SOLUZIONE PARERE CONVIVENZA MORE UXORIO E VENDITA CASA FAMIGLIARE.
Cassazione civile, sez. I, 11 settembre 2015, n. 17971
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
La Cris Mar società immobiliare S.r.l. conveniva in giudizio P. D.
chiedendone la condanna al rilascio di un immobile adibito ad uso abitativo
ritenuto occupato senza titolo dalla convenuta.
L'immobile era stato acquistato il (OMISSIS) dal proprio convivente R.R.
che lo aveva già rilasciato.
La convenuta opponeva l'inammissibilità della domanda perchè lesiva dei
diritti delle figlie minori, avute dal convivente, che abitavano con lei
l'immobile e rilevava che non era stata disposta la notifica della domanda al
p.m. ex L. n. 54 del 2006.
Chiedeva la sospensione del procedimento in pendenza di giudizio davanti al
Tribunale per i minorenni e nel merito affermava che la vendita era inefficace
nei suoi confronti essendo stata accolta azione revocatoria da lei proposta.
Infine evidenziava che il Tribunale per i minorenni aveva accolto la sua
domanda di assegnazione della casa familiare in qualità di collocataria delle
figlie minori.
Il giudice di primo grado accoglieva la domanda di rilascio ritenendo che
il provvedimento di assegnazione della casa familiare non fosse opponibile a
terzi perchè non trascritto e comunque successivo di due anni al trasferimento
della proprietà del bene.
Sull'appello della convenuta la Corte d'Appello ha confermato la pronuncia
di primo grado sulla base delle seguenti affermazioni:
l'azione proposta è sottoposta al rito ordinario. Ne consegue
l'insussistenza di alcuna invalidità e lesione del contraddittorio;
il fatto che nel rogito d'acquisto sia scritto che l'immobile viene venduto
nello stato di fatto e di diritto in cui si trova non sta ad indicare che fosse
accettata da parte dell'acquirente l'occupazione di terzi;
il provvedimento di assegnazione della casa familiare non è opponibile
all'acquirente perchè l'immobile è stato acquistato anteriormente al predetto
provvedimento in quanto la vendita è datata (OMISSIS) ed il provvedimento di
assegnazione è del 15/11/2007. Il procedimento per rilascio è stato introdotto
con ricorso depositato il 26/11/2006 ovvero anch'esso anteriormente al
provvedimento di assegnazione in questione.
In conclusione l'alloggio è stato venduto in data antecedente di circa tre
mesi alla proposizione del ricorso per l'affidamento dei minori e
l'assegnazione dell'immobile come casa familiare;
non è infine contestato che il provvedimento di assegnazione non fu
trascritto.
Non è applicabile alla specie nè lo statuto della locazione nè quello del
comodato. Manca a tale ultimo riguardo la prova che il R. abbia rilasciato
l'alloggio prima di averlo venduto, in quanto nell'ipotesi contraria egli non
aveva titolo per lasciarlo in comodato alla convivente. L'onere della prova al
riguardo era in capo alla M..
Infine quanto alla consapevolezza dell'acquirente dell'occupazione
dell'alloggio non rileva secondo la Corte d'Appello che la legale del R. fosse
socia della Cris. Mar, nè che sua figlia ne fosse
l'amministratrice dal momento che queste circostanze non determinano
univocamente la conoscenza dell'occupazione dell'immobile.
L'incidente relativo al procedimento disciplinare a carico del predetto
legale per essere personalmente intervenuto al fine di acquistare ad un prezzo
inferiore a quello di acquisto l'immobile al fine di sottrarlo agli obblighi
derivanti dal credito alimentare in favore delle minori, non spiega effetti
rispetto alla consapevolezza della preesistente occupazione dell'immobile.
Peraltro tale aspetto risulta prospettato tardivamente e senza la preventiva
instaurazione del contraddittorio.
Neanche l'accoglimento della revocatoria ha rilievo secondo la Corte
territoriale in quanto l'azione di rilascio ha ad oggetto un diritto di
godimento che non ha niente a che vedere con la consistenza del patrimonio del
debitore.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la P., articolato
in due motivi.
Nel primo motivo viene dedotta la violazione di legge per avere la Corte
d'Appello applicato il rito ordinario invece che locatizio e per non aver
disposto la partecipazione del P.M. essendovi figli minori. L'adozione
del rito correttamente applicabile avrebbe determinato la corretta
qualificazione della domanda come risoluzione di comodato con conseguente
incremento anche dei poteri istruttori officiosi del giudice in funzione
dell'interesse delle minori.
