espone
che la sentenza d'appello, dopo avere appurato che al momento della
stipula il locatore non aveva titolo per disporre dell'immobile, ha
ritenuto inesistente il contratto. Di conseguenza, non ha applicato
alla fattispecie le previsioni di cui agli
artt. 1571, 1575, 1585 e 1586 c.c., nè la
L. 29 luglio 1978, n. 392, art. 34.
Il
ricorrente non contesta la valutazione della Corte d'appello circa
l'inesistenza del contratto (come si rileva dalla p. 10, 2^
capoverso, del ricorso) ovvero circa la sua "invalidità"
(come si rileva dalla p. 11, penultimo capoverso, del ricorso), ma
assume che il giudice di merito, una volta accertata tale
inesistenza/invalidità, avrebbe dovuto applicare alla fattispecie
concreta, per analogia, la disciplina della locazione, ed in
particolare la previsione di cui alla L. 29 luglio 1978, n. 392, art.
34, il quale accorda al conduttore nel caso di scioglimento del
contratto una indennità per la perdita dell'avviamento.
2.2.
Il primo motivo di ricorso è fondato, per quanto formulato in modo
non del tutto corretto: tale menda tuttavia non lo rende
inammissibile.
Il
ricorrente, come accennato, col primo motivo di ricorso lamenta la
violazione dell'art. 12 preleggi.
Tale
norma sarebbe stata violata perchè il giudice di merito, dopo avere
sancito l'invalidità del contratto di locazione stipulato dagli
odierni litiganti, avrebbe dovuto stabilire le conseguenze
dell'invalidità facendo applicazione analogica delle norme che
disciplinano il contratto di locazione: ed avrebbe dovuto, in
particolare, condannare il locatore al pagamento dell'indennità per
la perdita dell'avviamento, L. 29 luglio 1978, n. 392, ex art. 34.
L'indicazione
dell'art. 12 preleggi, quale norma violata dal giudice di merito è
erronea. Infatti la disciplina di cui all'art. 34, L. cit. si sarebbe
dovuta applicare in via diretta, e non per analogia, come si dirà
tra breve.
Nondimeno,
tale errore non rende inammissibile il ricorso.
Se
è infatti vero che l'art. 366, comma primo, numero (4), cod. proc.
civ., stabilisce che il ricorso deve contenere a pena di
inammissibilità i motivi per i quali è chiesta la cassazione, con
l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, è altresì
vero che tale disposizione va coordinata con quella per cui il
giudice nel pronunciare sulla causa deve applicare le norme di
diritto (art. 113 c.p.c., comma 1): da ciò le Sezioni Unite di
questa Corte hanno tratto la conseguenza che il ricorso è
ammissibile anche se indica in modo erroneo gli articoli di legge di
cui si lamenta la violazione, a condizione che le ragioni esposte dal
ricorrente consentano comunque l'identificazione del principio di
diritto che si assume violato (Sez. U, Sentenza n. 9652 del
17/07/2001; nello stesso senso, Sez. L, Sentenza n. 16164 del
18/08/2004; Sez. 2, Sentenza n. 12127 del 02/07/2004; Sez.
L, Sentenza n. 2404 del 03/03/2000; Sez. 1, Sentenza n.
4567 del 07/05/1999; Sez. L, Sentenza n. 9774 del 08/11/1996).
Nel caso di specie il ricorrente, pur malamente invocando l'art. 12
preleggi, ha comunque esposto in modo sufficientemente chiaro il
vizio che ascrive alla sentenza impugnata: egli si duole, in
sostanza, del fatto che la Corte d'appello di Venezia abbia ritenuto
il locatore esente dall'obbligo di pagamento dell'indennità di cui
alla L. n. 392 del 1978, art. 34, (cfr. il ricorso, p. 12,
secondo capoverso).
Essendo
dunque intelligibile l'errore di diritto ascritto alla sentenza
impugnata, tanto basta per ritenere ammissibile il motivo in esame.
2.3.
