mercoledì 16 maggio 2012

Punta Perotti: la sentenza che condanna l'Italia a pagare 49 milioni di euro!!


 Si riporta di seguito il testo della sentenza con cui la Corte di Strasburgo condanna l'Italia a pagare la somma di 49 milioni di euro, a titolo di risarcimento, ai costruttori dell'ecomostro Punta Perotti.
La condanna deriva dall'anomala confisca dei terreni di proprietà della Sud Fondi s.r.l. e altri nonostante l'assoluzione dall'accusa di abusivismo.
  

SECONDA SEZIONE
CAUSA SUD FONDI S.R.L. E AL. c. ITALIA
(Ricorso n. 75909/01)
SENTENZA
(Equa soddisfazione)
STRASBURGO
10 maggio 2012
La presente sentenza diventerà definitiva secondo le condizioni di cui all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire revisioni di forma.
Nella causa Sud Fondi S.r.l. e al. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunitasi in camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Isabelle Berro-Lefèvre,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo averla deliberata in camera di consiglio il 20 marzo 2012,
Emette la seguente sentenza, adottata in questa data:
PROCEDURA
1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 75909/01) diretto contro la Repubblica Italiana con il quale tre società di diritto italiano, Sud Fondi srl, Mabar s.r.l e Iema s.r.l («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 25 settembre 2001 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (« la Convenzione»). Dal fascicolo risulta che il primo ricorrente è in liquidazione.
2. Con sentenza del 20 gennaio 2009 («sentenza di cui alla causa principale»), la Corte si è pronunciata per l’arbitrarietà del sequestro dei beni dei ricorrenti, secondo l’articolo 7 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Sud Fondi e al. c. Italia, n. 75909/01, §§ 118 e 137, e punti 1 e 2 del disposto del 20 gennaio 2009).
3. Fondandosi sull’articolo 41 della Convenzione, i ricorrenti chiedevano un’equa soddisfazione per danno materiale, danno morale e spese di lite.
4. Poiché la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non era ancora matura per il danno materiale, la Corte l’ha riservata e ha invitato il Governo e i ricorrenti a sottoporre alla Corte, entro sei mesi, le loro osservazioni sulla suddetta questione per iscritto e in particolar modo a informare la Corte di qualsiasi accordo cui fossero pervenuti (ibidem, § 149, e punto 4 del dispositivo).
5. Sia i ricorrenti che il Governo hanno depositato le loro osservazioni e informazioni strettamente limitate ai fatti fino alla fine del 2011.
IN FATTO
A. I fatti pertinenti posteriori alla sentenza di cui trattasi nella causa principale
1. La revoca del sequestro
6. In seguito alla sentenza di cui trattasi nella causa principale, essendosi pronunciato per la violazione dell’articolo 7 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 a causa della confisca dei beni dei ricorrenti, il Governo (Presidenza del Consiglio dei ministri) aveva
sollecitato la revoca della sanzione dinanzi al Tribunale di Bari.
7. Poiché questa richiesta era stata rigettata il 26 ottobre 2009, il Governo ha fatto ricorso in Cassazione.
8. Con decisione dell’11 maggio 2010 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e ha revocato la decisione impugnata con rinvio.
9. Il 4 novembre 2010 il Tribunale di Bari ha accolto la richiesta di revoca della sanzione e ha ingiunto la restituzione dei terreni confiscati ponendo a carico dello Stato le spese di trascrizione nel registro fondiario. I terreni sottoposti a confisca nel 2001 che dovevano essere restituiti erano i seguenti:
a) al ricorrente Sud Fondi SRL: terreni per una superficie totale di 59.761 metri quadrati interessati dal piano di lottizzazione n. 141 del 1989 (che compaiono in altri documenti come il n. 141/87) inclusi i terreni non edificabili ai sensi della concessione edilizia n. 67/1992 che erano stati anch’essi confiscati conformemente alla sentenza della Corte di Cassazione del 29 gennaio 2001;
b) al ricorrente Mabar SRL: terreni per una superficie di 13.095 metri quadrati interessati dal piano di lottizzazione n. 151 del 1989, inclusi i terreni non edificabili ai sensi della concessione edilizia n. 284/93 che erano stati anch’essi confiscati conformemente alla sentenza della Corte di Cassazione del 29 gennaio 2001;
c) al ricorrente Iema SRL: terreni per una superficie di 2.726 metri quadrati interessati dal piano di lottizzazione n. 151/89, inclusi i terreni che non rientravano nella concessione edilizia n. 284/93 che erano stati anch’essi confiscati ai sensi della sentenza della Corte di Cassazione del 29 gennaio 2001.
10. Il Comune di Bari ha proposto un ricorso in cassazione e chiesto un rinvio in esecuzione della decisione del tribunale. La richiesta di rinvio è stata rigettata il 17 gennaio 2011. Poiché il Comune di Bari aveva rinunciato al ricorso in cassazione, la decisione del Tribunale di Bari del 4 novembre 2010 è diventata definitiva.
2. La restituzione dei terreni agli usi legittimi
11. Con lettera datata 26 gennaio 2011, il Comune di Bari ha invitato i ricorrenti a recarsi sul posto l’8 febbraio 2011 per la consegna dei suoli.

12. Il 4 febbraio 2011 i ricorrenti hanno inviato la loro risposta facendo osservare che i suoli in questione erano stati adibiti a parco pubblico. Da tre anni la comunità aveva libero accesso a tale parco che ospitava strutture permanenti. I ricorrenti ritenevano che nel caso in cui avessero accettato la rimessa dei suoli avrebbero dovuto chiedere la licenza di costruire un recinto. Alla luce di tali elementi la rimessa dei terreni non poteva essere considerata restitutio in integrum alla quale avevano diritto. Di conseguenza, nell’attesa che la Corte emettesse la sentenza sull’equa soddisfazione, i ricorrenti ritenevano di non poter accettare la rimessa dei suoli.
