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Cassazione
civile, Sez. VI, ordinanza del 10 ottobre 2013, n. 23035
MASSIMA
Il
promissario acquirente di un fondo agricolo, che ne abbia conseguito
la disponibilità a titolo di anticipata esecuzione di un contratto
preliminare poi dichiarato nullo, in quanto detentore della cosa, è
tenuto a restituire non solo il bene indebitamente goduto, ma anche
le utilità "ab initio" ricavate dallo stesso, non
rilevando, al riguardo, la disposizione di cui all'art. 1148 cod.
civ., la quale limita temporalmente l'obbligo restitutorio dei frutti
per il possessore in buona fede con decorrenza dal giorno della
domanda giudiziale.
SENTENZA
FATTO
E DIRITTO
Si
riporta di seguito la relazione preliminare ex art. 380 bis
c.p.c. del 6/30.5.2013.
Con
la sentenza di cui sopra la corte tarantina, nel definire un annoso e
complesso giudizio scaturito da un contratto preliminare di
compravendita stipulato il 23.5.1984 tra S.D. e S.I. 23.5.1984, ad
oggetto di un podere dell'ente di riforma fondiaria di cui il primo,
promittente venditore, era assegnatario con patto di riservato
dominio la cui nullità è risultata accertata, con condanna al
rilascio del secondo, promissario acquirente e detentore, ha, tra
l'altro e per quanto ancora rileva in questa sede: a) condannato il
medesimo alla restituzione, per quanto di rispettiva ragione, agli
eredi del promittente venditore, in epigrafe indicati, nonchè ad M.
A., intervenuta in giudizio ex art. 111 c.p.c., quale successiva
legittima acquirente (in virtù di atto del 1993) del predio (che
S.D. aveva precedentemente riscattato), dei frutti percepiti dal
fondo in questione a partire dall'annata agraria 1986/87 fino a
quella 2001/2002, provvedendo alle relative liquidazioni sulla scorta
della consulenza tecnica; b) confermato la statuizione del primo
giudice, che nel condannare gli eredi del promittente venditore alla
restituzione al promissario acquirente del prezzo ricevuto all'atto
dell'invalido contratto preliminare, ha escluso la richiesta
estensione di tale condanna anche alla M., ritenendo tale
obbligazione personale a S. D. (e per lui ai suoi eredi) e non
trasferibile alla acquirente, ancorchè intervenuta ex art. 111
c.p.c. .
Di
tali statuizioni si è doluto S.I., proponendo ricorso per cassazione
affidato a due motivi, deducenti violazione e falsa applicazione,
rispettivamente, dell'art. 1148 cod. civ. e art. 111
c.p.c., nonchè (nel primo) omessa ed insufficiente motivazione.
Il
ricorso, cui hanno resistito sia gli eredi di S.D., sia la M., ad
avviso del relatore è manifestamente infondato in tutte le esposte
censure.
Quanto
alla prima, con la quale si invoca l'inapplicabilità dell'art. 1148
c.c., ai detentori, quali debbono qualificarsi i promissari
acquirenti cui il bene sia stato anticipatamente consegnato, secondo
la giurisprudenza di questa Corte (S.U. 7930/08 e successive varie
pronunzie sezionali), la stessa è inconferente.
La
norma sopra citata, invero, stabilisce un principio secondo cui il
possessore di buonafede, tenuto alla restituzione di un bene,
risponde dei frutti percepiti o percipiendi nei confronti del
rivendicante soltanto a partire dalla data della domanda giudiziale.
Trattasi,
come ha ben precisato la corte di merito, di una limitazione
dell'obbligo di rimborso di cui possono avvalersi i soli possessori,
ove il possesso (e non anche la detenzione) sia stato connotato dal
suddetto elemento psicologico, che non autorizza ad escludere
l'obbligo di restituzione di tali frutti, percepiti anche in epoca
antecedente alla domanda, in tutti gli altri casi in cui tale
percezione sia stata indebita, in quanto non assistita - come nel
caso di specie - da un valido titolo.
Inammissibile,
in quanto non evidenziante lacune o illogicità argomentative, è il
secondo profilo del primo motivo, attinente alla liquidazione delle
somme come sopra dovute, che correttamente e sulla scorta di
incensurabile valutazione basata sulla consulenza tecnica, è stata
effettuata tenendo conto della accertata produttività del fondo in
questione, interessato da agrumeti e vigneti, in difetto di alcuna
prova di fatti contrari (incombenti sul debitore, in quanto
estintivi, modificativi o impeditivi del diritto ex adverso
azionato), eccezionalmente ostativi o limitativi della naturale
redditività connessa alla destinazione propria del bene.