Venendo dunque all'esame del merito del primo motivo di ricorso, va
rilevato in fatto che il giudice del rinvio, chiamato a stabilire se
fosse corretta o meno la sentenza di primo grado che affermò la
responsabilità del locatore per inadempimento, condannandolo al
risarcimento del danno, ha ritenuto che "la responsabilità del
locatore non può essere regolata dalla normativa relativa al
contratto di locazione, non sussistendo (...) un valido contratto di
locazione alla base del rapporto tra le parti".
Ed
un valido contratto di locazione, secondo la Corte d'appello di
Venezia, non sarebbe sussistito perchè il locatore, al momento della
stipula, non aveva alcun valido titolo giuridico per disporre
dell'immobile oggetto del contratto.
2.4.
Questa affermazione è erronea in iure. Essa, infatti, confonde il
piano della validità del contratto con quello della sua efficacia.
2.4.1.
Nel caso di specie la Corte d'appello era chiamata a stabilire quale
dovesse essere la sorte di un contratto di locazione stipulato da un
locatore che non era nè proprietario dell'immobile locato, nè
titolare di altri diritti reali, nè titolare di diritti personali di
godimento su esso (c.d. locazione a non domino), e che di conseguenza
non aveva potuto garantire al conduttore il pacifico godimento della
cosa.
Per
stabilire se un simile negozio sia invalido occorre muovere dal
rilievo che il contratto valido è quello conforme alle prescrizioni
dettate per esso dalla legge; il contratto efficace è invece quello
idoneo a produrre effetti.
L'eterogeneità
dei due concetti comporta la possibilità che un contratto sia
valido, ma inefficace (ad es., il contratto sottoposto a condizione
sospensiva), ovvero invalido, ma efficace (ad es., il contratto
affetto da un vizio che ne comporti l'annullabilità).
Tra
le principali cause di inefficacia del contratto la dottrina unanime
annovera la mancanza di legittimazione in capo allo stipulante.
La
legittimazione è tradizionalmente intesa come il potere di un
soggetto di disporre dell'oggetto del contratto. La mancanza di essa
non comporta l'invalidità del contratto, perchè quest'ultimo non
può ritenersi difforme dallo schema legale sol perchè stipulato da
persona non legittimata. La mancanza di legittimazione in capo allo
stipulante comporta dunque soltanto l'inefficacia del contratto, cioè
l'inidoneità a produrre gli effetti suoi propri.
I
principi appena esposti sono del tutto pacifici in dottrina, da quasi
un secolo: il primo contributo monografico dedicato ai negozi sul
patrimonio altrui risale al 1936, ed i principi ivi esposti sono
rimasti sostanzialmente condivisi sino ad oggi.
2.4.2.
Alla luce di queste osservazioni è agevole stabilire se il contratto
di locazione stipulato a non domino sia, nei rapporti tra locatore e
conduttore, invalido od inefficace.
La
locazione è definita dall'art. 1571 c.c., il contratto "col
quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o
immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo".
Il
contratto di locazione non ha natura reale: da esso infatti non
scaturisce quale effetto immediato, in capo al conduttore, l'acquisto
di un diritto rei inhaerens. Da un lato, infatti, il diritto del
conduttore non può essere fatto valere erga omnes; dall'altro esso
necessita della collaborazione del locatore per essere soddisfatto
(come si desume dal testo dell'art. 1575 c.c.). Ci troviamo, dunque,
al cospetto di un tipico diritto di credito.
La
locazione stipulata a non domino non è dunque un contratto invalido:
esso infatti non confligge con alcuna prescrizione imperativa, nè
l'art. 1571 c.c., include, tra i requisiti di validità del
contratto, la proprietà o la disponibilità dell'oggetto da parte
del locatore.
L'indisponibilità
(sia giuridica che di fatto) dell'immobile da parte del locatore
costituisce dunque un tipico caso di difetto di legittimazione a
stipulare, dal quale consegue non l'invalidità, ma l'inefficacia del
contratto.