13. L’8 febbraio 2011 i ricorrenti non hanno mandato nessun rappresentante all’appuntamento fissato dal Comune di Bari. Il verbale steso quel giorno ha tenuto conto dell’impossibilità di procedere formalmente alla rimessa dei suoli in conformità. In tale verbale si rammentava che la confisca dei terreni era stata revocata dalla decisione giudiziaria che ingiungeva la restituzione dei suddetti terreni ai ricorrenti; che tale decisione era stata trascritta nel registro fondiario; che nel 1993 i ricorrenti avevano concluso delle convenzioni con il Comune di Bari per effetto dei quali erano stati ceduti dei terreni per la realizzazione di opere di urbanizzazione. Quanto alla situazione attuale del parco, il verbale menzionava la presenza, tra l’altro, di panchine, di un sistema d’illuminazione, di cabine elettriche, di un campo di basket, di giochi per bambini, di fontane, di un sistema d’irrigazione, di un monumento.
14. Con lettera del 15 febbraio 2011 il Comune di Bari ha comunicato ai ricorrenti che il trasferimento di proprietà dei suoli era già avvenuto dopo che la decisione del Tribunale di Bari era stata iscritta nel registro fondiario il 25 novembre 2010. La rimessa dei suoli fissata
per l’8 febbraio aveva carattere puramente formale. Lo jus aedificandi non dipendeva, infatti, dall’accettazione della rimessa controversa ma dalla decisione giudiziaria controversa e dalla sua trascrizione. Gli obblighi dei proprietari incombeva quindi sui ricorrenti.
3. La procedura di risarcimento
15. Il 28 gennaio 2006, la Sud Fondi aveva adito il Tribunale Civile di Bari di una richiesta di risarcimento danni contro il ministero dei beni culturali, la Regione Puglia e il Comune di Bari (paragrafi 44 e 45 della sentenza di cui trattasi nella causa principale). La società rimproverava a tali enti di averle concesso licenze edilizie senza la dovuta attenzione e di averle garantito che la pratica era conforme alla legge. Il ricorrente chiedeva una somma corrispondente al prezzo d’acquisto dei terreni (40.000.000 euro (EUR)) maggiorata delle spese notarili sostenute e degli oneri finanziari, poi indicizzata e con l’aggiunta degli interessi maturati fino al 2006, vale a dire una somma totale pari a 150.000.000 EUR.
La società chiedeva inoltre il risarcimento del danno materiale, di cui 1.275.530,26 EUR per le spese e competenze degli architetti; 8.916.628,36 EUR per le spese edili; 1.030.761,49 EUR per le tasse versate; 230.878,15 EUR per le spese pubblicitarie; 15.422,24 EUR per garanzie fideiussorie e 990.940,44 EUR per altre garanzie. Esigeva anche 152.332.517,44 EUR per mancato profitto e 25.822.844,95 EUR per danno immateriale.
16. Le autorità italiane convenute sostenevano che tali somme erano ingiustificate. In particolar modo la somma di 40.000.000 EUR richiesta per il prezzo d’acquisto dei suoli si riferiva non solo alla scrittura pubblica d’acquisto di terreni ma anche agli atti di cessione delle quote di una società (Calaprice s.r.l.) che era proprietaria di detti terreni ed era controllata dagli stessi soci della società ricorrente. Il prezzo di 35 milioni di euro per l’acquisto di circa 39.209 metri quadrati su un totale di 59.761 metri quadrati sembrava in tal modo esagerato poiché tale prezzo era nettamente superiore rispetto all’acquisto dei rimanenti terreni (dal momento che i restanti 20.000 metri quadrati erano costati 5 milioni di euro). Inoltre le parti convenute facevano osservare che il ricorrente chiedeva nello stesso tempo un importo corrispondente ai mutui sottoscritti per poter acquistare i terreni e un importo pari al prezzo d’acquisto di detti terreni. E poi i terreni controversi erano sempre edificabili. Le parti convenute osservavano infine che i lavori di costruzione erano stati realizzati dalla società S. Matarrese spa, posseduta dalla stessa famiglia dei soci.
17. Nell’ambito di questa procedura il Comune di Bari chiedeva un contro-risarcimento di 105 milioni di euro, di cui 35 milioni per danno all’immagine, 35 milioni di euro per danno all’integrità della sfera funzionale e 35 milioni di euro per danno ambientale. Inoltre il Comune di Bari ha chiesto 1.438.895,48 EUR per rimborso delle spese di demolizione e altre spese sostenute (spese di riqualificazione).
18. Il procedimento davanti al Tribunale di Bari è sempre pendente. L’udienza per la presentazione delle conclusioni che era stata fissata il 23 marzo 2011 è stata rinviata al 15 dicembre 2011 a causa della congestione dei ruoli.
19. Riguardo al ricorrente Mabar s.r.l., questa società aveva intentato un procedimento disgiunto di risarcimento danni (paragrafo 45 della sentenza di cui trattasi nella causa principale) le cui parti non hanno fornito informazioni.
20. Quanto al ricorrente Iema s.r.l,, questa società non aveva intentato alcun procedimento di risarcimento danni a livello nazionale.
4. Le pretese dello Stato per danno ambientale
21. Con costituzione in mora dell’11 gennaio 2011 lo Stato ha intimato agli amministratori delle società ricorrenti – e non alle società – di versare una somma pari a 27.161.413 EUR più gli interessi a titolo di risarcimento del danno ambientale.
B. Il diritto nazionale pertinente posteriore alla sentenza di cui trattasi nella causa principale
1. La Corte Costituzionale
22. Il 9 aprile 2008, nell’ambito di un processo penale che non coinvolgeva i ricorrenti, la Corte d’Appello di Bari – fondandosi sulla decisione sull’ammissibilità e fondatezza del presente ricorso – aveva adito la Corte Costituzionale affinché questa si pronunciasse sulla legalità della confisca che era automaticamente inflitta pur in assenza di accertamento della responsabilità penale (paragrafo 48 della sentenza di cui trattasi nella causa principale).
