venerdì 17 gennaio 2014

La Cassazione sugli obblighi restitutori del promissario acquirente.

Per ricevere in anteprima e in maniera gratuita le più recenti sentenze della Cassazione civile CLICCA SUL TASTO MI PIACE qui al lato -------->

Cassazione civile, Sez. VI, ordinanza del 10 ottobre 2013, n. 23035

MASSIMA

Il promissario acquirente di un fondo agricolo, che ne abbia conseguito la disponibilità a titolo di anticipata esecuzione di un contratto preliminare poi dichiarato nullo, in quanto detentore della cosa, è tenuto a restituire non solo il bene indebitamente goduto, ma anche le utilità "ab initio" ricavate dallo stesso, non rilevando, al riguardo, la disposizione di cui all'art. 1148 cod. civ., la quale limita temporalmente l'obbligo restitutorio dei frutti per il possessore in buona fede con decorrenza dal giorno della domanda giudiziale.

SENTENZA

FATTO E DIRITTO
Si riporta di seguito la relazione preliminare ex art. 380 bis c.p.c. del 6/30.5.2013.
Con la sentenza di cui sopra la corte tarantina, nel definire un annoso e complesso giudizio scaturito da un contratto preliminare di compravendita stipulato il 23.5.1984 tra S.D. e S.I. 23.5.1984, ad oggetto di un podere dell'ente di riforma fondiaria di cui il primo, promittente venditore, era assegnatario con patto di riservato dominio la cui nullità è risultata accertata, con condanna al rilascio del secondo, promissario acquirente e detentore, ha, tra l'altro e per quanto ancora rileva in questa sede: a) condannato il medesimo alla restituzione, per quanto di rispettiva ragione, agli eredi del promittente venditore, in epigrafe indicati, nonchè ad M. A., intervenuta in giudizio ex art. 111 c.p.c., quale successiva legittima acquirente (in virtù di atto del 1993) del predio (che S.D. aveva precedentemente riscattato), dei frutti percepiti dal fondo in questione a partire dall'annata agraria 1986/87 fino a quella 2001/2002, provvedendo alle relative liquidazioni sulla scorta della consulenza tecnica; b) confermato la statuizione del primo giudice, che nel condannare gli eredi del promittente venditore alla restituzione al promissario acquirente del prezzo ricevuto all'atto dell'invalido contratto preliminare, ha escluso la richiesta estensione di tale condanna anche alla M., ritenendo tale obbligazione personale a S. D. (e per lui ai suoi eredi) e non trasferibile alla acquirente, ancorchè intervenuta ex art. 111 c.p.c. .
Di tali statuizioni si è doluto S.I., proponendo ricorso per cassazione affidato a due motivi, deducenti violazione e falsa applicazione, rispettivamente, dell'art. 1148 cod. civ. e art. 111 c.p.c., nonchè (nel primo) omessa ed insufficiente motivazione.
Il ricorso, cui hanno resistito sia gli eredi di S.D., sia la M., ad avviso del relatore è manifestamente infondato in tutte le esposte censure.
Quanto alla prima, con la quale si invoca l'inapplicabilità dell'art. 1148 c.c., ai detentori, quali debbono qualificarsi i promissari acquirenti cui il bene sia stato anticipatamente consegnato, secondo la giurisprudenza di questa Corte (S.U. 7930/08 e successive varie pronunzie sezionali), la stessa è inconferente.
La norma sopra citata, invero, stabilisce un principio secondo cui il possessore di buonafede, tenuto alla restituzione di un bene, risponde dei frutti percepiti o percipiendi nei confronti del rivendicante soltanto a partire dalla data della domanda giudiziale.
Trattasi, come ha ben precisato la corte di merito, di una limitazione dell'obbligo di rimborso di cui possono avvalersi i soli possessori, ove il possesso (e non anche la detenzione) sia stato connotato dal suddetto elemento psicologico, che non autorizza ad escludere l'obbligo di restituzione di tali frutti, percepiti anche in epoca antecedente alla domanda, in tutti gli altri casi in cui tale percezione sia stata indebita, in quanto non assistita - come nel caso di specie - da un valido titolo.
Inammissibile, in quanto non evidenziante lacune o illogicità argomentative, è il secondo profilo del primo motivo, attinente alla liquidazione delle somme come sopra dovute, che correttamente e sulla scorta di incensurabile valutazione basata sulla consulenza tecnica, è stata effettuata tenendo conto della accertata produttività del fondo in questione, interessato da agrumeti e vigneti, in difetto di alcuna prova di fatti contrari (incombenti sul debitore, in quanto estintivi, modificativi o impeditivi del diritto ex adverso azionato), eccezionalmente ostativi o limitativi della naturale redditività connessa alla destinazione propria del bene.