Va
da sè che, ove il locatore di cosa altrui non sia in grado di
garantire al conduttore il pacifico godimento della cosa, egli si
rende inadempiente alle obbligazioni assunte con la stipula del
contratto, ed in particolare a quelle di cui all'art. 1575 c.c..
2.4.3.
Le conclusioni appena raggiunte sono corroborate da principi
ripetutamente affermati da questa Corte.
Si
è infatti più volte stabilita la validità del contratto di
locazione stipulato da chiunque avesse la disponibilità (anche
soltanto) di fatto di un bene (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n.
15443 del 14/07/2011; Sez. 3, Sentenza n. 9493 del 20/04/2007;
Sez. 3, Sentenza n. 8411 del 11/04/2006; Sez. 3, Sentenza
n. 4764 del 04/03/2005; Sez. 3, Sentenza n. 470 del 17/01/1997;
Sez. L, Sentenza n. 640 del 11/02/1978; la sentenza capostipite in
tal senso è rappresentata da Sez. 3, Sentenza n. 306 del
30/01/1968).
Unica
eccezione a tale principio è rappresentata dall'ipotesi in cui la
detenzione da parte del locatore sia stata acquisita vi aut clam, o
comunque in violazione di norme di ordine pubblico (come nel caso
dell'usurpatore): ma in tali casi l'invalidità del contratto
deriverebbe dall'illiceità del suo oggetto, non certo dal difetto di
legittimazione del locatore (ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 4119
del 13/07/1984).
2.4.4.
E' bene precisare che l'orientamento appena ricordato è unanime e
niente affatto contrastato, come potrebbe apparire da un esame dei
precedenti di legittimità limitato alle massime, e non esteso alle
motivazioni. E' vero, infatti, che in diverse occasioni questa Corte
ha pronunciato decisioni che, per come massimate, parrebbero
escludere la legittimazione ad assumere la veste di locatore in capo
a chi non vanti un legittimo titolo giuridico di disponibilità della
cosa locata (la sentenza capostipite in tal senso è rappresentata da
Sez. 3, Sentenza n. 4714 del 25/08/1982; in seguito, nello
stesso senso, Sez. 2, Sentenza n. 9491 del 11/11/1994;
Sez.
3, Sentenza n. 9793 del 02/10/1998; Sez. 3, Sentenza n.
23086 del 10/12/2004).
E
tuttavia:
(a)
da un lato, le decisioni appena ricordate hanno escluso la
legittimazione alla stipula del non dominus, ma non hanno affatto
affrontato il diverso problema della responsabilità per
inadempimento del locatore non legittimato, problema che va risolto
alla stregua dei principi esposti supra, p.2.4.2);
(b)
dall'altro, le decisioni che hanno ritenuto privo di legittimazione
il locatore sprovvisto di un valido titolo giuridico per disporre del
bene riguardavano fattispecie aventi ad oggetto non gli effetti della
risoluzione per inadempimento del contratto di locazione, ma il
diverso problema dell'opponibilità della locazione stipulata a non
domino al vero titolare del potere di disporre della cosa (come nel
caso deciso da Sez. 3, Sentenza n. 23086 del 10/12/2004).
Questa
distinzione è ben colta nella motivazione di Sez. 3, Sentenza
n. 8411 del 11/04/2006, ove si afferma che il possesso da parte del
locatore di un titolo giuridico per disporre del bene è necessaria
"solo per negare la possibilità di opporre, al terzo
proprietario, il contratto locativo stipulato dal detentore senza
titolo, non anche per riconoscere l'inefficacia del contratto nel
rapporto interno tra il locatore che abbia ceduto in locazione il
bene senza titolo detenuto ed il conduttore che, in forza del
contratto, abbia di fatto utilizzato l'immobile locato" (Cass.
8411/06, cit., p.2.2. dei "Motivi della decisione").
L'affermazione
non potrebbe essere più chiara nel senso che il difetto di potere
dispositivo in capo al locatore non è di per sè sufficiente per
ritenere il contratto stipulato a non domino non vincolante per le
parti. Nel rapporto tra il locatore ed il conduttore, pertanto, il
contratto stipulato dal detentore di fatto è valido e vincolante,
salva l'ipotesi estrema già ricordata in cui la detenzione sia stata
acquistata illecitamente.
