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Cassazione
civile, Sezione II, 3 luglio 2013, n. 16629.
La sopravvenuta
inefficacia di un contratto preliminare di compravendita, a seguito della
prescrizione del diritto da esso derivante alla stipulazione del contratto
definitivo, comporta, per il promissario acquirente che abbia ottenuto dal
promittente venditore la consegna e la detenzione anticipate della cosa,
l'obbligo di restituzione, a norma dell'art. 2033 cod. civ., della cosa stessa
e degli eventuali frutti ("condictio indebiti ob causam finitam"),
non un'obbligazione risarcitoria per il mancato godimento del bene nel periodo
successivo al compimento della prescrizione.
Nota a sentenza a cura del Dott. Roberto Malzone.
Sommario: 1. Introduzione – 2. Indebito
oggettivo ed indebito soggettivo – 3. Indebito soggettivo ex persona accipientis – 4. Casistica.
1. Introduzione.
Con la pronuncia sopra riportata, la
Suprema Corte ha ribadito un principio costantemente affermato secondo cui la
mancata conclusione del contratto preliminare, ad effetti anticipati,
determina, in capo all’acquirente, la restituzione della cosa ed eventualmente
dei frutti maturati a seguito della prescrizione del diritto a stipulare il
definitivo.
L’obbligazione che sorge in capo al
detentore si configura in un “indebito oggettivo” ex art. 2033 c.c. e non in un
risarcimento per mancato godimento poiché la detenzione è avvenuta senza una iusta causa.
2. Indebito oggettivo ed indebito
soggettivo.
L’istituto dell’indebito oggettivo è
disciplinato dall’art. 2033 c.c. e statuisce che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che
ha pagato”.
Il presupposto per la ripetizione
dell’indebito oggettivo viene individuato nel carattere non dovuto della
prestazione in quanto manca una causa
solvendi.
Difatti, il fondamento dell’azione
risiede nell’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, “o perché il vincolo obbligatorio non è mai
sorto, o perché venuto meno successivamente, a seguito di annullamento,
rescissione o inefficacia connessa ad una condizione risolutiva avveratasi”
(Cass. Civ. Sez. III, n. 13207/2013; cfr. anche Cass. S.U. n. 5624/2009).
Colui che effettua il pagamento, per
riottenere la somma indebitamente versata, deve dimostrare non solo
l’effettuazione di un pagamento e l’insussistenza di un determinato rapporto
obbligatorio, ma anche il collegamento eziologico tra detti elementi, ossia
l’avvenuto pagamento in adempimento di quel rapporto obbligatorio
insussistente, mentre è esclusa la tutela del solvens in caso di mancata specificazione del rapporto giuridico
che abbia indotto al pagamento privo di causa
debendi.
La ripetizione ex art. 2033 c.c.
rappresenta un’azione restitutoria a carattere personale e non risarcitoria.
L’attore ha, inoltre, diritto ai frutti
ed agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala
fede, mentre se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.
“In
tema di indebito oggettivo, la buona fede dell’accipiens al momento del pagamento si presume, sicché
grava sul solvens l’onere di
dimostrare la malafede dell’accipiens
all’atto della ricezione della somma non dovuta” (Cass. Sez. lavoro 8
maggio 2013 n. 10815).
Diverso è l’istituto dell’ indebito soggettivo, disciplinato
dall’art. 2036 c.c. che così statuisce: “Chi
ha pagato un debito altrui, credendosi debitore in base ad un errore scusabile,
può ripetere ciò che ha pagato, sempre che il creditore non si sia privato in
buona fede del titolo o delle garanzie del credito”.
In questo caso, il debito esiste però il
debitore paga ad un creditore sbagliato.
La differenza tra indebito oggettivo ed
indebito soggettivo, quindi, consiste nel fatto che, mentre nel primo il debito
che con il pagamento si è inteso estinguere non esiste affatto, o perché non è
mai sorto o perché dopo essere sorto non è venuto mai a mancare, nel secondo
invece il rapporto debitorio esiste, ma non tra le persone tra le quali il
pagamento è avvenuto.
Nell’indebito soggettivo, la ripetizione
di quanto pagato è subordinata alla prova dell’errore scusabile.
Quest’ulteriore onere è giustificato dal
fatto che il nostro sistema ammette la possibilità che un debito venga estinto
da un terzo (art. 1180 c.c.) o che si verifichi una gestione di affari altrui
(art. 2028 e ss. c.c.).
3. Indebito soggettivo ex persona accipientis.
Diversa ancora è l’ipotesi dell’indebito soggettivo ex persona accipientis.
Questa fattispecie ricorre quando il
debito di colui che ha eseguito il pagamento esiste ma non verso chi ha
ricevuto il pagamento: il solvens è
debitore ma non dell’accipiens. Detta
fattispecie non è specificamente regolamentata dal legislatore e rientra nella
disciplina dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c..
Quindi, al solvens, per ottenere la ripetizione, è sufficiente l’obiettiva
inesistenza di una iusta causa solvendi, non avendo alcuna rilevanza la
scusabilità, o meno, dell’errore per effetto del quale il pagamento stesso è
stato effettuato.
4. Casistica.
Alla luce di quanto sopra esposto, è
opportuno riportare, per una maggiore comprensione degli istituti, alcuni
esempi pratici affrontati dalla giurisprudenza.
a.
Erroneo
inquadramento del dipendente.
“Nel caso di erroneo inquadramento
superiore di un pubblico dipendente, l'affidamento e la buona fede di
quest'ultimo non sono di ostacolo all'esercizio da parte dell'amministrazione
del potere di annullare tale inquadramento e di ripetere, in applicazione
dell'art. 2033 c.c., le somme indebitamente corrisposte; pertanto,
nell'adozione di tali atti, l'amministrazione non è tenuta a fornire una
particolare motivazione sull'elemento soggettivo dell'interessato, essendo
sufficiente che vengano chiarite le ragioni per le quali il percipiente non
aveva diritto a quel determinato inquadramento comportante la stabile
erogazione di somme che, invece, per errore, gli sono state corrisposte”
(Consiglio di Stato, sez. III, 5 Giugno 2013, n. 3099).
b.
Assegno
di mantenimento del figlio della sola moglie.
“Il marito che in costanza del giudizio
di separazione personale abbia corrisposto alla moglie un assegno per il
mantenimento del figlio minore, sul presupposto che lo stesso fosse figlio di
entrambi i coniugi, ha diritto alla ripetizione delle somme corrisposte ove si
accerti che il minore non è suo figlio (ma della sola moglie). Il principio
della irripetibilità delle somme comunque versate a titolo di mantenimento
della prole nella pendenza del giudizio di separazione o di divorzio, infatti,
presuppone che i minori (o i maggiorenni non economicamente autosufficienti)
per i quali è stato versato un assegno siano figli di entrambi i coniugi”
(Cassazione civile, Sez. I, 4 dicembre 2012, n. 21675).
c.
Negozio
nullo.
“L’accertata nullità del negozio
giuridico, in esecuzione del quale sia stato eseguito un pagamento, dà luogo ad
un’azione di ripetizione di indebito oggettivo, volta ad ottenere la condanna
alla restituzione della prestazione eseguita in adempimento del negozio nullo,
il cui termine di prescrizione inizia a decorrere non già dalla data del
passaggio in giudicato della decisione che abbia accertato la nullità del
titolo giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento stesso”
(Cassazione civile, Sez. III, 15 luglio 2011, n. 15669).
Dott. Roberto Malzone
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