23. Con sentenza n. 239 del 2009, la Corte Costituzionale ha dichiarato la questione d’incostituzionalità irricevibile. Nella parte finale della sua argomentazione la Corte ha fatto notare che quando esiste un conflitto apparente tra una norma nazionale e la Convenzione come interpretata dalla Corte, può sorgere un dubbio sulla costituzionalità del diritto nazionale solo se il conflitto non può essere risolto attraverso l’interpretazione. Spetta infatti al giudice nazionale interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla norma internazionale nella misura in cui la legge lo permette. Solo nel caso in cui ciò non sia possibile il giudice nazionale può adire la Corte Costituzionale della questione d’incostituzionalità.
2. La legge n. 102 del 2009
24. Secondo l’articolo 4ter della legge n. 102 del 3 agosto 2009, «senza intaccare gli effetti della revoca della confisca dei beni (...), quando la Corte europea dei diritti dell’uomo riscontra una violazione della Convenzione per la confisca, la stima dei beni deve essere fatta in base alla destinazione urbanistica attuale senza tener conto (del valore) delle opere costruite (sui terreni confiscati). Nel caso in cui vengano effettuati lavori di valorizzazione dei beni confiscati o si proceda a una riparazione straordinaria bisogna tenerne conto e calcolarli rispetto al momento della restituzione agli aventi diritto. Bisogna inoltre tener conto, calcolandoli nello stesso modo, dei costi sostenuti per la demolizione delle opere e per la riduzione in pristino».
C. Il diritto e la pratica internazionale pertinenti
25. I principi applicabili sono riassunti nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, §§ 49-54, 22 dicembre 2009.
IN DIRITTO
26. Secondo l’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette di rimuovere se non in modo imperfetto le conseguenze di tale violazione, la Corte concede, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A. Argomentazioni dei ricorrenti
1. Le argomentazioni che depongono a favore di un’equa soddisfazione
27. I ricorrenti fanno notare che, nella sentenza di cui alla causa principale, la Corte ha accertato l’arbitrarietà della confisca dei loro beni in base all’articolo 7 e all’articolo 1 del Protocollo n. 1. Essi ritengono quindi di aver diritto a un risarcimento corrispondente a una restitutio in integrum, in ottemperanza al diritto internazionale, sia per i terreni che per i fabbricati che sono stati confiscati.
28. Secondo i ricorrenti, la restituzione dei terreni non ha risarcito il danno subito e quindi rivendicano un’equa soddisfazione.
29. A tal riguardo essi fanno innanzitutto notare che i fabbricati esistenti al momento della confisca non sono stati restituiti perché sono stati demoliti. Non è stata loro versata alcuna compensazione finanziaria e, ai termini della legge n. 102 del 2009, tale compensazione non sarà mai offerta.
30. I terreni controversi sono stati poi materialmente trasformati a seguito della realizzazione del parco pubblico «Parco Perotti». E così, anche se il titolo di proprietà è stato loro nuovamente trasferito – con la conseguenza che loro ne devono sostenere il carico fiscale – i ricorrenti non hanno recuperato il pieno godimento dei loro beni per i seguenti motivi: il
parco è attualmente usato dalla comunità; il comune di Bari vi ha posto delle infrastrutture; il parco non è dotato di recinto chiuso; la città non ha preso alcun provvedimento nei confronti della popolazione così che la comunità continua a esercitare il possesso di fatto dei terreni e i ricorrenti si trovano nell’impossibilità giuridica di recintare la superficie. In queste condizioni i ricorrenti hanno rifiutato di rientrare in possesso dei terreni (reintegro nel possesso), sperando, tra l’altro, di evitare in questo modo il pagamento delle spese di manutenzione del parco.
31. I terreni controversi sono stati inoltre oggetto di provvedimenti legislativi e regolamentari che ne hanno modificato la situazione sul piano giuridico. I ricorrenti fanno riferimento a tal riguardo al decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, il «Codice dei beni culturali e paesaggistici», che ha sottoposto le aree costiere comprese in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia a una protezione rafforzata prevedendo una procedura amministrativa complessa (accordo da parte della regione e dell’autorità nazionale per la tutela del paesaggio) per qualsiasi richiesta che comporti la modifica del territorio. I ricorrenti fanno anche riferimento al progetto del Comune di Bari di creare una zona verde che, nel dicembre 2010, ha portato all’approvazione di un progetto preliminare (Documento programmatico preliminare) che prevedeva la modifica del piano urbanistico. Quando tale documento sarà approvato in via definitiva, i terreni controversi diventeranno zona verde non edificabile. I ricorrenti non possono quindi chiedere una concessione edilizia per i terreni controversi.
32. I ricorrenti criticano la legge n. 102 del 2009 nella misura in cui tale legge prevede che le spese di demolizione degli edifici che sono stati costruiti in ottemperanza alla concessione edilizia rilasciata dal comune siano a carico dei ricorrenti stessi. Essi criticano questa legge anche perché la valutazione dei terreni non viene fatta in funzione dell’edificabilità al momento della confisca, ma in funzione della nuova destinazione urbanistica decisa dal comune in un secondo momento.
33. I ricorrenti fanno inoltre notare che il Comune di Bari ha preteso somme esorbitanti che ammontano a più di 100 milioni di euro (vedere § 17 supra) quando le stesse autorità comunali sono responsabili di aver approvato le lottizzazioni e concesso le licenze edilizie.