Manifestamente
infondato è il secondo motivo, non potendo l'obbligazione di
restituzione della somma, indebitamente percepita dell'originario
proprietario del fondo a titolo di prezzo della futura vendita
trasferirsi a carico dell'acquirente successiva del fondo, la cui
sopravvenuta titolarità del bene controverso comportaci sensi
dell'art. 111 c.p.c., l'estensione alla stessa soltanto degli effetti
reali e restitutori della decisione, direttamente attinenti al bene
oggetto del diritto controverso, trasferito incorso di giudizio, e
non anche di obbligazioni personalmente contratte, in quanto
accipiens, dal suo dante causa. Si propone, conclusivamente, la
reiezione del ricorso".
Tanto
premessoci collegio condivide integralmente le ragioni reiettive
esposte nella relazione, rilevando che nelle memorie depositate da
parte ricorrente non vengono evidenziati ulteriori significative
argomentazioni atte a conferire consistenza al ricorso.
La
difesa del ricorrente, pur non ponendo in discussione la qualità di
detentore e non di possessore del proprio assistito (che questa Corte
ha già, nel corso del presente processo, con sentenza n.
6489/2011, dichiarato, nel solco della precedente delle Sezioni Unite
n. 7930/2008), sostiene che proprio in virtù di tale qualifica S.I.
non sarebbe tenuto a restituire i frutti del fondo detenuto senza
valido titolo, applicandosi la disposizione di cui all'art. 1148
c.c., ai soli possessori in buona fede e non anche ai detentori,
ipotizzando anche un contrasto tra la relazione e la giurisprudenza
di legittimità, in particolare con la sentenza n. 13368/2005.
La
tesi, come è stato già evidenziato dalla corte di merito e ribadito
dal relatore, è palesemente infondata, basandosi su una erronea
interpretazione della sopra indicata norma civilistica (e della
invocata giurisprudenza), che lungi dal limitare a tale categoria
(dei possessori in buona fede) l'obbligo di restituzione in
questione, costituisce invece un temperamento (analogo a quello
contenuto nell'art. 2033 c.c., in tema di pagamento indebito) del
principio generale, secondo cui la pronunzia dell'invalidità del
titolo comporta un integrale effetto ripristinatorio, in virtù del
quale devono essere dall'accipiens restituiti non solo il bene
indebitamente goduto in base allo stesso, ma anche le utilità ab
initio dallo stesso ricavate; principio applicabile sia ai
possessori, sia ai detentori (o apparenti tali), con la sola
limitazione temporale, quanto ai primi, ove in buona fede e
relativamente ai frutti, della decorrenza dalla domanda giudiziale.
La
lettura della motivazione (e non della sola massima) della sentenza
Cass. n. 13368/2005, del resto, non consente dubbi di sorta,
rilevandosi dalla stessa (v. pagg. 14 e 15) che, con il quarto motivo
dalla Corte respinto, parte ricorrente aveva lamentato che
l'indennità per il mancato godimento del bene oggetto del caducato
contratto preliminare fosse stata attribuita al promittente venditore
con decorrenza dall'inizio dell'occupazione e non soltanto dalla
domanda giudiziale, come previsto dall'art. 1148 c.c.. Tale censura
il giudice di legittimità disattese, osservando che la norma non
poteva trovare applicazione nel caso di specie, non essendo il
promissario acquirente un possessore (in buona o in mala fede), bensì
un semplice detentore, così confermando la correttezza della
decisione impugnata, che aveva appunto riconosciuto l'indennità
(vale a dire il corrispettivo dei frutti non percepiti) ab initio.
Non
sussiste, pertanto, alcuna necessità di rimettere la questione alle
Sezioni Unite, come richiesto dalla difesa del ricorrente, le cui
ulteriori doglianze, secondo cui sussisterebbe una situazione di
squilibrio economico tra le parti (avendo il promittente venditore
ricevuto il pagamento anticipato del prezzo), neppure hanno ragione
di essere, tenuto conto che il menzionato principio generale
restitutorio comporta non solo il rimborso del prezzo, ma anche
quello degli interessi, secondo le regole di cui all'art. 2033 c.c..
Sul
secondo e terzo motivo nulla di significativo è stato aggiunto nelle
memorie, per cui è sufficiente il rinvio alla relazione.
Il
ricorso va conclusivamente respinto, con condanna del ricorrente alle
spese.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle
spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in
complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre
accessori di legge.
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