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Cassazione
Civile, Sezioni Unite del 14 gennaio 2014, n. 585.
Giusto
processo – Tempo ragionevole – Eccessiva durata – Contumace –
Indennizzo – Sussiste – Art. 6 CEDU e art. 2 L. 89/2001.
Al
contumace deve essere riconosciuto, in quanto parte del giudizio, il
diritto ad ottenere in tempi ragionevoli la conclusione del giudizio.
L'art. 6 della Cedu attribuisce tale diritto a "ogni persona",
relativamente alla "sua causa", mentre la l. 24 marzo 2001,
n. 89, art. 2, assicura un’equa riparazione a “chi ha subito un
danno patrimoniale o non patrimoniale” per effetto della violazione
di quel principio. La tutela è dunque apprestata indistintamente a
tutti coloro che sono coinvolti in un procedimento giurisdizionale,
tra i quali non può non essere annoverata anche la parte non
costituita in giudizio, nei cui confronti la decisione è comunque
destinata a esplicare i suoi effetti. Risulta pertanto arbitrario
escludere il contumace dalla garanzia di “ragionevole durata”,
che l’art. 111 cost. inserisce tra quelle del 2 “giusto
processo”.
Nota a sentenza del Dott. Roberto Malzone.
Con
la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno affrontato una
questione già dibattuta in passato e che ha conosciuto
interpretazioni contrastanti.
La
Suprema Corte ha statuito che sia nel diritto internazionale (CEDU)
che nel diritto nazionale (L. 89/2001) non vi sono espresse
disposizioni che escludano il riconoscimento dell’indennizzo per
eccessiva durata del processo alla parte contumace.
Il
caso.
Un
cittadino agiva instaurava giudizio per ottenere il riconoscimento
dell’indennizzo da eccessiva durata di un processo durata più di
30 anni. In primo grado (innanzi alla Corte di Appello) veniva
attribuito un indennizzo calcolato elusivamente in relazione al
periodo di costituzione in giudizio (avvenuta tardivamente), con
esclusione della fase precedente svoltasi con sua contumacia.
Ricorreva
alla Suprema Corte per ottenere la riparazione anche per il periodo
di contumacia, lamentando che né l’art. 2 della legge 89/2001
(Legge Pinto) né l’art. 6 della Cedu (Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali)
subordinassero il diritto all’equa riparazione alla partecipazione
attiva nel processo.
La
disciplina sull’equa riparazione.
La
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (CEDU) ha introdotto, con l’art 6, il
riconoscimento del diritto ad un indennizzo per l’eccessiva durata
del processo.
Tale
diritto è riconosciuto nell’Ordinamento nazionale, trovando
espressa menzione nell’art. 111 della Costituzione e nella L.
89/2001.
Nello
specifico il Legislatore nazionale ha previsto che le parti che
divengono vittime delle lungaggini processuali possono adire
l’Autorità Giudiziaria competente al fine di vedersi riconoscere
un indennizzo commisurato all’eccessiva durata del processo.
La
ragionevole durata viene quantificata in 3 anni per il primo grado, 2
anni per il secondo ed 1 per il giudizio in Cassazione.
La
giurisprudenza di legittimità ha statuito inoltre, che il tempo
ragionevole in cui la Corte di Appello, investita del processo di
equa riparazione, sia stimabile in due anni comprensivi
dell’eventuale giudizio di Cassazione.
La
domanda deve essere proposta entro 6 mesi dalla definitività
(passaggio in giudicato) della sentenza.
Il
risarcimento ha ad oggetto sia i danni patrimoniali che non
patrimoniali.
La
normativa di riferimento.
Art.
6 CEDU: “1.
Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente,
pubblicamente ed
entro un termine ragionevole
da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge …..”.
L’art.
2 L. 89/2001: “1.
Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto
di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della
legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto
del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della
Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione”
.
4. Il
contrasto giurisprudenziale.
L’orientamento
giurisprudenziale in materia ha conosciuto diverse pronunce,
contrastanti ed opposte.
Difatti,
un primo filone ha affermato l’ammissibilità ed il diritto del
contumace ad ottenere il risarcimento per l’eccessiva durata del
processo ;
un secondo filone, invece, ritenendo necessaria la costituzione e la
partecipazione attiva nel procedimento, affinchè si verifichi un
vero patema rispetto a chi si è disinteressato, esclude che il
contumace esercitare tale diritto.
5. La
soluzione delle SS.UU.
Le
Sezioni Unite hanno risolto la querelle
seguendo
il primo degli orientamenti, osservando che le disposizioni sia
internazionali sia interne che disciplinano la materia non
contengono alcuna espressa limitazione, per il contumace,
del diritto a ottenere in tempi ragionevoli la conclusione del
giudizio, anche se non vi si è costituito.
Infatti
l’art. 6 CEDU attribuisce il diritto a “ogni
persona”
e l’art. 2 l. 89/2001 prevede l’equa riparazione per “chi
subisce…”.
La
contumacia è una scelta dell’interessato che può derivare da
varie ragioni.
Ad
ogni modo, la sentenza esplicherà i suoi effetti anche nei confronti
del contumace, ragion per cui non può essere escluso il diritto in
commento, dal momento che, sebbene parte non attiva, questi subisce
il processo e dunque, l’eccessiva durata.
Dott.
Roberto Malzone