34. I ricorrenti rammentano infine che per ottenere le concessioni edilizie avevano dovuto, come contropartita, cedere a titolo gratuito al comune una parte dei loro terreni e avevano concluso a tale scopo delle convenzioni nel 1993. La Corte di Cassazione aveva sottoposto a confisca tutti i terreni interessati dai piani di lottizzazione controversi, inclusi i terreni appartenenti a terzi, e quelli che erano stati ceduti al comune di Bari. Ora, nonostante la decisione giudiziaria che revocava la confisca e ingiungeva la restituzione di tutta la parcella di terreno oggetto del provvedimento, i terreni ceduti a titolo gratuito al comune di Bari non sono stati restituiti ai ricorrenti i quali sarebbero diventati proprietari solo dei terreni che erano di loro appartenenza nell’aprile 2011, ma non di quei terreni che, a quella data, erano già stati trasferiti al comune di Bari in base alle convenzioni. Per porre rimedio a questa situazione ci vorrebbe, secondo i ricorrenti, una delibera del comune di Bari che annulli le convenzioni del 1993, e poi un atto pubblico che ritrasferisca loro il titolo di proprietà di questi terreni. La superficie dei terreni non restituiti sarebbe di 6.539 metri quadrati su circa 13.000 metri quadrati per Mabar s.r.l.; di 36.571 metri quadrati su un totale di 59.761 metri quadrati per Sud Fondi s.r.l. ; e di 1.319 metri quadrati per Iema s.r.l. D’altro canto, pur sostenendo che i terreni oggetto di confisca sono diventati giuridicamente non edificabili, i ricorrenti adducono il fatto che, se non riusciranno a recuperare i terreni ceduti nel 1993, non potranno presentare altri progetti edilizi poiché la superficie di cui sono attualmente proprietari non raggiunge la soglia minima prevista dalla legge per un progetto di lottizzazione.
2. Le pretese
35. I tre ricorrenti fanno notare che la superficie totale dei terreni oggetto di confisca ammonta a circa 75.000 metri quadrati. Alla luce delle argomentazioni di cui sopra ritengono di aver diritto, in primo luogo, a una somma corrispondente all’intero valore di mercato dei terreni in questione considerando che tali terreni erano edificabili. E poi chiedono alla Corte che venga loro concessa una somma corrispondente al valore degli immobili da loro costruiti che sono stati confiscati. Tali somme dovrebbero essere indicizzate e includere gli interessi. Inoltre non dovrebbero essere soggette a tasse.
36. Ciascun ricorrente ha avanzato le proprie pretese sulla base di due perizie, effettuate nel dicembre 2007 dal Real Estate Advisory Group (REAG). La prima perizia si basa sui costi effettivamente sostenuti dai ricorrenti fino al momento della confisca. La seconda perizia ha accertato il valore di mercato dei beni confiscati al momento della perizia (2007).
37. I ricorrenti fanno notare che il Governo non ha mai «seriamente» o «specificamente» contestato le cifre pretese. Il Governo non ha neppure presentato una controperizia.
38. Nel caso del ricorrente Sud Fondi s.r.l., le pretese ammontano nel 2007 a un importo totale di 274.000.000 EUR. Dalle due perizie risulta che la superficie interessata dal piano di lottizzazione n. 141 era di 59.761 metri quadrati. La concessione edilizia n. 67/1992 era stata concessa per un volume di 131.560,88 metri cubi. Secondo la prima perizia il prezzo pagato tra il 1983 e il 1994 per l’acquisto dei terreni è stato di 39.660.827,38 EUR (di cui circa 35 milioni per l’acquisto delle quote della società Colaprice s.r.l. che possedeva circa 39.000 metri quadrati). Gli altri costi sostenuti fino alla confisca sono stati i costi edili, inclusi i salari del personale (8.916.000 EUR); gli onorari e le spese degli architetti (1.067.604,59 EUR); gli oneri di urbanizzazione (1.080.802,95 EUR); i servizi tecnici (elettricità, pubblicità), cioè 231.440,72 EUR; gli oneri finanziari (40.011.447,72 EUR); le assicurazioni del cantiere (14.985,79 EUR); spese varie 39.407,51 EUR; spese notarili 173.962,77 EUR; le imposte versate, tra cui la tassa fondiaria ma anche le imposte d’acquisto dei terreni (INVIM) (1.070.400,69 EUR).
Per la seconda perizia il valore del terreno nel 2001 in funzione dell’evoluzione del mercato immobiliare era di 81.100.000 EUR. Gli edifici costruiti avevano alla stessa data un valore di mercato di 11.400.000 EUR. Il valore di mercato nel 2007 era rispettivamente di 260.200.000 EUR e di 14.200.000 EUR.
39. Quanto al ricorrente Mabar s.r.l., le pretese nel 2007 ammontavano a una cifra totale di 65.200.000 EUR. Dalle due perizie risulta che la superficie interessata dal piano di lottizzazione n. 151 è di 13.077 metri quadrati. La concessione edilizia rilasciata autorizzava un volume di costruzione di 65.385 metri cubi.
Secondo la prima perizia il prezzo pagato tra il 1989 e il 1993 per l’acquisto dei terreni è stato di 3.726.365,64 EUR. Gli altri costi sostenuti fino alla confisca sono stati i costi edili (2.136.570,31 EUR); gli onorari e le spese degli architetti (661.402,72 EUR); i servizi tecnici (13.255,47 EUR); gli oneri di urbanizzazione (426.331,62 EUR); gli oneri finanziari (2.446.581,88 EUR); le spese notarili (4.305,24 EUR); le imposte versate (401.868,02 EUR); spese varie (sicurezza, elettricità) (713.345,88 EUR). Il danno totale ammonterebbe così a 10.552.771,11 EUR, che deve essere indicizzato.
Per la seconda perizia il valore del terreno nel 2001, considerata l’evoluzione del mercato immobiliare, era di 18.450.000 EUR. Gli edifici costruiti avevano alla stessa data un valore di mercato di 3.300.000 EUR. Il valore di mercato nel 2007 era rispettivamente di 61.000.000 EUR e di 4.200.000 EUR.
40. Per il ricorrente Iema s.r.l., le pretese nel 2007 ammontano a una cifra totale di 13.605.920 EUR. Dalle due perizie risulta che la superficie interessata dal piano di lottizzazione n. 151 è secondo i periti Real Estate Advisory Group di 2.717 metri quadrati. La concessione edilizia rilasciata riguardava un volume di 13.559,68 metri cubi.
