venerdì 9 marzo 2012

La Cassazione sul dolo contrattuale per effetto di truffa.

Cassazione civile, sez. II, 31 marzo 2011, n. 7468.

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Nella sentenza in commento la Corte di cassazione si interroga sulla sorte del contratto stipulato per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell’altro.
La Suprema Corte afferma che “il contratto concluso per effetto di truffa, penalmente accertata, di uno dei contraenti in danno dell'altro è non già radicalmente nullo (ex art. 1418 cod. civ., in correlazione all'art. 640 cod. pen.), sebbene annullabile ai sensi dell'art. 1439 cod. civ., atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, neanche sotto il profilo dell'intensità, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così a viziarne il consenso. Pertanto, con riguardo alla vendita, il soggetto attivo che riceve la cosa col consenso sia pur viziato dell'avente diritto, ne diviene effettivo proprietario, con il connesso potere di trasferirne il dominio al terzo e con la conseguenza che, a sua volta, quest'ultimo ove acquisti in buona fede ed a titolo oneroso, resta al riparo degli effetti dell'azione di annullamento, da parte del "deceptus", ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1445 (in relazione agli artt. 2652 n. 6, 2690 n. 3) cod. civ.”
Il caso è quello di Tizio che con atto di citazione ....
notificato l'8 gennaio 2001 evocava, dinanzi al Tribunale di Alba, Caio e premesso di svolgere l'attività di antiquario, esponeva che nei primi mesi del 1998 aveva ricevuto in conto vendita da un cliente un dipinto da attribuirsi al Panini dal titolo "Lo svenimento di Ester", da valutarsi intorno a L. 35.000.000 - 40.000.000, per il quale aveva raggiunto un accordo per la vendita con tale avv.to Piacentini Assalonne, pattuendo il prezzo di L. 42.000.000; successivamente il quadro veniva ritirato da una terza persona, tale Sempronio, qualificatosi come Matteo Piacenti e nipote dell'avv.to Piacentini, il quale esibiva una carta d'identità contraffatta e consegnava a titolo di acconto due assegni dell'importo di L. 15.000.000 ciascuno; verificata la non esigibilità di dette somme, l'attore responsabile del bene in quanto custode, versava al proprietario del dipinto, Mevio, l'intero prezzo a titolo di acquisto. Aggiungeva che il 21 giungo 1998 veniva telefonicamente raggiunto da un anonimo interlocutore, che qualificatosi come antiquario della Lombardia, gli comunicava di avere visionato il quadro trafugato in alcuni locali di proprietà di Giovanni in Verolavecchia, per cui lo contattava immediatamente e questi gli confermava di possedere il quadro. Presentata denunzia, la Procura della Repubblica di Alba disponeva perquisizione domiciliare nei confronti del Giovanni ed il quadro veniva sottoposto a sequestro, unitamente ad un documento rinvenuto a tergo del dipinto a firma del prof. Arisi, studioso d'arte; il Tribunale di Alba - Sez. distaccata di Bra condannava Piacentini Luca per i reati di cui agli artt. 110, 640, 61 n. 7, 495, 482 e 477 c.p., per cui l'attore chiedeva al GIP il dissequestro del quadro, richiesta che, unitamente a quella presentata dal Giovanni, veniva respinta con ordinanza del 7.3.2000, rimettendo le parti innanzi al tribunale civile per la risoluzione della controversia. Ciò precisato, il Tizio chiedeva che venisse accertato il suo diritto alla restituzione del bene.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che in via riconvenzionale chiedeva la riconsegna del dipinto da lui regolarmente acquistato da Giorgio, con la partecipazione di un mediatore (tale Sandro), con il pagamento di L. 30.000.000, il Tribunale adito, all'esito dell'istruzione della causa, respingeva la domanda attorea e dichiarava che Giovanni aveva diritto alla restituzione del dipinto in questione, attualmente in sequestro nell'ambito del procedimento penale n. 1444/98, con condanna dell'attore alla rifusione delle spese.
Di seguito si riportano le motivazioni della Suprema Corte:
 “Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 81 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere la Corte di merito ritenuto che il versamento del prezzo da parte del Tizio al Mevio - dopo la consumazione della truffa - fosse avvenuto a titolo di controprestazione di un contratto di compravendita e non già a titolo di risarcimento per inadempimento di un contratto complesso. In altri termini, il giudice del gravame erroneamente avrebbe ritenuto che il Tizio fosse proprietario del dipinto al momento della proposizione dell'azione, mentre l'assenza della proprietà era stata accertata dalla sentenza penale di secondo grado con la condanna del Caio per truffa consumata ai danni del Tizio.