Manifestamente infondato è il secondo motivo, non potendo l'obbligazione di restituzione della somma, indebitamente percepita dell'originario proprietario del fondo a titolo di prezzo della futura vendita trasferirsi a carico dell'acquirente successiva del fondo, la cui sopravvenuta titolarità del bene controverso comportaci sensi dell'art. 111 c.p.c., l'estensione alla stessa soltanto degli effetti reali e restitutori della decisione, direttamente attinenti al bene oggetto del diritto controverso, trasferito incorso di giudizio, e non anche di obbligazioni personalmente contratte, in quanto accipiens, dal suo dante causa. Si propone, conclusivamente, la reiezione del ricorso".
Tanto premessoci collegio condivide integralmente le ragioni reiettive esposte nella relazione, rilevando che nelle memorie depositate da parte ricorrente non vengono evidenziati ulteriori significative argomentazioni atte a conferire consistenza al ricorso.
La difesa del ricorrente, pur non ponendo in discussione la qualità di detentore e non di possessore del proprio assistito (che questa Corte ha già, nel corso del presente processo, con sentenza n. 6489/2011, dichiarato, nel solco della precedente delle Sezioni Unite n. 7930/2008), sostiene che proprio in virtù di tale qualifica S.I. non sarebbe tenuto a restituire i frutti del fondo detenuto senza valido titolo, applicandosi la disposizione di cui all'art. 1148 c.c., ai soli possessori in buona fede e non anche ai detentori, ipotizzando anche un contrasto tra la relazione e la giurisprudenza di legittimità, in particolare con la sentenza n. 13368/2005.
La tesi, come è stato già evidenziato dalla corte di merito e ribadito dal relatore, è palesemente infondata, basandosi su una erronea interpretazione della sopra indicata norma civilistica (e della invocata giurisprudenza), che lungi dal limitare a tale categoria (dei possessori in buona fede) l'obbligo di restituzione in questione, costituisce invece un temperamento (analogo a quello contenuto nell'art. 2033 c.c., in tema di pagamento indebito) del principio generale, secondo cui la pronunzia dell'invalidità del titolo comporta un integrale effetto ripristinatorio, in virtù del quale devono essere dall'accipiens restituiti non solo il bene indebitamente goduto in base allo stesso, ma anche le utilità ab initio dallo stesso ricavate; principio applicabile sia ai possessori, sia ai detentori (o apparenti tali), con la sola limitazione temporale, quanto ai primi, ove in buona fede e relativamente ai frutti, della decorrenza dalla domanda giudiziale.
La lettura della motivazione (e non della sola massima) della sentenza Cass. n. 13368/2005, del resto, non consente dubbi di sorta, rilevandosi dalla stessa (v. pagg. 14 e 15) che, con il quarto motivo dalla Corte respinto, parte ricorrente aveva lamentato che l'indennità per il mancato godimento del bene oggetto del caducato contratto preliminare fosse stata attribuita al promittente venditore con decorrenza dall'inizio dell'occupazione e non soltanto dalla domanda giudiziale, come previsto dall'art. 1148 c.c.. Tale censura il giudice di legittimità disattese, osservando che la norma non poteva trovare applicazione nel caso di specie, non essendo il promissario acquirente un possessore (in buona o in mala fede), bensì un semplice detentore, così confermando la correttezza della decisione impugnata, che aveva appunto riconosciuto l'indennità (vale a dire il corrispettivo dei frutti non percepiti) ab initio.
Non sussiste, pertanto, alcuna necessità di rimettere la questione alle Sezioni Unite, come richiesto dalla difesa del ricorrente, le cui ulteriori doglianze, secondo cui sussisterebbe una situazione di squilibrio economico tra le parti (avendo il promittente venditore ricevuto il pagamento anticipato del prezzo), neppure hanno ragione di essere, tenuto conto che il menzionato principio generale restitutorio comporta non solo il rimborso del prezzo, ma anche quello degli interessi, secondo le regole di cui all'art. 2033 c.c..
Sul secondo e terzo motivo nulla di significativo è stato aggiunto nelle memorie, per cui è sufficiente il rinvio alla relazione.
Il ricorso va conclusivamente respinto, con condanna del ricorrente alle spese.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Nessun commento:

Posta un commento