Secondo la prima perizia il prezzo pagato nel 1994 per l’acquisto dei terreni è stato di
1.394.433,63 EUR. Gli altri costi sostenuti fino alla confisca sono stati gli stipendi (379.006 EUR); i costi edili (945.268 EUR); gli onorari e le spese degli architetti (47.410,74 EUR); i servizi tecnici (13.255,47 EUR); gli oneri di urbanizzazione (159.597 EUR); gli oneri finanziari (588.357,98 EUR); le spese notarili (8.063,96 EUR); le imposte versate (47.933,66 EUR); spese varie (6.533,01 EUR).
Per la seconda perizia il valore del terreno nel 2001, considerata l’evoluzione del mercato immobiliare, era di 2.400.000 EUR. Gli edifici costruiti avevano un valore di mercato di 2.300.000 EUR. Il valore di mercato nel 2007 era rispettivamente di 10.500.000 EUR e di 2.800.000 EUR.
B. Argomentazioni del Governo
41. Il Governo fa subito notare che i due procedimenti di risarcimento danni intentati rispettivamente dal primo e dal secondo ricorrente sono pendenti a livello nazionale. Tuttavia, considerato che questa eccezione è stata rigettata per decadenza dei termini di legge nella sentenza di cui trattasi nella causa principale, il Governo dichiara di non aver intenzione d’insistere a tal riguardo.
42. Il Governo afferma di aver adempiuto gli obblighi derivanti dalla sentenza di cui trattasi nella causa principale. Sostiene anche che la revoca della confisca e l’offerta di restituire i terreni confiscati costituisca la giusta soluzione alla constatazione di violazione alla quale è giunta la Corte. La proroga della domanda è quindi ingiustificata. I ricorrenti riconoscono d’altro canto che il Comune di Bari ha offerto loro la restituzione dei beni. Se è vero che sui loro terreni si trova un parco pubblico, gli interessati potrebbero nondimeno esercitare il loro jus aedificandi e usare i beni in conformità dell’attuale destinazione urbanistica. Poiché la confisca controversa era stata revocata e il Comune di Bari aveva disposto la restituzione dei suoli ai ricorrenti, nessuna somma è dovuta per la perdita di proprietà dei terreni.
43. I ricorrenti potrebbero al massimo sperare di ottenere una somma corrispondente al mancato godimento dei terreni nel periodo in cui questi ultimi sono stati oggetto di confisca, e cioè dal 27 giugno 2001, data dell’occupazione materiale dei terreni, all’8 febbraio 2011, data della convocazione dei ricorrenti per la restituzione dei suoli. In tal caso sarebbe allora opportuno basare i calcoli non sul valore che i terreni avevano nel 2001 ma sul valore attuale di detti terreni, in modo da prendere in considerazione il declassamento dei terreni a zona verde. Il valore attuale dei terreni delle tre società ricorrenti – così come stimato dal Governo (agenzia del territorio) – è pari a una somma totale di 51.594.000 EUR. L’interesse legale applicato a tale somma per il periodo d’indisponibilità dei terreni dà un importo pari a 8.631.500 EUR e rappresenta il danno derivante dal mancato godimento dei beni.
44. I ricorrenti non possono in nessun modo invocare la sentenza di cui trattasi nella causa principale per argomentare di aver diritto alla restituzione dei terreni edificabili o a una somma corrispondente al valore di mercato di questi. Le concessioni edilizie rilasciate e le lottizzazioni autorizzate non erano, infatti, conformi alla legge e, d’altro canto, la Corte non ha affermato che lo fossero. Inoltre, se è vero che la Corte si è pronunciata per la confisca ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, è pur vero che ha anche formulato delle considerazioni sotto l’aspetto della proporzionalità. A parere del Governo queste considerazioni escludono l’arbitrarietà della sanzione e implicano a ragione che gli edifici confiscati sono stati demoliti e non sono stati risarciti.
45. A proposito degli edifici costruiti dai ricorrenti, poi confiscati e demoliti, questi non hanno il diritto di reclamare il risarcimento dei danni. I complessi edilizi costruiti, infatti, infrangevano la legge. Le spese di demolizione (1.571.752,73 EUR) devono di conseguenza essere a carico dei ricorrenti, così come le spese per la «restituzione dei suoli agli usi legittimi» (24.716,81 EUR). Nelle sue ultime osservazioni il Governo afferma di non trascurare il fatto che la situazione controversa nasce dal comportamento del comune di Bari che ha concesso le licenze edilizie quando non esisteva lo jus aedificandi. Certo i ricorrenti
sono incorsi nelle spese per costruire gli immobili «fiduciosi riguardo alla concessione rilasciata dal comune», e hanno subito «la confisca illegittima». Tuttavia non possono pretendere il valore che i beni avrebbero avuto sulla base di una destinazione che non era conforme alla legge.
46. Il Governo ha segnalato che la Corte dei Conti ha avviato un’indagine sul comportamento dell’amministrazione del comune di Bari nel periodo in cui è diventata proprietaria dei terreni confiscati e sulla decisione presa dal comune di destinare i terreni alla realizzazione di un parco pubblico. A suo parere ciò dimostra che il diritto italiano dispone di organi di vigilanza sull’azione delle amministrazioni pubbliche.
47. Riguardo all’asserzione dei ricorrenti secondo la quale i terreni ceduti a titolo gratuito al Comune di Bari nel 1993 non sono stati restituiti agli stessi ricorrenti, il Governo non ha dato delle precisazioni. Ha segnalato che il Comune di Bari aveva disposto la restituzione «dei terreni».
48. Il Governo ritiene anche di aver adempiuto gli obblighi derivanti dall’accertamento della violazione per quanto riguarda l’adozione di provvedimenti di carattere generale. A tal riguardo il Governo fa riferimento alla sentenza n. 239 del 2009 della Corte Costituzionale che ha segnalato che i giudici dovevano interpretare la norma prevedendo la confisca in modo conforme alla Convenzione. Fa inoltre riferimento all’articolo 4 della legge n. 102 del 2009 che ha introdotto i criteri di risarcimento per le persone i cui beni sono stati illegalmente confiscati.