2.5.
Alla luce di quanto esposto sin qui deve concludersi che il contratto
di locazione stipulato a non domino è sempre valido, ma inefficace
se il locatore non abbia la disponibilità giuridica o di fatto della
cosa locata. In tal caso, egli si rende inadempiente alle
obbligazioni assunte ove non faccia acquisire al conduttore il
godimento di quella. Applicando questi principi al caso di specie, ne
discende che:
(a)
il contratto di locazione oggetto del giudizio fu validamente
stipulato;
(b)
il locatore non adempì la propria obbligazione di garantire il
pacifico godimento della cosa locata;
(c)
ergo, le conseguenze dell'inadempimento del locatore dovevano essere
disciplinate dalle norme generali (artt. 1453, 1455 e 1458
c.c.) e speciali (L. 29 luglio 1978, n. 392, art. 34) dettate per
l'ipotesi di inadempimento da parte del locatore di immobile
destinato ad uso non abitativo alle proprie obbligazioni. La sentenza
impugnata non è pertanto conforme a diritto, e va cassata, nella
parte in cui ha ritenuto invalido il contratto stipulato tra le
parti, e di conseguenza escluso le conseguenze legali della
risoluzione per inadempimento di esso.
Spetterà
ovviamente al giudice del rinvio accertare la sussistenza dei
presupposti di fatto per l'applicabilità delle suddette previsioni.
3.
Il secondo, terzo e quinto motivo di ricorso.
3.1.
Il secondo, terzo e quinto motivo di ricorso possono essere esaminati
congiuntamente.
Tutti
e tre lamentano di un vizio di motivazione.
Col
secondo motivo di ricorso, il sig. D.V.L. lamenta che la sentenza
impugnata sarebbe sorretta da una motivazione "carente e
contraddittoria" nella parte in cui ha escluso l'esistenza d'un
valido nesso causale tra l'inadempimento del locatore ed i danni
lamentati dal conduttore.
Allega,
in particolare, che la Corte d'appello di Venezia avrebbe omesso di
valutare il documento allegato sub 9 al fascicolo di primo grado, il
quale ad avviso del ricorrente dimostrerebbe come al sig. D.V.L., che
intendeva svolgere nell'immobile locato l'attività di procacciatore
d'affari, fosse stato revocato il mandato dalla società preponente
proprio a causa dell'indisponibilità dell'immobile.
Col
terzo motivo di ricorso il sig. D.V.L. lamenta che la sentenza
impugnata sarebbe sorretta da una motivazione "insufficiente e
contraddittoria" nella parte in cui ha ritenuto che il
conduttore, una volta perduta la disponibilità dell'immobile oggetto
del contratto, avrebbe comunque ben potuto svolgere altrove la
propria attività. Anche a sostegno di questo motivo allega la
mancata valutazione, da parte della Corte d'appello, della prova
documentale appena ricordata.
Col
quinto motivo di ricorso il sig. D.V.L. lamenta ancora che la
sentenza impugnata sarebbe sorretta da una motivazione
"insufficiente", nella parte in cui ha omesso di valutare
le prove documentali e testimoniali a suo avviso dimostrative
dell'esistenza e dell'entità dei danni consistiti nelle spese
inutilmente sostenute per l'avvio dell'attività commerciale,
forzosamente interrotta a causa dell'inadempimento del locatore.
3.2.
Tutti e tre i motivi sono fondati.
La
Corte d'appello di Venezia ha ritenuto che dall'inadempimento del
locatore non fossero derivati danni per il conduttore.
Ha
motivato questa conclusione con due affermazioni.
La
prima è che il Tribunale di Verona, nell'accogliere la domanda di
risarcimento del danno, "non ha spiegato in alcun modo tale
nesso causale tra inadempimento e danno, che doveva essere (...)
accertato" (cfr. la sentenza impugnata, pag. 11, capoverso 2).