Nel
secondo motivo viene dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata
per non avere la Corte d'Appello correttamente valutato che nel contratto di
trasferimento dell'immobile era indicato che l'immobile veniva acquistato
"nello stato di fatto di fatto e di diritto in cui si trova",
"ben noto alla parte acquirente". La Corte non ha ritenuto che tale
formula ricomprendesse l'occupazione da parte di terzi, in quanto non
esplicitamente menzionata nell'atto.
La
società acquirente amministrata dalla figlia della legale del R., sanzionata
con sentenza della Corte di Cassazione per aver ingiustificatamente ritardato
la causa relativa all'affidamento e all'assegnazione della casa familiare, non
poteva non sapere dell'occupazione medesima.
Deve
pertanto logicamente ritenersi che l'acquirente fosse a conoscenza del fatto
che la P. detenesse a titolo di comodato l'immobile.
La
parte ricorrente censura la qualificazione giuridica del rapporto al fine di
evidenziare l'opponibilità al terzo acquirente della destinazione dell'immobile
a casa familiare come fatto giuridicamente impeditivo del rilascio.
Così
complessivamente qualificati i predetti motivi deve procedersi alla disamina
della giurisprudenza costituzionale e di legittimità al fine di configurare in
modo corretto ed esauriente la fattispecie dedotta in giudizio.
In
primo luogo deve rilevarsi che la ricorrente, incontestatamente convivente more
uxorio nell'immobile in questione rilasciato dall'altro convivente che ne era
l'esclusivo proprietario riveste la qualità di detentore qualificato, essendo
il suo diritto personale di godimento sul predetto bene del tutto equiparabile
a quello riconducibile alla posizione del comodatario.
Tale
qualificazione è confermata dall'orientamento di questa Corte, così massimato:
"La
convivenza "more uxorio", quale formazione sociale che da vita ad un
autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si
svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su
di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da
ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una
detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo
familiare. Ne consegue che l'estromissione violenta o clandestina dall'unità
abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non
proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di
esperire l'azione di spoglio". (Cass.7214 del 2013; conf. Cass. 7 del
2014).
Il
puntuale richiamo agli artt. 2 e 3 della Costituzione, su cui si fonda l'assimilazione
della posizione del convivente more uxorio rispetto all'immobile di cui l'altro
convivente sia proprietario, consente l'immediato collegamento con l'altro
basilare principio di diritto riguardante l'equiparazione dei figli nati fuori
dal matrimonio a quelli nati all'interno di esso solo di recente definitiva
attuazione normativa (con la L. Delega n. 212 del 2012 ed il D.Lgs. n. 154 del
2013) ma ampiamente realizzato dalla giurisprudenza costituzionale e dalla
giurisprudenza di legittimità.
Al
riguardo, con specifico riferimento all'assegnazione della casa familiare deve
essere richiamata la sentenza della Corte Costituzionale n. 166 del 1998 che
costituisce il sostegno primario dell'ermeneusi costituzionalmente orientata,
successivamente consolidatasi nella materia. In tale sentenza la Corte ha
evidenziato che: "l'interpretazione sistematica dell'art. 30 Cost. in
correlazione agli artt. 261, 146 e 148 cod. civ. impone che l'assegnazione
della casa famiglia nell'ipotesi di cessazione di un rapporto di convivenza
more uxorio, allorchè vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente
autosufficienti, deve regolarsi mediante l'applicazione del principio di
responsabilità genitoriale, il quale postula che sia data tempestiva ed
efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio, a prescindere
dalla qualificazione dello status". Il diritto dei figli minori nati fuori
del matrimonio alla conservazione dell'habitat familiare costituisce una
soluzione interpretativa costituzionalmente necessitata secondo questa
rilevante pronuncia.
Tale
indicazione ha trovato puntuale e costante conferma nella giurisprudenza di
legittimità. Al riguardo si richiama Cass, n. 10102 del 2004 secondo la quale
"In tema di famiglia di fatto e nella ipotesi di cessazione della
convivenza "more uxorio", l'attribuzione giudiziale del diritto di
(continuare ad) abitare nella casa familiare al convivente cui sono affidati i
figli minorenni o che conviva con figli maggiorenni non ancora economicamente
autosufficienti per motivi indipendenti dalla loro volontà è da ritenersi
possibile per effetto della sentenza n. 166 del 1998 della Corte
Costituzionale, che fa leva sul principio di responsabilità genitoriale,
immanente nell'ordinamento e ricavabile dall'interpretazione sistematica degli
artt. 261 (che parifica doveri e diritti del genitore nei confronti dei figli
legittimi e di quelli naturali riconosciuti), 147 e 148 (comprendenti il dovere
di apprestare un'idonea abitazione per la prole, secondo le proprie sostanze e
capacità) cod. civ., in correlazione all'art. 30 Cost..