49. Quanto all’ammontare delle pretese dei ricorrenti il Governo le definisce «ingiustificate e esorbitanti», dal momento che non esiste prova di un nesso di causalità diretto o indiretto tra la violazione constatata e il danno causato. Ciò vale in particolar modo per gli oneri finanziari inerenti all’attività dell’azienda, per gli oneri di urbanizzazione, per le imposte versate, per le spese notarili e per le spese di progettazione e dell’architetto. La stima dei terreni sembra inoltre eccessiva. I ricorrenti non possono in nessun modo avere un risarcimento per il mancato profitto, cioè per il guadagno che avrebbero tratto dalla vendita degli immobili che le società costruivano sui terreni in questione.
C. Decisione della Corte
1. Danno materiale
50. La Corte fa subito notare che il Governo non intende reiterare l’eccezione legata all’esistenza di procedimenti pendenti di risarcimento danni a livello nazionale. La Corte rammenta che l’ha già rigettata per decadenza dei termini di legge nella sentenza di cui trattasi nella causa principale (paragrafo 78 della sentenza di cui trattasi nella causa principale). Nella misura in cui le argomentazioni del Governo riguarderanno la possibilità per i due ricorrenti di ottenere un’equa soddisfazione ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione a livello interno, anche ammesso che tale possibilità esista, la Corte ritiene improbabile che i ricorrenti ricevano un doppio risarcimento danni, dato che le giurisdizioni nazionali nella loro valutazione della causa prenderebbero inevitabilmente in considerazione qualsiasi cifra che la Corte avrebbe loro concesso. In ogni caso, tenuto conto delle conseguenze dell’ingerenza controversa, la Corte ritiene che sarebbe assolutamente irragionevole chiedere ai ricorrenti di aspettare la conclusione dei procedimenti nazionali e di sostenerne i costi (Serghides e Christoforou c. Cipro (equa soddisfazione), n. 44730/98, § 29, 12 giugno 2003ì; Scordino c. Italia (n. 2), n. 36815/97, § 62, 15 luglio 2004).
51. Quanto alla questione di sapere se i ricorrenti non hanno più niente da pretendere visto che la confisca dei loro terreni è stata revocata, la Corte rammenta che nella sentenza di cui trattasi nella causa principale si è pronunciata per l’arbitrarietà della confisca controversa ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n.1 (paragrafi 118 e 137 della sentenza di cui alla causa principale). All’origine di questa duplice constatazione di violazione si trova il carattere penale della sanzione (Sud Fondi S.r.l. e al. c. Italia, n.
75909/01, (dicembre), 30 agosto 2007) e il fatto che tale sanzione sia stata inflitta nonostante la sentenza di assoluzione che, nel caso specifico, era stata pronunciata perché i ricorrenti avevano commesso un errore inevitabile e scusabile nell’interpretazione della legge. Dato che l’infrazione rimproverata ai ricorrenti – lottizzazione abusiva – non rispondeva ai criteri di chiarezza, di accessibilità e di prevedibilità, era impossibile prevedere che una sanzione sarebbe stata inflitta (paragrafi 112 e 114 della sentenza di cui alla causa principale). La confisca controversa non aveva fondamento giuridico ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione (paragrafo 118 della sentenza di cui alla causa principale) e era arbitraria anche ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (paragrafo 137 della sentenza di cui alla causa principale).
52. Una volta stabilito che la confisca controversa non soddisfaceva la condizione di legalità, la Corte ha ritenuto opportuno procedere all’esame del motivo del ricorso ricavato dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 anche sotto l’aspetto della proporzionalità. A tal proposito, la Corte ha affermato che nei casi in cui – a differenza della fattispecie de qua – la sanzione inflitta non si scontrerebbe con il principio di legalità, in ogni caso ci sarebbe un problema che comporta la violazione di tale norma per i motivi di cui ai paragrafi 138-142 della sentenza di cui alla causa principale.
E così, nell’ipotesi in cui i ricorrenti fossero stati condannati per lottizzazione abusiva e fosse stata loro inflitta la confisca dei beni, tale sanzione penale avrebbe soddisfatto la condizione di legalità: tuttavia si sarebbe prestata a critiche sotto l’aspetto della proporzionalità ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Contrariamente a quanto sostenuto dal Governo, le considerazioni fatte sotto l’aspetto della proporzionalità di cui sopra non rimettono affatto in questione le conclusioni tratte rispetto al mancato riconoscimento del principio di legalità. Le tesi del Governo a tal riguardo devono quindi essere rigettate.
53. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico di porre fine alla violazione e di eliminarne le conseguenze in modo da ripristinare per quanto possibile la situazione precedente a quest’ultima (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Gli Stati contraenti parti in causa sono in linea di principio liberi di adottare i mezzi di cui si serviranno per conformarsi a una sentenza della Corte che constata una violazione. Tale potere di valutazione delle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta a cui è unito l’obbligo fondamentale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà garantite (articolo 1). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum spetta allo Stato convenuto metterla in atto poiché la Corte non ha né la competenza né la possibilità pratica di espletarla. Se per contro il diritto nazionale non permette o lo permette solo in modo imperfetto di eliminare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 conferisce alla Corte la capacità di concedere, se del caso, la soddisfazione che ritiene opportuna alla parte lesa (Brumărescu c. Romania (equa soddisfazione) [GC], n. 28342/95, § 20, CEDH 2000-I).
54. Come è stato appena ricordato (§ 51 supra), la Corte nella sentenza di cui alla causa principale ha affermato che la confisca controversa non soddisfaceva la condizione di legalità. L’atto dello Stato convenuto che la Corte ha ritenuto contrario alla Convenzione non era, nella fattispecie, né un’espropriazione alla quale sarebbe mancato il pagamento di un’adeguata indennità perché fosse legittima (a contrario, Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, §§ 99-104, CEDH 2006-V), né un’espropriazione indiretta avviata da una procedura per direttissima e sulla base di una dichiarazione di utilità pubblica (a contrario, Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, §§ 102 e 103, 22 dicembre 2009). Si tratta nel caso specifico di un provvedimento arbitrario delle autorità italiane che ha colpito i beni dei ricorrenti.
