martedì 29 maggio 2012

La responsabilità civile nell'attività medico chirurgica.


di Alessandra Scaglione

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Il presente contributo tratta della responsabilità civile nell’attività medico chirurgica, nella specifica ipotesi  in cui il medico esegua prestazioni chirurgiche, seppure occasionalmente, all’interno di una clinica  privata e della tutela risarcitoria conseguente, alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite n. 26972 del 2008 in tema di danno esistenziale.
La questione impone duplice trattazione; in primo luogo, occorre  risolvere la questione relativa al rapporto di lavoro che si instaura tra il paziente e la clinica privata nella ipotesi in cui, a seguito di pagamento del corrispettivo, vi sia un inadempimento delle obbligazioni a suo carico nonché l’inadempimento della prestazione medico professionale svolta dal sanitario quale ausiliario della clinica; in secondo luogo, occorre interrogarsi  sul risarcimento del danno non patrimoniale ed, in particolare, se sia configurabile e possa formare oggetto di tutela risarcitoria il cosiddetto danno esistenziale.
Riguardo al primo quesito, rileva la lettura dell’articolo 1228 cod.civ. a norma del quale il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche per fatti dolosi o colposi di costoro.
Detta norma postula: l’esistenza di un danno causato dal fatto dell’ausiliario, la configurazione di un rapporto tra l’ausiliario e il committente ed, infine, un rapporto di causalità tra il danno e l’esercizio dell’ausiliario.
La definizione del caso prospettato non può arrestarsi alla semplice lettura della norma, ma necessita del supporto di risposte giurisprudenziali sul punto.
Secondo un orientamento dei giudici di legittimità il rapporto che si instaura tra il paziente e la clinica ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo.

A fronte del pagamento del corrispettivo sorgono a carico della casa di cura obblighi alberghieri di messa a disposizione  del personale medico ausiliario, paramedico e di apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie. La Corte prosegue col ritenere che la responsabilità della clinica può conseguire, ai sensi dell’articolo 1218 cod.civ. all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell’art. 1228 cod.civ., all’inadempimento della prestazione svolta dal sanitario, quale ausiliario necessario, sussistendo, in tal caso, un collegamento tra la prestazione medico professionale effettuata e l’organizzazione aziendale, non rilevando la circostanza che il medico risulti essere “di fiducia”  del paziente.
Fondamento logico-giuridico su cui si basa tale pronuncia si ricava dal principio generale emergente dall’art. 1228 cod.civ. secondo il quale il debitore risponde dall’opera dei terzi della cui collaborazione si avvale.
Il rapporto tra il paziente e la clinica si fonda su un atipico contratto, a prestazioni corrispettive, con effetti protettivi a favore del terzo, in base al quale si esige un dovere di controllo specifico sulle attività e sulle iniziative intraprese dal personale sanitario, avuto riguardo a tuttigli eventi, prevedibili e non prevedibili, che possono sorgere in tutte le fasi di degenza. Sussiste, quindi, in capo alla stessa, ed ancora laddove si accerti che non vi sia stato l’esatto adempimento della prestazione svolta dal sanitario, la sua responsabilità sarà configurata ai sensi delle disposizioni del codice civile di cui agli artt. 1218 e 1228.
In tale fattispecie al paziente spetterà provare il contratto con la struttura sanitaria e allegare le conseguenze negative patite. Il debitore dovrà dimostrare l’assenza di colpa medica o la non rilevanza, sotto il profilo eziologico, del suo inadempimento.
Riguardo al risarcimento per i pregiudizi concretamente patiti dal paziente, occorre fare riferimento all’art. 2059 cod. civ. a norma del quale il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi espressamente previsti dalla legge.
Il danno non patrimoniale è risarcibile quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge o sia stato leso in modo grave un diritto della persona costituzionalmente garantito, sia quando derivi da fatto illecito sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale.
Sebbene il danno non patrimoniale costituisca categoria unitaria, le diverse categorie di danno, elaborate in passato da dottrina e giurisprudenza, possono avere funzione solo descrittiva/indicativa. Intendendosi il danno esistenziale quale pregiudizio del fare reddituale del soggetto, determinante una modifica peggiorativa della personalità da cui consegue uno sconvolgimento delle abitudini di vita con alterazione degli assetti relazionali del soggetto sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare conseguente alla ingiusta violazione dei valori essenziali costituzionalmente garantiti.
Il danno derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona è risarcibile a tre condizioni: che l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale, che la lesione sia grave e che il danno non sia futile.
Oggetto di tutela, nel caso che ci occupa, è il diritto alla salute e alla integrità psichica e fisica della persona, sancito dall’art. 32 Cost., ai  quali va riconosciuta tutela risarcitoria.
Seppure la giurisprudenza di legittimità si sia espressa in prima battuta ammettendo il danno esistenziale come autonomo titolo di danno, il cui riconoscimento non può prescindere dalla natura e dalle caratteristiche del pregiudizio, con sentenza n. 26972 del 2008 la Suprema Corte a Sezioni Unite ha affermato che nel nostro ordinamento non è ammissibile l’autonoma categoria di danno esistenziale atteso che i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona, di rango costituzionale, sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 cod.civ. quale categoria ampia e onnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici.
Fondamento di tale orientamento giurisprudenziale si basa sul principio dell’unitarietà del danno non patrimoniale quale categoria onnicomprensiva posto che l’art. 2059 cod.civ. fa implicito divieto di una duplicazione risarcitoria per il medesimo pregiudizio. La giurisprudenza così ammette le varie voci di danno ai soli fini descrittivi non potendo costituire pregiudizi autonomamente risarcibili.

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