Tale
diritto è attribuito dal giudice al coniuge (o al convivente), qualora ne
sussistano i presupposti di legge, (...) ed è tale da comprimere
temporaneamente, fino al raggiungimento della maggiore età o dell'indipendenza
economica dei figli, il diritto di proprietà o di godimento di cui sia titolare
o contitolare l'altro genitore, in vista dell'esclusivo interesse della prole
alla conservazione, per quanto possibile, dell'habitat domestico anche dopo la
separazione dei genitori. (...).
Il
principio ha avuto costante conferma ed è stato di recente ribadito da Cass.
18863 del 2011, nella vigenza dell'attuale regime giuridico dell'affido
condiviso.
In
conclusione, alla luce dei consolidati principi sopra illustrati può affermarsi
che anche nelle convivenze di fatto, in presenza di figli minori nati dai due
conviventi, l'immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore
collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell'immobile o
conduttore in virtù di rapporto di locazione o comunque autonomo titolare di
una posizione giuridica qualificata rispetto all'immobile. Egli, peraltro in
virtù dell'affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex
art. 2 Cost.) della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato
dell'immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del
tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia
l'altro convivente.
Rimane
da verificare se tale duplice condizione sia opponibile all'avente causa
dell'ex convivente cui è stata trasferita la proprietà del predetto bene e, in
caso di risposta affermativa, entro che limiti operi tale opponibilità.
Il
quesito, così come formulato corrisponde esattamente alla fattispecie dedotta
nel presente giudizio nella quale è incontestato che l'immobile sia stato
adibito a casa familiare, che uno dei conviventi ne fosse proprietario, che ne
sia stata trasferita la proprietà a terzi, che l'altro convivente sia non solo
collocatario dei figli minori ma anche assegnatario della casa familiare, per
provvedimento giudiziale.
Al
riguardo la giurisprudenza di legittimità, ancorchè in tema di rapporto
coniugale, ha stabilito (Cass. S.U. 13603 del 2004) e di recente ribadito (S.U.
20448 del 2014) i seguenti principi:
Il
coniuge affidatario di figli minori e assegnatario della casa familiare può
opporre al comodante l'esistenza del provvedimento di assegnazione.
Il
rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ.,
sorge per un uso determinato ed ha - in assenza di una espressa indicazione
della scadenza - una durata determinabile "per relationem", con
applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa
familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed
è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi
delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano
legittimato l'assegnazione dell'immobile.
Tali
consolidati principi trovano applicazione anche nell'ipotesi in cui
l'originario proprietario dell'immobile (terzo o componente della coppia è
irrilevante) abbia trasferito la proprietà del bene medesimo, rimanendo
immutato e senza soluzione di continuità il vincolo costituito dal comodato
preesistente, giustificato da un doppio qualificato titolo detentivo: il primo
costituito dalla convivenza di fatto con il proprietario dante causa, il
secondo dalla destinazione dell'immobile a casa familiare, prima della
alienazione a terzi, e dalla cristallizzazione di tale ulteriore vincolo
mediante l'assegnazione della casa familiare. A tale ultimo riguardo deve
osservarsi che non rileva, nella specie, l'anteriorità del trasferimento
immobiliare rispetto al provvedimento di assegnazione dell'immobile a casa
familiare disposto dal Tribunale per i minorenni, dal momento che la qualità di
detentore qualificato in capo alla ricorrente è pacificamente preesistente al
trasferimento immobiliare così come la indiscussa destinazione dell'immobile a
casa familiare impressa anche dal proprietario genitore e convivente con la
ricorrente e le minori medesime fino al suo allontanamento volontario. La
relazione con l'immobile, in virtù di tale destinazione non ha natura precaria
ma, al contrario, è caratterizzata da un vincolo di scopo che si protrae fino a
quando le figlie minori o maggiorenni non autosufficienti conservino tale
habitat domestico. Inoltre la vendita immobiliare è divenuta inefficace nei
confronti della P., per essere stata accolta l'azione revocatoria proposta da
tale parte (pag. 12 sentenza impugnata). Al riguardo non può condividersi
l'assunto della Corte territoriale volto ad escludere integralmente l'incidenza
dell'inefficacia del trasferimento immobiliare rispetto alla ricorrente.
L'accertamento giudiziale sotteso alla revocatoria, infatti, postula
inequivocamente, in quanto volto a riconoscere che la vendita ha avuto lo scopo
di sottrarre una parte del patrimonio del debitore all'adempimento degli
obblighi alimentari verso i propri familiari, che l'avente causa fosse a
conoscenza della destinazione dell'immobile anche prima della consacrazione di
tale destinazione dovuta al provvedimento di assegnazione a casa familiare
disposta dal Tribunale per i minorenni, per la cui opponibilità infranovennale,
peraltro, non è necessaria la trascrizione (S.U. 11096 del 2002).