La
seconda affermazione sulla quale la Corte d'appello ha fondato la
propria decisione è "non vi è alcuna traccia di motivazione
(...) nella sentenza" di primo grado delle ragioni per le quali
il conduttore, pur avendo perso la disponibilità dell'immobile
locatogli dal sig. S.R., non avrebbe potuto svolgere la propria
attività in altro immobile limitrofo.
3.3.
Tale motivazione è inidonea a sorreggere la pronuncia di rigetto
della domanda di risarcimento del danno, per tre ragioni.
3.3.1.
La prima ragione è che la Corte d'appello, una volta ritenuta
insufficiente la motivazione adottata dal giudice di primo grado,
avrebbe dovuto essa stessa provvedere ad integrarla o correggerla, e
non già limitarsi a rilevare tale vizio per rigettare la domanda di
risarcimento.
Infatti,
per quanto il giudizio di appello abbia visto attenuarsi nel corso
degli anni la sua caratteristica di novum judicium, esso costituisce
pur sempre un giudizio di merito e non di legittimità.
Pertanto
il giudice d'appello, ove riscontri un deficit nella motivazione che
sorregge la sentenza di primo grado, non può limitarsi ad accogliere
per questa sola ragione il gravame contro di essa proposto, ma deve
decidere la causa nel merito, provvedendo a redigere lui quella
motivazione che il giudice di primo grado non seppe fornire (così
Sez. 1, Sentenza n. 28838 del 05/12/2008; Sez. 3, Sentenza
n. 6243 del 25/05/1992; cfr. altresì Sez. L, Sentenza n. 19026
del 11/09/2007, la quale ha escluso che la sentenza di primo grado
possa essere appellata invocando solo il vizio di motivazione, e non
anche ragioni di merito, così indirettamente confermando che il
riesame richiesto al giudice d'appello non può mai limitarsi al mero
riscontro della esistenza d'una sufficiente motivazione nella
sentenza impugnata).
La
motivazione adottata dalla Corte d'appello di Venezia è, pertanto,
carente, in quanto si è limitata a rigettare la domanda di
risarcimento del danno proposta dal conduttore sol perchè il giudice
di primo grado, accogliendola, non aveva motivato adeguatamente la
propria decisione. Si consideri del resto che, se così non fosse,
anche la parte che ha offerto prove valide e significative in primo
grado, vedendosi accogliere la domanda, si vedrebbe soccombente in
appello, se il giudice di primo grado non seppe motivare la propria
decisione. In tal modo però si farebbe ricadere sulla parte
incolpevole l'insipienza del giudice: e l'evidente reductio ad
absurdum svela l'insostenibilità della premessa, ovvero che il
giudice d'appello possa limitarsi a riformare la sentenza di primo
grado solo perchè non adeguatamente motivata, senza esaminare il
merito del gravame.
3.3.2.
Oltre che carente, la motivazione della sentenza impugnata è anche
illogica.
La
Corte d'appello, come accennato al p.3.2, ha rigettato la domanda di
risarcimento del danno da inadempimento contrattuale osservando che
nel giudizio di primo grado non era stata "chiarita la funzione
strategica dell'immobile per l'attività lavorativa svolta dal
conduttore". In buona sostanza, la Corte d'appello ha quindi
ritenuto che il danno da perdita della disponibilità dell'immobile
promesso dal locatore non sia risarcibile, se il conduttore non provi
di non averne potuto reperire un altro.
Tale
statuizione capovolge il tradizionale rapporto logico tra fatto
costitutivo della pretesa e fatto costitutivo dell'eccezione.
Nella
aestimatio del danno, tanto contrattuale quanto aquiliano, al giudice
di merito è affidato il compito di:
(a)
in primo luogo, accertare se l'inadempimento o l'illecito abbiano
effettivamente causato una perdita o impedito un lucro;
(b)
in secondo luogo, accertare se alla produzione della perdita o
all'impedimento del lucro abbia concorso la condotta della vittima
(art. 1227 c.c., comma 1);
(c)
in terzo luogo, e soltanto ove debitamente eccepito dal danneggiante,
accertare se la vittima con l'uso dell'ordinaria diligenza avrebbe
potuto ridurre od eliminare il danno già verificatosi (art. 1227
c.c., comma 2).