La tesi sostenuta in sentenza secondo cui il versamento del prezzo da parte del Tizio all'originario proprietario del quadro, il Mevio (che precedentemente glielo aveva affidato conferendogli un mandato alla vendita), abbia consacrato e perfezionato un contratto di vendita, a prescindere dalla disponibilità del bene da parte dello stesso venditore, che nel frattempo, a mezzo del mandatario (lo stesso Tizio), lo aveva consegnato, a titolo di acquisto, a Semrponio (sebbene qualificatosi come Matteo Piacenti e nipote dell'avv.to Piacentini, già interessato all'acquisto del bene), non è condivisibile.
Questa corte ha sempre ritenuto che il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro non è radicalmente nullo (ex art. 1418 c.c. in correlazione all'art. 640 c.p.), ma annullabile, ai sensi dell'art. 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell'intensità, da quello che vizia il consenso negoziale, risolvendosi entrambi in artifici o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e quindi a viziare il consenso allo scopo di ottenere l'ingiusto profitto mediante il trasferimento della cosa contrattata (v. Cass. 26 maggio 2008 n. 13566; Cass. 10 dicembre 1986 n. 7322). Si ha così che il dolus malus, anche se penalmente accertato, non può mai di per sè essere causa di nullità del negozio, meno che mai di inesistenza, sotto il profilo della sua illiceità, ma, inteso come vizio della volontà, può portare soltanto all'annullamento del negozio viziato (v. Cass. 8 maggio 1969 n. 1570) ed ai sensi dell'art. 1427 c.c., il negozio resta in vita sino a quando, ad iniziativa della parte interessata, non sia posto nel nulla mediante sentenza costitutiva (v. Cass. 20 febbraio 1962 n. 343). Tutto ciò comporta, con riguardo alla vendita, che il soggetto attivo il quale riceve la cosa, col consenso sia pure viziato, dell'avente diritto, ne diviene effettivo proprietario, con il connesso potere di trasferirne il dominio al terzo e con la conseguenza che, a sua volta, quest'ultimo ove acquisti in buona fede ed a titolo oneroso, resta al riparto degli effetti dell'azione di annullamento, da parte del deceptus, ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1445 c.c. (in relazione all'art. 2652 c.c., n. 6 e art. 2690 c.c., n. 3).
Dai principi suesposti la sentenza gravata si è discostata allorché ha affermato la validità ed efficacia del contratto di vendita intervenuto tra il Tizio ed il mandante Mevio; pertanto il motivo va accolto.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1147, 1153, 2727, 2729 e 2697 c.c., nonché dell'art. 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte di merito ritenuto l'acquisto avvenuto in mala fede sulla base delle dichiarazioni sospette rese dal Donadoni, del tutto irrilevanti ai fini del trasferimento. Aggiunge che quanto alla visita del Castagnetti, anche le dichiarazioni di quest'ultimo risultano del tutto incongrui e contraddittorie, ne' la reazione avuta dal ricorrente in sede di perquisizione dei Carabinieri è circostanza che possa incidere sulla buona fede, essendo espressione di un normale "metus" del cittadino di fronte ad una improvvisa perquisizione.
Le plurime censure denunciate con il motivo in esame, con e quali vengono prospettate doglianze che sotto diversi profili investono l'accertamento sulla buona fede del ricorrente al momento dell'acquisto, in considerazione dell'accoglimento del primo motivo del ricorso, debbono ritenersi superate, trattandosi di doglianze necessariamente collegate alla questione pregiudiziale. In conclusione, accolto il primo motivo del ricorso ed assorbito il secondo, la sentenza va cassata con rinvio a diversa sezione della stessa Corte di Appello di Torino affinché provveda in ordine al motivo concernente la qualificazione della dazione di denaro effettuata dal Tizio in favore del mandante Mevio, dopo la consegna del quadro al Sempronio, e perché si pronunci, nel rispetto degli enunciati principi, sugli effetti degli artifici e raggiri (dolus malus) sulla vendita e nei successivi rapporti legati alla cessione del medesimo bene.
Il giudice del rinvio provvederà alla regolamentazione delle spese anche di questa fase del giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Torino anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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