venerdì 30 marzo 2012

Fonti non contrattuali dell'obbligazione: promesse unilaterali.


 di Giulio Forleo


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L’art. 1173 cod. civ. delinea all’interno dell’impianto codicistico del ’42 un sistema delle fonti delle obbligazioni di tipo “aperto”.
Esso stabilisce che, oltre al contratto e al fatto illecito, possono essere fonti delle obbligazioni qualsiasi altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico.
Il riferimento alla conformità all’ordinamento giuridico non è evidentemente alla sola legge (perché altrimenti si determinerebbe un sistema “chiuso”) ma ai principi generali dell’ordinamento, alla stregua dei quali bisogna valutare la idoneità, o meno, di una determinata fonte.
Ciò non toglie, però, che il legislatore abbia potuto prevedere delle fonti tipiche delle obbligazioni diverse dal contratto o dal fatto illecito.
Un esempio di ciò sono le “promesse unilaterali” disciplinate agli artt. 1987 e ss. del codice civile.
Con riferimento a questa categoria si discute in dottrina e giurisprudenza della possibilità che esistano altre forme di promesse unilaterali non codificate. Il dibattito nasce in primo luogo dalla prescrizione contenuta nell'articolo 1987 del codice civile secondo cui "la promessa unilaterale non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge".
In secondo luogo si discute proprio sulla possibilità, in generale, di assumere unilateralmente un'obbligazione in assenza del consenso dell'altra parte.
Come noto, infatti, il consenso riveste nell'ambito delle obbligazioni la duplice funzione di tutelare la sfera giuridica del terzo da un'ingerenza altrui (anche se vantaggiosa, è comunque non voluta) e di individuare l'interesse meritevole di tutela del proponente che costituisce la causa dell'obbligazione e in assenza della quale la stessa non potrebbe esistere.
Se, dunque, nelle promesse unilaterali “tipiche” una causa vaga (promessa al pubblico) o del tutto bizzarra (come possibile delle donazioni obbligatoria) è compensata dalla tipicità degli effetti nel primo caso, e dalla rigidità della forma nel secondo caso, ciò non si può dire nel caso di promesse unilaterali del tutto atipiche.
Sul punto, in realtà, la giurisprudenza sembra avere superato del tutto il dogma della necessità del consenso e della intangibilità della sfera del terzo, ammettendo la possibilità di promesse unilaterali atipiche, sempre che si tratti di promesse interessate e rifiutabili ai sensi dell'articolo 1333 del codice civile.
Proprio sull'articolo 1333 codice civile è doveroso precisare che la giurisprudenza parla in proposito di "negozio unilaterale rifiutabile" escludendo la equiparazione silenzio-accettazione che secondo parte della dottrina fonderebbe la natura bilaterale dell'istituto in questione.
Fatta questa doverosa premessa sulle possibili promesse unilaterali atipiche, è bene analizzare ora le forme tipiche della promessa di pagamento, della ricognizione di debito e della promessa al pubblico.

La premessa di pagamento e la ricognizione di debito sono entrambe disciplinate dall'articolo 1988 del codice civile.
Quanto alla promessa di pagamento si tratta di una dichiarazione resa da un soggetto ad un altro con la quale si promette il pagamento di una prestazione, in relazione ad un rapporto obbligatorio già esistente o che potrà venire ad esistenza.
La ricognizione di debito è, invece, il riconoscimento del debito in un rapporto obbligatorio da parte del debitore nei confronti del creditore.
Sulla forma delle due dichiarazioni dell'articolo 1988 non dice nulla. Sebbene il dottrina si sia fatta avanti l'ipotesi di una forma uguale a quella necessaria per il negozio sottostante, l'assenza di riferimenti normativi deve far optare per una forma libera tanto per la promessa di pagamento che per la ricognizione di debito.
Passando al contenuto degli istituti, l'articolo 1988 del codice civile stabilisce che "la promessa di pagamento e la ricognizione di debito dispensano con lui a favore del quale è fatta dall'onere di provare  il rapporto fondamentale. L'esistenza di questa si presume fino a prova contraria".
Dalla lettera della norma emerge, dunque, che chi promette o riconosce non assume nessuna nuova obbligazione, ma si obbliga unicamente a dover provare in un eventuale giudizio la inesistenza del rapporto fondamentale.
Si parla in proposito di "astrazione processuale", presumendosi iuris tantum l'esistenza del rapporto obbligatorio per effetto della dichiarazione del debitore.
Affinché operi l'astrazione è necessario che si tratti di promessa o ricognizione cosiddette “titolate”, nelle quali sia cioè indicato il rapporto fondamentale sottostante.
Da ultimo ci si interroga sulla possibilità che le suddette dichiarazioni possano valere anche per i diritti reali. Sul punto la giurisprudenza ha in più occasioni negato tale possibilità.
Altra forma di promessa unilaterale è la promessa al pubblico disciplinata dall'articolo 1989 del codice civile.
Secondo questa disposizione "colui che rivolgendosi al pubblico promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica".
La promessa al pubblico, al contrario delle due dichiarazioni di cui all'articolo 1988 comporta la assunzione da parte del promittente di una nuova obbligazione.
Sulla natura di tale obbligazione è sorta in dottrina e giurisprudenza una diatriba tra chi la qualifica come negozio unilaterale e chi invece parla di natura contrattuale della stessa.
Secondo quest'ultimo orientamento, infatti, la comunicazione dell'avveramento della situazione o il compimento dell'azione da parte del terzo verso il promittente equivarrebbe ad accettazione del contratto.
Secondo la tesi prevalente, invece, il trovarsi nella situazione o il compimento dell'azione prevista nella promessa sono eventi che prescindono totalmente dalla volontà e dalla consapevolezza del terzo, si parla in proposito di semplici "fatti giuridici" che individuano il creditore e fanno nascere il rapporto obbligatorio.
D'altronde lo stesso articolo 1989 secondo comma parla chiaramente di azione e non di prestazione, come avrebbe dovuto fare in presenza di un rapporto obbligatorio bilaterale.
Con riferimento alla durata della promessa, non potendosi il soggetto obbligare in maniera perpetua, laddove lo stesso promittente non abbia previsto nulla, l'articolo 1989 indica in un anno il termine massimo di durata.
Come letto poi nel primo comma dell'articolo 1989, dal momento in cui la promessa viene resa pubblica il promettente rimane vincolato ad essa e non può revocarla se non in presenza di una giusta causa, come previsto dall'articolo 1990 del codice civile.
Sul significato di giusta causa la giurisprudenza ha chiarito che essa si deve identificare con qualsiasi avvenimento che renda inutile la promessa e sia comunque in grado di incidere sulla realizzabilità dell'interesse.
L'articolo 1991 del codice civile prevede, infine, che nel caso in cui l'azione sia stata compiuta da più persone separatamente, oppure se la situazione è comune a più persone, la prestazione promessa quando è unica spetta a colui che per primo abbia effettuato la comunicazione di cui all'articolo 1989 secondo comma.

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