La
liquidazione del danno avverrà quindi per sottrazione, riducendo il
sottraendo (a) dei sottrattori (b) e (c).
Pertanto
il giudice chiamato alla liquidazione del danno, ove ritenga che la
vittima abbia concorso alla sua produzione od al suo aggravamento,
dovrà preliminarmente quantificare il danno concreto ed oggettivo,
prescindendo da qualsiasi considerazione sulla condotta della
vittima; quindi, una volta accertato tale importo, provvedere alla
sua diminuzione ove siano stati correttamente allegati e provati i
fatti indicati dai due commi dell'art. 1227 c.c..
Si
applichino ora tali precetti al caso di specie.
La
circostanza che il conduttore evitto potesse, per limitare i danni
causatigli dalla perdita dell'immobile, locarne un altro con le
stesse caratteristiche, e non l'abbia fatto, costituisce sub specie
iuris un aggravamento colposo del danno da parte della vittima, ai
sensi dell'art. 1227 c.c., comma 2: dunque un fatto modificativo
della domanda di risarcimento del danno.
Pertanto
il giudice di merito avrebbe dovuto dapprima accertare l'esistenza e
l'ammontare del danno lamentato dall'attore, adeguatamente motivando
sulla sua esistenza od inesistenza.
Solo
nel caso in cui tale danno fosse stato ritenuto sussistente, il
giudice di merito sarebbe potuto passare all'accertamento d'un
eventuale concorso colposo della vittima nell'aggravamento di esso:
ed
in tal caso avrebbe dovuto indicare da quali fonti di prova abbia
desunto l'esistenza della colpa della vittima; in cosa essa sia
consistita; che rilievo economico abbia avuto, e finalmente in che
misura assoluta o percentuale il danno causato dall'inadempimento sia
stato ridotto dal concorso di colpa della vittima. Tale iter logico
nel caso di specie è mancato: la Corte d'appello infatti, oltre ad
addossare alla vittima la prova di non aver potuto evitare il danno,
capovolgendo il relativo onere - vizio che, tuttavia, in questa sede
non viene in rilievo, per non essere stato invocato dal ricorrente -
ha ritenuto comunque che tale (presunto) concorso colposo della
vittima fosse di per sè sufficiente ad elidere il diritto al
risarcimento, senza minimamente indicare quale fosse l'ammontare del
danno primario, nè per quale ragione il supposto concorso colposo
della vittima sia stato tale da assorbirlo per intero.
3.3.3.
Infine, la motivazione con la quale la Corte d'appello di Venezia ha
ritenuto indimostrata l'esistenza del danno lamentato dal sig. D.V.L.
è carente, sotto due aspetti:
(a)
sia nella parte in cui ha completamente trascurato di prendere in
esame (vuoi per confutarli, vuoi per condividerli) gli elementi di
prova documentale e testimoniale indicati e debitamente trascritti
alle pp. 15 e 22 del ricorso. E' infatti noto che l'omesso esame di
specifici elementi probatori potenzialmente idonei a determinare una
diversa decisione della causa da parte del giudice di merito
costituisce un vizio di motivazione su un punto decisivo della
domanda (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 11603 del 19/05/2009;
Sez. L, Sentenza n. 6023 del 12/03/2009; Sez. 3, Sentenza
n. 18506 del 25/08/2006; Sez. 1, Sentenza n. 4405 del
28/02/2006);
(b)
sia nella parte in cui ha completamente omesso di dar conto del
principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui
l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, prevista
dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 34, è dovuta al
conduttore uscente a prescindere da qualsiasi accertamento circa la
relativa perdita ed il danno che il conduttore stesso abbia subito in
concreto in conseguenza del rilascio, con la conseguenza che "essa
spetta anche se egli continui ad esercitare la medesima attività in
altro locale dello stesso immobile o in diverso immobile situato
nelle vicinanze" (Sez. 3, Sentenza n. 7992 del 02/04/2009;
nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 11596 del 31/05/2005).