Almeno
sotto tale profilo della conoscenza anteriore al trasferimento della
destinazione specifica dell'immobile non può escludersi il rilievo
dell'accoglimento della revocatoria, così come instaurazione dell'esito del
procedimento disciplinare a carico del legale del R., genitore
dell'amministrazione della Cris.Mar Immobiliare, in quanto convergenti verso la
piena e univoca consapevolezza dell'uso esclusivo dell'immobile a casa
familiare e della finalità sanzionabile ex art. 2901 cod. civ. del
trasferimento. L'assegnazione della casa familiare, pur non costituendo un
provvedimento di natura economica in senso stretto (in quanto avente finalità
diverse dal contributo al mantenimento dei figli), ha un'incidenza diretta
sulla posizione reddituale del genitore collocatario dei figli minori.
Non
è condivisibile peraltro la censura di tardività della produzione in
considerazione della sopravvenienza del documento in corso di giudizio di
merito.
L'accoglimento
dell'azione revocatoria, di conseguenza, ha evidenziato che il terzo fosse
consapevole del pregiudizio economico patrimoniale per il creditore e fosse
partecipe del disegno volto alla sottrazione del bene dal patrimonio del
debitore, (art. 2901 c.c., n. 2). La privazione del godimento dell'immobile
unitamente ai figli minori costituisce un vulnus economico d'immediata
percezione e quantificazione per la ricorrente, con conseguente erroneità delle
argomentazioni svolte dalla Corte d'Appello per escluderne il rilievo. In
particolare non coglie nel segno l'assunto secondo il quale il diritto di
godimento non ha a che fare con il patrimonio del debitore. Al contrario tale
vincolo posto dalla legge in favore del creditore che agisce in revocatoria ha
una diretta influenza negativa sul valore complessivo dell'immobile,
riducendone sensibilmente il prezzo di mercato, così come incide sulle ragioni
del creditore privandolo del godimento del bene alle condizioni e nei limiti
temporali stabiliti dalla legge.
In
conclusione, come rilevato dalla parte ricorrente, la Corte d'Appello,
ignorando la convergenza e l'univocità delle ragioni di diritto che conducevano
al riconoscimento della qualità di detentore qualificato della parte ricorrente,
e della destinazione a casa familiare impressa all'immobile, nonchè alla sua
posizione di genitore collocatario delle figlie minori, (queste ultime rimaste
senza soluzione di continuità nell'abitazione), ha ritenuto erroneamente
inopponibile tale vincolo al terzo acquirente, nonostante le convergenti
evidenze di fatto e di diritto (azione revocatoria accolta e procedimento
disciplinare coperto da giudicato) evidenzianti la piena conoscenza anche
legale della destinazione a casa familiare impressa all'immobile. La centralità
che la Corte d'Appello ha conferito alle cadenze temporali relative al
trasferimento immobiliare, all'instaurazione dell'azione di rilascio e della
domanda di affidamento delle minori ed infine al provvedimento di assegnazione
della casa familiare (la cui datazione non dipende dalla diligenza della
ricorrente e che è opponibile ancorchè non trascritto nel novennio), è priva di
rilievo nella specie, in quanto superata dalla conoscenza della preesistenza
della destinazione a casa familiare da parte del terzo acquirente dell'immobile
e dalla consapevole finalità di eliminarne tale carattere mediante il
trasferimento unitamente al dante causa.
Non
essendo necessari accertamenti di fatto ulteriori può essere assunta decisione
nel merito consistente nel rigetto dell'azione di rilascio proposta dalla Cris.
Mar. nei confronti della ricorrente. Le spese processuali dei due giudizi di
merito e del presente procedimento seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La
Corte, accoglie il ricorso e decidendo nel merito rigetta l'azione di rilascio
proposta dalla s.r.l. Cris Mar Immobiliare contro P. D. in ordine all'immobile
sito in (OMISSIS).
Condanna
la Cris Mar Immobiliare al pagamento delle spese processuali in favore della
ricorrente che liquida per il primo grado in Euro 2800 per onorari; Euro 1330
per compensi oltre accessori di legge;
per
il secondo grado in Euro 800 per diritti; Euro 1800 per onorari oltre accessori
di legge e per il presente giudizio in Euro 2500 per compensi; Euro 200 per
esborsi oltre accessori di legge.
Così
deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 maggio 2015.
Depositato
in Cancelleria il 11 settembre 2015