Pertanto il risarcimento danni da stabilire dovrà rispecchiare, nella fattispecie, l’idea di
un’eliminazione totale delle conseguenze del provvedimento controverso (Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 31524/96, §§ 34-36, 30 ottobre 2003; Scordino c. Italia (n. 1) [GC], precitato, § 250). A tal riguardo la giurisprudenza internazionale, giudiziaria o arbitrale, è fonte d’ispirazione per la Corte, sebbene riguardi in modo più specifico l’espropriazione di aziende industriali e commerciali, i principi che afferma in questo campo sono validi per situazioni come quella nel caso specifico. In particolare, con sentenza dell’11 settembre 1928 nel caso della fabbrica di Chorzów (Caso relativo alla fabbrica di Chorzów (richiesta di risarcimento) (fondo della causa), Raccolta delle sentenze della CPJI, serie A n. 17), la Corte Permanente di Giustizia Internazionale ha giudicato:
«(...) il risarcimento deve, nei limiti del possibile, eliminare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ripristinare lo stato che verosimilmente si sarebbe realizzato se detto atto non fosse stato commesso. Restituzione in natura, o, se ciò non fosse possibile, pagamento di una somma che corrisponde al valore che avrebbe la restituzione in natura; indennità, se del caso, per risarcimento dei danni per le perdite subite e che non sarebbero coperte dalla restituzione in natura o dal pagamento sostitutivo; tali sono i principi ai quali deve ispirarsi la determinazione dell’importo del risarcimento dovuto per un fatto contrario al diritto internazionale.»
55. La Corte fa notare che, fin dalla sentenza di cui alla causa principale, le autorità nazionali hanno revocato la confisca dei terreni interessati dai piani di lottizzazione e hanno ingiunto la restituzione di questi. Tuttavia la decisione del tribunale di Bari del 4 novembre 2010 ha rimediato solo in modo parziale al danno subito dai ricorrenti, in modo che questi possano a giusto titolo aspirare a un’equa soddisfazione. La loro situazione è infatti immutata sotto molti aspetti.
56. In primo luogo i ricorrenti non hanno nessuna possibilità di recuperare gli edifici confiscati poiché questi sono stati demoliti. Non hanno nemmeno la possibilità di essere risarciti in base alla legge n. 102 del 2009 che esclude tale ipotesi. Ora, la Corte ritiene che i costi sostenuti per la costruzione di tali edifici formino una parte della restitutio in integrum (Papamichalopoulos e al. c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, §§ 39-40, serie A n. 330-B) e si fonda sulle perizie dei ricorrenti. Prenderà quindi in considerazione questi costi e li indicizzerà pur scartando le pretese che non si riferiscono direttamente alla duplice violazione constatata e che dipendono piuttosto dall’attività delle società ricorrenti e dal rischio d’impresa come, tra l’altro gli oneri finanziari o le spese notarili sostenute per l’acquisto dei terreni in questione.
57. In secondo luogo la Corte fa notare che i terreni interessati dai piani di lottizzazione n. 141 e n. 151, terreni che sono stati oggetto di confisca, compresi quelli che erano stati ceduti in precedenza al Comune di Bari, figurano proprio nella decisione del tribunale di Bari del 4 novembre 2010 che ha ingiunto la restituzione dei terreni ai ricorrenti e che è stata trascritta nel registro fondiario (§ 9). In linea di principio i ricorrenti hanno quindi recuperato il titolo di proprietà e nessuna somma è dovuta per la perdita dei terreni in quanto tale. Tuttavia gli interessati adducono che a tutt’oggi hanno recuperato solo i terreni di cui erano ancora proprietari nel 2001, al momento della confisca. Per ottenere la restituzione dei terreni ceduti nel 1993 ci vorrebbe una delibera del comune di Bari che annulli le convenzioni di cessione e un atto pubblico di trasferimento. Il Governo dal canto suo non ha fornito precisazioni a riguardo ma ha fatto notare che le lottizzazioni e le concessioni edilizie controverse erano illegali e che il comune di Bari è responsabile di averle concesse in assenza di jus aedificandi. In queste condizioni la Corte non riesce ben a capire come gli effetti delle convenzioni di cessione di una parte dei terreni stipulati nel 1993 potrebbero perdurare quando le lottizzazioni alle quali questi contrati erano legati sono illegali. Poiché la possibilità di ottenere la restituzione di questa parte dei terreni non è stata scartata dai ricorrenti, essa
sembra dipendere dalla volontà dell’amministrazione locale di dare piena esecuzione alla decisione giudiziaria del tribunale di Bari. In queste condizioni la Corte ritiene opportuno prendere in considerazione il danno derivante dall’indisponibilità dei terreni dal momento della loro confisca.
Per valutare tale danno è opportuno basarsi sul valore probabile dei terreni all’inizio della situazione controversa, valore determinato dalle perizie presentate dai ricorrenti (Terazzi S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 27265/95, §§ 36-37, 26 ottobre 2004), tenendo conto dell’edificabilità. La Corte ritiene che il danno derivante dall’indisponibilità dei terreni può essere compensato dal versamento di una somma corrispondente all’interesse legale maturato durante tutto questo periodo applicato al controvalore dei terreni così determinato (Elia S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 37710/97, § 25, 22 luglio 2004).