4.
Il quarto motivo di ricorso.
4.1.
Col quarto motivo di ricorso il sig. D.V.L. lamenta che la sentenza
d'appello sia affetto dal vizio di violazione di legge (art. 360
c.p.c., n. 3), nella parte in cui avrebbe subordinato l'affermazione
della responsabilità del locatore, per violazione dell'obbligo di
garantire al conduttore il pacifico godimento della cosa, al positivo
accertamento che l'immobile avesse una "funzione strategica"
per l'attività commerciale del conduttore, per cui, mancando
quest'ultima, non potrebbe affermarsi quella responsabilità.
Il
motivo è inammissibile perchè non pertinente rispetto alla ratio
decidendi della sentenza impugnata, con la conseguenza che non
pertinente è altresì il quesito di diritto formulato ai sensi
dell'art. 366 bis c.p.c..
La
sentenza impugnata infatti non ha affatto affermato che l'obbligo del
locatore di garantire al conduttore il pacifico godimento della cosa
sorga solo se l'immobile sia essenziale per l'attività commerciale
ivi svolta dal conduttore. La sentenza d'appello ha effettivamente
accertato l'esistenza d'una responsabilità del sig. S.R. (sia pur
qualificandola extracontrattuale), ed ha attribuito rilievo alla
possibilità per il conduttore di reperire altri immobili per
escludere l'esistenza del danno, non della colpa del locatore.
5.
Il sesto (indicato nel ricorso col n. 7) motivo di ricorso.
5.1.
Con il sesto motivo di ricorso il sig. D.V.L. lamenta il difetto di
motivazione della sentenza impugnata (art. 360 c.p.c., n. 5), nella
parte in cui ha rigettato la sua domanda di rifusione delle spese che
aveva sostenuto in conseguenza della pronuncia della prima sentenza
d'appello pronunciata in questo giudizio, poi cassata da questa
Corte.
Espone
che, dopo la sentenza di primo grado, aveva sostenuto tre gruppi di
spese:
(a)
le spese per il promovimento di un giudizio di esecuzione nei
confronti della controparte, fondato sul titolo rappresentato dalla
sentenza di primo grado, come si è detto riformata da quella
d'appello successivamente a sua volta cassata;
(b)
le spese di soccombenza cui era stato condannato all'esito del
giudizio di opposizione a precetto promosso dal sig. S. R., in
seguito alla pubblicazione della prima sentenza d'appello;
(c)
le spese di soccombenza cui era stato condannato all'esito del primo
giudizio di appello.
Soggiunge
che tali spese dovevano essergli rifuse dopo la cassazione della
prima sentenza d'appello, e che aveva formulato la relativa domanda
nel giudizio di rinvio, allegando i relativi documenti: la Corte
d'appello di Venezia, tuttavia, aveva ritenuto non provati i relativi
esborsi.
5.2.
Prima dell'esame nel merito del sesto motivo di ricorso, è doveroso
rilevare d'ufficio, e risolvere negativamente, il problema della sua
inammissibilità in quanto deduttivo di un errore revocatorio, ai
sensi dell'art. 395 c.p.c., n. 4.
E'
infatti orientamento ultraquarantennale di questa Corte quello
secondo cui l'omesso esame di un documento che dia la prova del
diritto azionato, ritenuta invece carente dal giudice del merito, non
da luogo ad un travisamento del fatto impugnabile con istanza di
revocazione, bensì ad un vizio della motivazione denunciabile ai
sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 (Sez. 2, Sentenza n. 9637 del
19/04/2013; Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; Sez.
3, Sentenza n. 4015 del 23/02/2006; Sez. U, Sentenza n.
15979 del 18/12/2001; Sez. L, Sentenza n. 8118 del 28/08/1997;
Sez. L, Sentenza n. 7506 del 08/07/1995; Sez. 2, Sentenza
n. 1803 del 18/02/1995; Sez. L, Sentenza n. 6148 del 02/06/1993;
Sez. L, Sentenza n. 2394 del 26/02/1992; Sez. 1, Sentenza
n. 5463 del 20/10/1982; Sez. 2, Sentenza n. 433 del 22/01/1982;
Sez. 1, Sentenza n. 280 del 20/01/1977; Sez. 2, Sentenza n. 1902 del
05/07/1973; Sez. 3, Sentenza n. 1660 del 08/06/1973; Sez. 1, Sentenza
n. 1308 del 12/05/1973; Sez. 1, Sentenza n. 1967 del 22/06/1971; Sez.
1, Sentenza n. 1273 del 23/04/1969; Sez. 2, Sentenza n. 1981 del
19/07/1963).
5.3.
Nel merito, il motivo è fondato.
La
Corte d'appello di Venezia ha rigettato la domanda di rifusione delle
spese consequenziali alla prima sentenza d'appello, successivamente
cassata, formulata dal sig. D.V.L. ai sensi dell'art. 389 c.p.c., sul
presupposto che essa fosse sfornita di "idonea prova".
Tuttavia la Corte d'appello non ha indicato per quale motivo fosse
"inidonea" sia la prova documentale allegata sub nn. 5-21
al fascicolo del giudizio di rinvio, debitamente indicati nel ricorso
per cassazione, sia la prova testimoniale anch'essa richiesta con
l'atto di riassunzione introduttivo del giudizio di rinvio.
6.
Il settimo (indicato nel ricorso col n. 8) motivo di ricorso.
6.1.
Con il settimo motivo di ricorso il sig. D.V.L. lamenta la violazione
di legge da parte della sentenza impugnata (art. 360 c.p.c., n. 3),
nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di rifusione delle
spese che aveva sostenuto in conseguenza della pronuncia della prima
sentenza d'appello pronunciata in questo giudizio, poi cassata da
questa Corte.
Espone
che la Corte d'appello avrebbe violato gli artt. 115 e 116
c.p.c., in due modi: sia ritenendo non provate spese che invece erano
documentalmente dimostrate; sia rigettando la richiesta di prova per
testi che la parte aveva comunque formulato per dimostrare la
sussistenza degli esborsi.
6.2.
Il motivo resta assorbito dall'accoglimento del sesto motivo di
ricorso.
7.
La cassazione della sentenza impugnata.
7.1.
In conclusione, la sentenza della Corte d'appello di Venezia deve
essere cassata, e la causa rinviata ad altro giudice di merito
affinchè provveda:
(a)
sul presupposto che tra le parti sia stato concluso un valido
contratto di locazione, al quale il locatore si è reso inadempiente,
ad accertare in facto, dandone adeguata motivazione, se e quali
conseguenze dannose per il conduttore siano derivate da tale
inadempimento, alla luce degli artt. 1218 e 1453 c.c.,
e L. n. 392 del 1978, art. 34;
(b)
esaminare le prove offerte o richieste dall'originario attore a
fondamento della domanda di rifusione delle spese sostenute in
conseguenza della cassazione della prima sentenza d'appello,
stabilendo in facto, con adeguata motivazione, se esse siano
rilevanti e sufficienti per l'accoglimento di essa.
2
Indicato nel ricorso col n. 8.
7.2.
I molteplici e reiterati errori in cui è incorsa nel presente
giudizio la Corte d'appello di Venezia consigliano di indicare, quale
giudice di rinvio, la Corte d'appello di Brescia.
8.
Le spese.
Le
spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e vanno
poste a carico del controricorrente, ai sensi dell'art. 385 c.p.c.,
comma 3, primo periodo.
P.Q.M.
la
Corte di cassazione, visto l'art. 383 c.p.c., comma 1:
-)
accoglie il ricorso;
-)
cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di
Brescia;
-)
condanna il sig. S.R. alla rifusione nei confronti del sig. D.V.L.
delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro
4.500,00, (quattromilacinquecento), di cui 200,00, per spese.
Nessun commento:
Posta un commento