58. In terzo luogo, trattandosi dei terreni che i ricorrenti ancora possedevano al momento della confisca, se la restituzione della loro proprietà non è in causa, la Corte fa notare che a tutt’oggi un parco pubblico permette alla cittadinanza libero accesso a tali terreni. I ricorrenti non hanno addotto l’impossibilità di ottenere dal comune di Bari il permesso di recintarli, permesso che loro non hanno chiesto, ma hanno sottolineato che l’accesso dei cittadini al parco e la presenza di infrastrutture del comune sui loro terreni impedisce il pieno godimento dei loro beni. A parere della Corte i ricorrenti non hanno diritto a una somma per la perdita del loro terreno, ma solo a una somma per il danno derivante dall’indisponibilità assoluta dei loro beni nel periodo intercorso tra la confisca e la restituzione, calcolata secondo lo schema di cui al paragrafo 57 supra. E’ inoltre opportuno prendere in considerazione l’indisponibilità relativa dei terreni in questione che persiste vista l’esistenza del parco pubblico.
59. Tenuto conto dei diversi elementi che devono essere presi in considerazione per il calcolo del danno materiale e della natura della causa, la Corte ritiene opportuno stabilire una somma totale basata sulla valutazione degli elementi sopra citati. La Corte decide di conseguenza di assegnare a titolo di risarcimento del danno materiale:
- al ricorrente Sud Fondi s.r.l. la somma di 37.000.000 EUR, oltre ad ogni ammontare che possa essere dovuto a titolo d’imposta su tale somma;
- al ricorrente Mabar s.r.l. la somma di 9.500.000 EUR, oltre ad ogni ammontare che possa essere dovuto a titolo d’imposta su tale somma;
- al ricorrente Iema s.r.l. la somma di 2.500.000 EUR, oltre ad ogni ammontare che possa essere dovuto a titolo d’imposta su tale somma.
60. La Corte non considera le altre pretese dei ricorrenti. In particolare, anche se convinta dell’importanza del danno economico derivante dalle recenti decisioni dell’amministrazione comunale di Bari in materia di urbanistica (§ 31), la Corte ritiene che tali decisioni non abbiano un rapporto diretto con la violazione accertata nella sentenza di cui alla causa principale.
61. La Corte sottolinea inoltre che, in virtù dell’articolo 46 della Convenzione, le Parti contraenti si sono impegnate a conformarsi alle sentenze definitive rese dalla Corte nelle cause nelle quali sono parti, poiché il Comitato dei Ministri è incaricato di sorvegliare l’esecuzione di queste sentenze. Ne deriva in particolar modo che lo Stato convenuto riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli ha l’obbligo non solo di versare agli interessati le somme stabilite a titolo di equa soddisfazione, ma anche di scegliere, sotto la vigilanza del Comitato dei Ministri, i provvedimenti di carattere generale e/o, all’occorrenza, individuale da inserire nel suo ordinamento giuridico interno al fine di far cessare la violazione accertata dalla Corte e di eliminarne per quanto possibile le conseguenze (De Clerck c. Belgio, n. 34316/02, § 97, 25 settembre 2007; Zafranas c. Grecia, n. 4056/08, §§ 50-51, 4 ottobre 2011). Nella causa Zafranas citata prima, in considerazione delle circostanze di specie, la Corte aveva affermato che lo Stato convenuto doveva astenersi dal rivendicare l’indennità di espropriazione già assegnata ai ricorrenti.
62. Nella fattispecie, la Corte ritiene che il versamento delle somme indicate nel paragrafo 59 supra debba essere accompagnato dalla rinuncia da parte delle autorità italiane alle loro pretese nei confronti delle società ricorrenti. I ricorrenti, infatti, si espongono in particolar modo al rischio di dover rimborsare all’amministrazione le spese di demolizione dei loro immobili e le spese di riqualificazione. Il primo ricorrente rischia anche di essere costretto a versare al comune di Bari un risarcimento danni per una somma che supera i 100 milioni di euro (§ 17). La Corte ribadisce di essere giunta alla conclusione, nella sentenza di cui alla causa principale, che le autorità italiane non hanno soddisfatto la condizione di legalità applicando la confisca controversa e ritiene che queste debbano assumersene le conseguenze.
63. In conclusione, in considerazione delle circostanze particolari di specie, la Corte ritiene che la rinuncia da parte delle autorità nazionali alle loro pretese nei confronti dei ricorrenti (§ 62) unitamente al versamento delle somme di cui sopra (§ 59) possa mettere effettivamente fine alla violazione degli articoli 7 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1.
2. Spese e competenze
64. I ricorrenti non hanno sollecitato il rimborso delle spese sostenute fin dalla sentenza di cui trattasi nella causa principale. Non c’è perciò motivo di riconoscere una somma a tale titolo.
3. Interessi moratori
65. La Corte ritiene opportuno che il tasso degli interessi moratori debba essere ragguagliato al tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara
a) che lo Stato convenuto deve astenersi dal chiedere ai ricorrenti il rimborso delle spese di demolizione degli edifici confiscati e delle spese di riqualificazione e non deve procedere con la richiesta di risarcimento danni indirizzata al primo ricorrente nel procedimento civile davanti al tribunale di Bari;
2. Dichiara
a) che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva, in ottemperanza all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme a titolo di danno materiale:
i. 37.000.000 EUR (trentasette milioni di euro), oltre ad ogni ammontare che possa essere dovuto a titolo d’imposta su tale somma, al ricorrente Sud Fondi s.r.l.;
ii. 9.500.000 EUR (nove milioni cinquecentomila euro), oltre ad ogni ammontare che possa essere dovuto a titolo d’imposta su tale somma, al ricorrente Mabar s.r.l.;
iii. 2.500.000 EUR (due milioni cinquecentomila euro), oltre ad ogni ammontare che possa essere dovuto a titolo d’imposta su tale somma, al ricorrente Iema s.r.l.;
b) che, dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali cifre saranno maggiorate d’interesse semplice a un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile per questo periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
3. Rigetta la richiesta di equa soddisfazione per il surplus.
Redatta in francese, poi comunicata per iscritto il 10 maggio 2012, ai sensi dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Stanley Naismith Françoise Tulkens
Cancelliere Presidente
SENTENZA SUD FONDI S.R.L. E AL. c. ITALIA (EQUA SODDISFAZIONE)
SENTENZA SUD FONDI S.R.L. E AL. c. ITALIA (EQUA SODDISFAZIONE  

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